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sabato 10 dicembre 2011

Sabato miramontiano


Bon jour, bon jour, bon jour.
E’ sabato, è passata la settimana della malattia, sono debole, ma complessivamente felice.
La serata di ieri è stata perfetta, mantenuta entro limiti consoni con il mio processo di acquisizione di nuova consapevolezza, senza sacrificio di sudiciume morale. E’ un avanzamento di rilevante successo.

Osservo il Miramonti dalla finestra della mia cucina e lo vedo a livelli di decadenza impressionanti.
Là, dove l’ottimo Cazzulati ha trascorso gli ultimi momenti della sua vita, pare non esservi nuova vita.
Lì, dove nude carni mature si esibivano quotidianamente al fine di esortare le mie giovani e sublimi carni ad esibirsi, non c’è che una tenda che cela.
Accanto a me non c’è più la signora che ferrava i cavalli in cucina, me lo ha detto la sensualissima ed irresistibile Lucia Perrone. E’ andata ad abitare con la figlia a Faenza.

A casa del Pestalozzi trafila l’acqua da una tubatura dal piano di sopra e pare non si trovi nessuno dell’amministrazione di questa stalla sociale per venire ad effettuare il lavoro di manutenzione.
Il Pestalozzi, costituendo l’eccezione che conferma la regola di Scilvio che pervede che l’Italia sia costituita da benestanti, non c’ha una palanca per effettuarsi i lavori da solo. Però non è che si può lasciare lì, perché va marcio il mondo e poi, secondo me, è tanto meglio verificare che cazzo c’è dentro a quel muro.
In settimana ci mando Max, facendogli dire che è della ditta che fa manutenzione allo stabile, così non urto la sua sensibilità e non mortifico la sua dignità, ma risolviamo ‘sto problema.

Prima, quando sono sceso a prendere la posta ho incontrato la fighissima Lucia. Che si è affrettata a dirmi del Pestalozzi ed allora ho colto l’occasione al volo dicendole “Sì, sì, Lucia, me lo ha detto ieri il Pestalozzi. Ho telefonato e sembra che in settimana vengano a fare il lavoro” che così lei glielo dice e sembra tutto vero. Poi si è lamentata, giustamente, della casa che viene giù a pezzi e io, così, quasi senza convinzione, le ho detto che stavo meditando di andarmene, perché effettivamente siamo a livelli preoccupanti.
“Ma noooo … ma davvero vuoi andare via?” e il dispiacere si leggeva sul visino di quella donnina vecchina minuta e allora ho dovuto sdrammatizzare subito.
“Beh, dipende Lucia, potrei anche decidere di restare se…”
“Se?”
“Beh, Lucia, se lei fosse “gentile” con me, venendomi a trovare qualche volta ben disposta…”
“Ma io sono sempre ben disposta Tazio? Ma cosa dici?” e capisco che il palese riferimento così palese non era.
“Nel senso, dicevo Lucia, che magari io e lei potremmo fare delle cosette da soli e….”
Mi fa morire. E’ diventata rossa, si è messa a ridere dandomi delle pacchette su una spalla dicendomi che sono un mascalzone e che c’era arrivata adesso.
“Sai cosa ti meriteresti? Lo sai? Ti meriteresti che ci venissi veramente e che allora TI TOCCA poi farle quelle cosette che fai tanto lo spiritoso, vemò cosa ti dico, disgraziato che mi prendi in giro!”.
Ah, il mito, la leggenda, la leggendaria Lucia, mai nessuna potrà batterla.

“Ma te, ma te lo sai da quanto non faccio l’amore io, eh? Lo sai te?” mi sussurra concitata all’orecchio che sia mai che la si senta fare di ‘sti discorsi.
La invito a dirmelo.
“Saran vent’anni, non mi ricordo neanche come si fa, non mi ricordo” detto con la stessa stizza che avrebbe se mi raccontasse che le han rubato la bicicletta.

Allora bisogna mandare tutto in vacca, sperando che quel rossore permanente non sia pressione e che, insistendo, non le venga un coccolone.
“Mi sembra troppo Lucia” sussurro “se viene di sopra la faccio giocare col birillone che vedrà che le viene poi in mente tutto e io l’aiuto a ricordare”.
E lei mi picchia i pugnetti dicendomi “Vamò via, non star qui a farmi rabire, mascalzone!” e così la bacio in fronte, le faccio una carezza e salgo, perché non voglio farla rabire, no.

E’ che si scherza ed è di un divertente imbattibile.
Anche se a me il pensiero di leccargliela, mi ingrifa come un bisonte.

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