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mercoledì 30 novembre 2011

Giuliammare


“Ciao, come va?”
“Hey ciao, bene e tu?”
“Bene, bene. Senti. Sei a casa?”
“Sì, sono arrivata da poco”
“Senti. Fede è tornato?”
“Sì, è su che studia, ma cosa succede?”
“Senti. Ce le hai ancora le infradito bianche di quest’estate, quelle bianche sai”
“Oh ma cosa ti succede? Sì ce le ho sono giù, ma mi spieghi?”
“Senti. Facciamo rivivere l’estate. Vieni da me fra mezz’ora e portati dietro le infradito, un bikini e un pareo”
Ride.
Poi sussurra: “Ti è venuta una voglia fantasiosa?” e sorride.
“Da morire. Senti. Tra mezz’ora?”
“Occhei” e ride “ma tu non sei a posto”
Sono a postissimo, invece.


Mi spoglio nudo, sul divano, menandomelo per farlo diventare di cryptonite mentre lei si cambia nel bagno.
E finalmente esce. Bikini nero, pareo annodato in vita, infradito. Mi guarda con un sorriso sozzo, quando spalanco le gambe per mostrarle bene che esemplare gigante di Banano Imperatore che c’ho.
Mi alzo e la inchiodo al muro, premendo l’Uccello dalle Piume di Titanio sulla pancia, slinguandola.
La palpo, mi palpa, mi infilo nel costume, la impasto come carne trita, calda, liscia, umida, estiva, le lecco il collo e le faccio un sommario richiamo alla riva del fiume porcone e ai guardoni che ha fatto venire e lei accende il turboreattore nove e le danze cominciano.

Capezzoli di marmo in bocca, assieme a cordini di reggiseno ancora appeso al collo, toglimelo, ma non togliermi le mutande, abbassale solo, così che mi piace avere le mutande abbassate, che mi eccita, girati te lo metto spostando le mutande, mi fa impazzire prenderlo così mettimelo tutto, lo senti, lo sento in gola, sei arrapato come un tir, no, sono arrapato come un traghetto, mi piace fotterti alla pecora guardandoti i piedi, se l’avessi saputo mi sarei data lo smalto, vai benissimo così non senti che sequoia mi fai venire, la sento cazzo, la sento, mi spacchi la figa, mi arrapi Giulietta, anche tu Tazietto, pensa all’estate e alle porcate sozze che abbiamo fatto, mi fai tirare il culo ma adesso fottimi forte e io lancio il TGV alla massima velocità che fa fatica a rimanere in piedi e un po’ si flette quando comincia a venire e viene, viene, viene, e io tengo la velocità massima anche se sento che qualcosa di dentro corre più forte di me, ma reggo e mi infilo nella galleria a seicentosettanta chilometri orari e poi, magia, esco, la prendo, la giro, la isso sul tavolo, lei siede, le sollevo le gambe, capisce, appoggia i talloni sul bordo e io comincio a sfregare il frenulo sulle unghiette sensuali e sull’alluce tagliente e lei muove le dita e dalla cabina del TGV parte uno schizzo bollente, poi un altro, ed è lago, pasticcio, imbratto, grugnito, dolorino e piacere, che bello, mi piace tra le dita dei piedi, mi chino e gliele lecco, lecco dita, gomma sporca, pelle, odore, sesso da bestia, mentre la mano materna carezza la sorca infiammata e lei si gusta la scena della lingua che netta.

Sigaretta.
“Che bello Giulietta” e lei ride pigra e dice “sì te sei matto”
“Era estate, vero o no?” dico io, visionario sconfinato.
“Oh sì. Eravamo dietro le cabine del Bagno da Achille, mentre la spiaggia era piena di gente”
Minchia, dico, bella questa.
“Rimettiti il costume e le infradito Giulia bella” le dico scappellandomi.
“Con piacere mio bagnino” mi dice spegnendo la sigaretta.

Intermezzi di delizioso piacere a bassissimo costo.
C’è crisi.
Dio benedica la crisi.

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