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giovedì 15 dicembre 2011

Uomini


Sono solo. Sono rimasto solo. Tutti a casa.
Cammino lieve per il corridoio, guardando tutto come se fossi un ladro, entrato per rubare.
Tracce di attività, di vita che al momento non c’è. L’ufficio vuoto è sempre affascinante.
Cammino, arrivo dal Loca, poi entro da N, poi torno da me.
Mi tolgo le scarpe, poi le calze. Appoggio i piedi nudi sul pavimento di legno laminato.
Mi tolgo il maglione e la maglietta. I capezzoli reagiscono, il riscaldamento si è spento da un po’. Mi accarezzo la pancia, i seni, le ascelle, mi annuso.
Poi sbottono i jeans, li tolgo. Faccio scivolare i boxer alle caviglie, li tolgo, li annuso, sanno del mio sesso.
Mi alzo e esco.
Cammino completamente nudo nel corridoio e mi piace. Mi accarezzo le natiche, sono liscio come un uovo.
Arrivo dalla Betty, mi inginocchio e annuso il sedile della sua sedia, poi mi ci siedo.
Faccio aderire i testicoli alla stoffa e penso a quest’estate quando la stessa stoffa aderiva alle sue cosce e alla sua passera ingabbiata nel cotone del perizoma.
Mi scappello e sento l’aria.
Mi alzo e cammino, vado dai grafici. Cammino con l’uccello scappellato e contraggo involontariamente, mi sto eccitando. Cammino tra i tavoli, completamente nudo. Non ho addosso nemmeno l’orologio, un anello, niente. Torno in corridoio, entro da N, raggiungo la postazione della Giogia.
Mi accoscio ad annusare la sedia e l’uccello mi scivola tra i piedi. Stringo la cappella tra i talloni ed abbraccio la sedia.
Penso alla Domi in cucina che viene.
Percorro il solco delle natiche e accarezzo l’ano che, in quella posizione, si estroflette ed è carnoso.
Penso a Rolex.
Quanto tempo.
Penso al suo petto ricoperto di quella peluria bianca sexy. Penso al suo pisello grosso anche se corto.
Mi alzo e torno nel mio ufficio.
Mi rivesto.

T “Hey, ma è da una vita. Come stai?”
R “Hey Tazio, ciao, bene bene e tu?”
T “Bene. Mi sei venuto in mente e ho detto ‘adesso lo chiamo, mica mi rimbalzerà sempre’ “
R “No ma che rimbalzare, è stato un periodaccio, casini, un casino”
T “Ho capito. Tutto a posto adesso?”
R “Pare di sì. Senti, ma come stai?”
T “Io bene. Vai ancora là alla sera?”
R “Uhm a volte sì, ma non spesso. Tu?”
T “Zero, più tornato. Potremmo andare a berci qualcosa se ti va, una sera”
R “Eh. Mi andrebbe sì, mi andrebbe, cazzo. Non ho più vita ultimamente”
T “Dai facciamo una rimpatriata la settimana prossima, cosa ne dici?”
R “Eh. Senti. La settimana prossima è un casino per me, ma facciamo così: sentiamoci lunedì a quest’ora”
T “Ok”
R “Ok”

Ed il senso di colpa arriva, in silenzio, mentre premo il rosso del telefonino.
Si siede davanti a me e ha il volto della Domi.
Merda.

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