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sabato 11 febbraio 2012

Schifosi


Bon jour. C’ho una bocca di merda che se dicessi ciao a un maiale girerebbe la testa dall’altra parte. Eppure io me l’ero ripromesso di non ridurmi come una mmerda e invece voilà.
Ho persino male a un rene. O almeno credo siano lì i reni.
E comunque voglio dire una cosa. Subito, così. Una ragazza che si sveglia alle cinque e mezza del mattino, che apre un bar alle sei e mezza, che lo chiude alle otto e mezza di sera e poi parte e va a casa del Costa e si mette a cucinare per sei persone sino a mezzanotte e mezza e poi va a casa e si sveglia alle cinque e mezza del giorno dopo e riattacca la solfa sino alle otto e mezza di sera e torna dal Costa e prepara la cena vera e propria, sarà pure di un’idiozia presuntuosa vuota senza limiti, ma dentro c’ha della bontà. Che non voglio svilirla sempre attorno ad arcane forme d’amore, perché mi viene un da ridere che stamattina mi si incricca la mandibola, ma voglio lasciarla attorno alla solidarietà umana e alle doti personali.

Detto questo, faccio un ripassino di come ho fatto a ridurmi come una mmmerda. Ricordo che ho pensato che se la narcotici, per caso, avesse salito le scale del condominio per andare  a trovare la zia, le sarebbe sembrato di essere in Giamaica dalla penultima rampa prima del pianerottolo del Costa. Ricordo che due bottiglie di champagne sono partite durante il tempo in cui Labarista cucinava i funghi e scaldava il pasticcio. Ricordo che col pasticcio è partita una bottiglia di Cabernet. Ricordo che con l’arrosto sono partite numero una bottiglia di Cabernet e numero una bottiglia di Refosco dal Peduncolo Rosso. Ricordo che c’è stato un momento in cui Labarista ha esposto in merito all’operato del Governo Monti ed ha dettato una ricetta sull’Euro e ricordo di aver sedato la rivolta dei suoi sette neuroni versandole da bere in maniera compulsiva. Ricordo una panna cotta e una bottiglia di Moscato di Sicilia.
Ricordo il primo digestivo fatto a mano dal Costa mentre Labarista metteva su il caffè, ricordo la grappa a cento gradi fatta da un druido calabrese parente di Panoramix, poi ricordo di essermi impegnato a capire.

Nella rilassatezza della coscienza vacante, ho affrontato con conviviale serenità le motivazioni per cui Labarista vada scodellando quelle tettone a quel modo, ed ho ottenuto una piena confessione, poiché la disgraziata ha ammesso di emulare ben più note bariste salite agli onori della cronaca ed ai denari della banca (solo Redda mi capisce qui). Ma allora ho proposto di sbottonare ancora e anziché dirlo l’ho fatto e lei ha mollemente ed alcolicamente confessato che se potesse servirebbe nuda pur di riempirsi di clienti e da lì è iniziata la degenerazione, perché il Costa, fatto come un copertone, le ha detto che quella là balla pure e così Labarista, che si spaccia per ballerina di prim’ordine ha iniziato a ballare su un orrore di musica disco che il Costa ha piantato nello stereo. Ed è stato l’inizio dello sfascio.

Per evitare che fosse la Centogradi a farla da padrona ho aperto una bottiglia di JD come alternativa soft, mentre sull’improvvisata pista il Costa ingroppava Labarista cacciandole succhioni alla base del collo che storpiavano la sapienza del ballo che ella stessa sosteneva strenuamente di eseguire con maestria sopraffina. Ed in una brevità inattesa è stata tetta. Cioè, è stata camicia sbottonata totalmente dal Costa e tetta esibita, finalmente!, da Labarista. Che mammelle da porno maiala anni settanta, che squallore erotico irresistibile. Tettona lunga, rilassata, scesa, divaricata appena, globosa perfetta in fondo, tesa ed erotica sopra, capezzoli scurissimi, ovali, grandi, insolenti. Ah che quadretto impagabile, su quelle piastrelle della dance floor, marroni e panna. Che sessualità proletaria divina.

E poi giro di JD, a tavola di nuovo, spaccati con abbondanza. Sostengo solennemente la perfezione dei piedi della bella bajadera e, dopo il magnificat con pronuncia pastosa, mi affretto a toglierle lo stivale di destra da corsaro cowboy e tento di sfilarle da sotto il jeans strizza tutto il gambaletto antistupro, scoprendo con amarezza, tra i suoi risolini acuti e metanolici, che trattasi di collant massaggiante e non di gambaletto, ma non mi do per vinto, sono Tazio il problem solver e così afferro la forbice da cucina con cui era stata tagliata la rete dell’arrosto, tiro la punta del malefico collant e la recido con precisione chirurgica in un “noooooo” ridanciano della bella Putanera. E scappello il collant, denudando il piede del desiderio, affrettandomi a leccarlo con enfasi dannunziana mentre vengo ammonito da un vivace, quanto assolutamente veritiero “NOOOOO PUZZANOOOOOO” accompagnato da un arricciarsi di dita pudico. Dio se era vero, dio se era vero. Dio se quelle forme e quel profumo animale non hanno fatto il loro dovere nel Dipartimento Grossi Tronchi laggiù a sud.

