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giovedì 26 gennaio 2012

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Vigliacco come solo io so essere quand’è il momento, mi premuro di arrivare in ufficio in ritardo per evitare il caffè intimo del mattino. Voglio studiare in terza persona la situazione e così varco la soglia alle nove e ventidue. Disinvolto, svolazzante di cappotto, butto la testa dentro dalla Betta e soave dico ciao.
Capelli raccolti in una riccissima e nerissima coda indomita, camicia bianca col collo tirato su, golfino di angoretta grigio antracite corto strizzatutto, pantaloni di lana Tasmania fumo di Londra a sigaretta, calze color carne, ballerine di camoscio nere. Che figa.
Gira lenta la testa e dispiega un sorriso luminoso come una Supernova, dicendomi ciao.
Faccio scivolare lo sguardo dai capelli ai piedi e dai piedi ai capelli e lei sorridente, con gorgheggio di pacata  risata, mi chiede che c’è. Le sorrido, le soffio un bacio e svolazzo via.
Poi incrocio una giovane donna brutta, sfigata e senza talento che esce dal bagno.
La blocco per un braccio e le chiedo scortese “E’ domani l’ultimo?” e lei, abbassando lo sguardo, fa di sì con la testa. Mi chiedo perché quello sgorbio peloso mi arrapi così tanto.
Entro in ufficio, appoggio la borsa, mi tolgo il cappotto mi piazzo al mio tavolo e mi viene in mente una canzone di un cantante che mi sta particolarmente sui coglioni.
E’ questa.

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