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domenica 24 marzo 2013

Crude e rischiose confidenze

Saliamo in ascensore guardandoci, non una parola. Arriviamo al piano. Sferragliamento di porte interne e esterne e poi il tic toc dei suoi tacchi verso la porta. Entriamo. Una bella luce calda da una grande abatjour sul pavimento, di fianco al divano sacco bianco, il Gabbeh chiaro davanti, gli scaffali minimalisti di legno naturale non trattato, quadri per terra appoggiati al muro, degli oli che ricordano Klimt e altre tele che ricordano Klee, bellissimo.
Beviamo il cognac, ma lenti e sospesi, ciascuno fuso nei pensieri che la vista dell'altro gli dava.
Che bella atmosfera, calda, sensuale, femminile. Pochissime cose, ma tutte gradevoli, rassicuranti.

Certo che è un bel casino, diciamocelo. Questi giorni sono la celebrazione dell'inderteminatezza assoluta. Il lavoro, l'abitare, la Chiara, Sadi, persino la Pasqua. Però sembra quasi, a tratti brevi, che esista un equilibrio dotato di una solidità strutturale notevole. Perchè, a voler ben guardare, tutto questo è un assurdo piuttosto sensato. Lo è perchè ha alzato il contrasto dell'immagine: i neri sono neri e i colori colori. Prima tutto era sbiadito. Oggi le ombre fanno risaltare le luci.
Sto innamorandomi di Sadi, tanto per tagliare corto? Occorre rispondere? Adesso, su questo divano a sacco, no.
Domani, quando sarò solo a Parigi, diventerà una domanda incessante, anche se posta lungo un'altra prospettiva: potrà mai, Sadi, innamorarsi di me?

Sotto la camicetta di seta rosso mattone non vi era altro che seni nudi. Caldi. Dai capezzoli neri, duri e corporali.
Succhiarle i capezzoli grossi e lunghi come cazzetti, mentre le sue dita mi arricciano i capelli, mi riporta nel sacco fetale. Voglio succhiarle i capezzoli abbracciato al suo corpo nudo, nell'acqua calda di una vasca, in silenzio, dove l'unico rumore è quello di qualche goccia. Voglio un amnios confortevole, protettivo, rilassante.

E poi c'è il discorso dell'inferiorità. No, non è inferiorità. Mi ero sbagliato. E' inadeguatezza. Sì. Dopo aver sprecato tempo ed energia, inutilmente anche se spesso piacevolmente, attorniandomi di grandissime puttane (sfortunatamente non tutte a pagamento, ma qui l'inciso lo abbandono perchè mi depisterebbe assai) mi ritrovo ad assaporare la qualità sopraffina di una Donna intelligente, colta, sveglissima e bellissima e un puttaniere come me corre il rischio di essere inadeguato. E vulnerabile.
E mi rendo conto che la bellezza sublime, in una donna che sarebbe magnetica anche se conosciuta solo al telefono, quindi mai vista, diventa pericolosa al pari di mettere una pistola carica in mano ad un anaffettivo.
 
Un microscopico tanga nero scivola lungo le bretelline eleganti del reggicalze e svela il pube che adoro. Ed è una delle rare volte in cui mi sento sedotto da gambe inguainate in calze di seta con la riga e dal reggicalze di pizzo, anni cinquanta, alto sino al punto vita. Le lecco la vagina. La lecco a lungo e lei sembra impazzire mentre la lecco. Viene battendo i pugni sul divano sacco oramai srotolato come materasso, sul tranquillizzante Gabbeh. Poi ricongiunge le mani sulla mia testa e mi accarezza, guardandomi con un sorriso zuppo di dolcezza.

La Donna è il fulcrum. Va detto. Va ammesso, e lo dico per i maschietti cazzocratici. Cambia, muta, vira l'esistenza. Macchè lavoro e carriera. Il lavoro maschile e la carriera, compreso ovviamente il denaro, sono solo attrezzi utili a conquistare il fulcrum, la Donna. O la donna, per i meno dotati. Sadi mi manda, a brevi tratti, in una deriva esistenziale che mette in gioco ogni cosa. Sadi è una sfida con me stesso, una ricerca di conferma su me stesso, un checkpoint da superare, una barriera doganale che confermi la regolarità dei miei documenti umani.

Le lecco l'ano caldissimo e scuro. Adoro il suo calore anale. Adoro come mugola mentre la mia lingua le dona piacere, penetrandole l'ano. Adoro, per la prima volta cosciente, lucidamente cosciente, leccare l'ano di una Donna che mi mette in crisi esistenziale, adoro l'approccio della mia bocca e della mia lingua con la parte terminale del suo intestino e glielo dico, scopandole la Vagina lentamente e questo concetto, sussurrato liberatoriamente, mentre la penetro con autoalimentante passione trattenuta, questo concetto dettagliato oltre i limiti della decenza, espresso con sentimento devastante ed apornografico, questa espressione del contrasto concettuale e simbolico dell'unione tra il muscolo di espulsione delle sue feci e l'organo di alimentazione del mio corpo scalfiscono, ma forse incidono in maniera profonda, la sua emotività sessuale ed è sorprendente come la mia depravazione sottomessa generi in lei uno stupore emotivo che eccita l'idea  di me maschio fortr che godo dell'approccio, dichiarato con chiara espressione linguistica, dell'ano con la bocca, del desiderio nemmeno tanto recondito e nemmeno tanto non dichiarato, di assaporare le sue feci in segno di adorazione totale e l'orgasmo animale e sconosciuto le scoppia nell'Utero e cola lungo la Vagina e Sadi sussulta e trema mentre affondo, animale da monta di sua proprietà, colpi di cazzo sino alla cervice del suo utero, dichiarando con fermezza che vorrei, se fosse mai possibile, succhiarle le ovaie e la squasso di cazzo e di pensieri depravati e la adoro.

Non è tecnica, non è liturgia, non è copione, no.
Magari lo fosse.
E', semplicemnte e spaventosamente, abbandonare la riva.
E', pericolosamente e spaventosamente, nuotare al largo.
E', finalmente, vivere.
E', finalmente, rischiare.
Rischiare la delusione.
Rischiare il dolore.

Sì.

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