Poi mi mancano dei pezzi di congiunzione. Ma ne ho degli altri, fatti di carne, tette, cazzi, gambe, culi, figa.
Gliel’ho consumata a furia di leccarla, la patata depilata in casa, mentre lei tirava di gola al Costa. Che serata di classe, ben al di sopra dei tiepidini auspici piemontesi dell’azzimatissimo Viaggiatore. Che meraviglia. Bel figone da sbattone, comunque, Labarista. Peccato che dopo qualche approccio sia crollata nel sonno come un muro di Pompei.
Lasciandoci come due allocchi col minchione duro.
L’abbiamo coperta, pigiamata con roba del Costa, copertata, insomma ci siamo preoccupati di mantenerla calda e lontana dalle congestioni e dalle polmoniti e siamo andati di là a fumarci una siga. Nudi.
Cazzo che vento e che bufera, fuori. E che cazzo di neve che non smette, minchia.

Culo nudo di maschio. Peluria. Muscoli. Cazzo. Coglioni. Barba. Lingua. Capezzoli. Pancia. Ombelico. Cappella calda. Lo sento in gola e lo voglio più in fondo. Tutto. Cazzo duro in gola. Appoggio il naso sulla pancia calda e strizzo con la gola. Tensione. Saliva. Frenulo da succhiare. Duro marmo da leccare a lingua piatta. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Grosso cazzo, corto, grasso, tozzo, durissimo. Pompinaro. Sono un pompinaro viscerale. Un pompinaro da cessi. Mi piace il cazzo, mi piace il cazzo, mi piace il cazzo, mi piace il cazzo, mi piace il cazzo. Arrapati, famelici, silenziosi, senza parole, solo sbuffi, come quelli da palestra, mi inginocchio, spingo in fuori il culo, lui sbuffa, grugnisce, mi lecca il culo, il cazzo da dietro, grugnisce, sputa, spalma, entra con le dita, sta per incularmi e io non voglio altro che quell, lo voglio nel culo, lo voglio nel culo, lo voglio nel culo, lo voglio nel culo, lo voglio nel culo, lo voglio nel culo, lo voglio nel culo. Entra, mi allargo, spinge, tutto dentro, coglioni sui coglioni, mi incula, mi sta inculando, mi sta inculando, mi sta inculando, mi sta inculando, mi sta inculando e ce l’ho duro da far male. Mi lascio travolgere dal piacere, mi schianto di pancia e lascio che goda nel mio culo, scopandomi come la troia che sono, mi schiaccia, mi palpa, grugnisce, mi monta, mi sento largo come una caverna, ne vorrei due di cazzi nel culo, poi sento che trema, che mi si appiattisce addosso, mi stringe le braccia e accelera e io mi faccio forza e strizzo il buco e lui mugola e sbatte e io strizzo e lo sento venire, dentro di me, nel mio culo, mi schizza di dentro e vorrei gridare da quanto ce l’ho duro e viene, viene, viene.

E mi sguscia fuori. E si stende di pancia, pronto a prenderlo e non mi faccio invitare, ma semplicemente agisco. Lo lecco. Lo inumidisco. E lo inculo, forte, sbattendo, lasciandolo schiacciato ad occhi socchiusi e bocca semiaperta e vengo in pochissimo perché mi piace da impazzire. Gli riempio il culo e godo, godo, godo. E poi sguscio fuori e ci guardiamo, laidi. Fieri. Appagati. Sedotti. Froci sino all’ultimo neurone.

E dopo le liturgie di rito lascio quell’appartamentino e mi infilo nel gelo e torno faticosamente a casa mia.
Lercio dentro.
Stupendamente schifoso.
Che bocca di merda, mi faccio un altro caffè.
Bon jour.

4 commenti:

  1. che bella serata, sgrunf...
    altro che barista e barista..

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  2. tu si che riesci a trarre il meglio da ogni situazione...

    chapeau ;)

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  3. Era ora, finalmente! Che spettacolo. A pensarci bene,
    mi sarebbe piaciuto assistere. Magari anche filmare
    l'evento.
    Taz, sono (quasi) fiera di te.

    B

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  4. Stupendamente, magnificamente, squisitamente schifosi.

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