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giovedì 18 aprile 2013

Da Casà a Dakar

Un viaggio un po' complesso, ritardo, casino, caldo. Sì, in aereo faceva caldo e c'era puzza di piedi e ascelle.
Al check point nessuno s'è cagato il mio libretto di vaccinazione in entrata, quello per cui a momenti muoio, la vaccinazione pesante che rappresentava l'orgoglio personale di una carriera africana piuttosto promettente. Mi sono offeso. Non si fa così.
Bei manzi militari neri, sessuali e lucidi, eccitanti, che sbrigativi e nervosi, dicevano via, via, via e tanti saluti, se vi viene la febbre gialla morite, ciao, il vostro da Casà non è turismo, stronzi. Poi il trasferimento in albergo con un taxi puzzolente di nafta e arbre magique, stanchezza, fretta, fame. Poi, finalmente, un letto costoso ed impersonale su cui posare il mio regale ed abusato culo. Albergo internazionaldissanguante, frigo bar ben fornito, spuntino in camera alle tre di notte senza una pince, gentilissimi più dei parenti, denti bianchi rassicuranti.
Un'umidità da bestie, una notte nera che più nera non l'avevo mai vista, l'aria condizionata rumorosissima, il caldo torrido nel bagno.
E poi sono crollato, dopo avere appeso il do not disturb alla maniglia.
E ho dormito come un macigno.

Quando mi sono svegliato erano quasi le undici locali, cioè le vostre tredici, io sto dietro di due, qui. Ho tirato le cortine della finestrona che dà sul terrazzo e mi sono accorto che, davanti a me, si stagliava scintillante e irrequieto l'Oceano Atlantico che, visto così e da questa altezza (sono al decimo piano) fa veramente un bel "buongiorno, Tazio amore, spero tu gradisca questo umile omaggio".

Cazzo raga, è stato un bel botto.
Sono uscito nudo sul terrazzo, col cazzo mezzo duro, a sentire il caldo del sole sulla cappella. Che bella cappella scappellata che c'ho.
Il caldo del sole africano, il caldo del calore di Dio.
E ho pensato: per di là c'è l'arcipelago di Capo Verde, superato il quale c'è un pacco d'acqua e poi l'America.
E mi è venuto un brividino.

Sono in Africa, quella Nera, quella Vera. Nella culla dell'umanità. Sì.

Dakar, a pelle, non mi ha messo un entusiasmo da urlo, vi dirò. L'ho gironzolata qua attorno, ma mi sembra (sicuramente a torto) una cittadonazza incasinata, rumorosa e puzzolente, con impatti irridenti tra lusso e povertà, coesistenti nel medesimo luogo. Non è diversa da niente, se non per il fatto che se ti porti vicino alla costa c'è l'Oceano scintillante e pescioso, magico più che in Marocco, anche se è lo stesso. O forse no. No.
Qui è tutto verdissimo, irrigatissimo, fioritissimo. Tutto molto turistico-business, ma palesemente di serie B. Non è Dubai, insomma.
Che poi, chi l'ha rivista Dubai negli ultimi dieci anni?
E poi, ancora, chi cazzo se ne fotte di Dubai Finterland?

Si mangia ovunque, dappertutto, a qualsiasi ora. Mi sono fatto ammaliare da una pentolaccia piena di riso al sugo di pesce, che adesso non chiedetemi come si chiama il piatto che ve lo dirò, ma vi garantisco che era una roba da lacrima. Superbo.
La gente se ne sbatte di me, ma se io chiedo qualsiasi cosa, qualsiasi informazione, se dico qualsiasi parola, dall'altra parte trovo atteggiamenti che come minimo sono NON OSTILI, sino a divenire (quasi sempre) simpaticamente scherzosi e cordialissimi. Mi fa riflettere 'sta fazenda. Nessuno è ostile con il toubab, ma il toubab a casa sua è davvero così NON OSTILE (come requisito mininmo) con il nero? Non dico amico o cordiale o fraterno, dico solo NON OSTILE.
E me lo chiedo perchè io sono bianco, adesso, sappiatelo.
Io qui sono il diverso, lo strano, l'odiato, il bastardo, il colonizzatore, il padrone, il nemico, l'oppressore, lo stupratore, il mortificatore.
Loro da noi no.
Ho un peso morale ereditato, mio malgrado, dalla mia razza. Assai più gravoso di quello di essere un nero dalle ascelle puzzolenti in Italia.

Interessante.
Molto.

Ora sono in un'elettrizzante empasse, in una forzata sospensione che è spesso l'insaporitrice della sorpresa futura.
Quanto rimanere a Dakar prima di muovermi?
Quanto, eh?
Perchè rimane fermo il fatto che ho l'intenzione inamovibile di leccare le pliche umide dell'ano peccaminoso e fetido di questa città.
Ma tale odorosa leccata non è, nei miei piani, il punto di arrivo. E' solo uno svago, un diversivo, un approccio, un test, un appetizer.
Non si può sottovalutare la quantità imbarazzabte di Sublime Pelle di Femmina Nera Maestosa che si ha attorno. No.

Però io come meta seria ho Saint Louis e, per questo, ribadisco nuovamente eterna gratitudine a Hip.
Grazie a lui, grazie a Hip, ho potuto documentarmi, colmare la mia ignoranza, studiare, analizzare e plasmare un desiderio nuovo, concepire un regalo che il Tazio malato di oggi fa al Tazio sano (o, spero, solo forse solo meno malato) di domani.
Il regalo romantico che un uomo solo fa a se stesso, per coccolarsi l'anima, per costruirsi una nostalgia, per improntare il desiderio di condividerla con chissà chi verrà, per dirsi che si ama, per aiutarsi a dire che ama e che sa amare.
Anche da solo, che importa. L'amore deve essere un concetto |assoluto|. O almeno, mi sembra, si dica che debba essere così, confondetemi se sbaglio.

Romanticamente solo.
Sì, il romanticismo. Il romanticismo.
Delizioso romanticismo a cui appendersi quando il vento delle emozioni spira forte.
Romantico quanto romantiche un tempo erano le lettere d'amore che giungevano dall'Europa in terra d'Africa attraverso l'Aeropostale di Jean Mermoz e la Croix du Sud. Hip lo sa.

La Croix du Sud.
Ma non è stupenda poesia romantica?
Hip lo sa.
Grazie Hip.

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