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martedì 17 marzo 2015

Calzini blè per me, silvuplè.

Commessa carina che sei sulla quarantina, ma che sembri ancora la ragazzina fighina del liceino, ma dimmi ben bene, ma che cula perfetta c’hai? avvolta in quel pantalone color tortora che si abbina da dio alla clarchetta biscotto, con quella camiciola a fioretti pastello e il gillettino di lana punto minchiaafricana color marronglassè, che ti osservo e sei proprio fighina e quasi innocente, ma poi mi sorridi sussurrandomi “un attimo solo” e mi guardi con quegli occhi marcati dall’eyeliner scuro da cui sgocciola quel filo di troianesimo che mi impala la brocca e penso a quanti cazzi avrai visto con quelle pupille puttane che a momenti manco si vedono sotto la frangetta di quel taglio carrè fighino e ti immagino nuda, con la sorca rasata che ti tocchi guardandomi e sussurrandomi porcate blasfeme da portuale e il pilone si ingrossa che spero che tu lo veda, che mi imbullono dabbestia a pensare di affondare la faccia tra le tue chiappe odorose perché, commessa carina fighina, a quest’ora del giorno faresti godere come un cammello drogato il mio naso culattone se solo potesse infrattarsi nelle tue pliche calde  a scoprire cosa è uscito in giornata dai buchi di sotto del tuo esile corpo di porca e poi, diciamocelo, tra le dita dei piedi prigionieri di collant e clarchette, che viscido odorino paradisiaco c’avrai diodellecittàedellimmunità, minchia se sei figa, commessa carina, con quelle unghie delle mani curate che vorrei tanto mi graffiassero cattive il perineo indossando quella fede nuziale dorata, mentre ti lecchi la bocca gaudente osservando quanto godo, perché secondo me tu, commessa carina, c’hai delle porcherie luride da paura nella tua cameretta segreta delle vaccate che mi fasi tirare il boma così abbestia che se issassi la randa, anche ridotta di due mani di terzaroli, mi fermerei non prima di Sasso Marconi facendo la camionabile, strisciando la chiglia nelle scintille, che neanche Cino Ricci troverebbe le parole, puttana di quella gran troia, che mica lo sapevo che per un set di calzini mi sarei ingrifato da faticare a tenere a bada il Taziosaurus Rex, che mi manifesta insistente (con le parole sue) l’esigenza mostruosa di ano sudaticcio da rompere in due, che erano mesi, cazzodiquellamerdavigliacca, che non si svegliava così assassino e tu sculi, ignara, con quella cula da sogno e io mi sciolgo a pensare allo spacco delle tue chiappe  sudate e affanculo i calzini, ti faccio segno che torno dopo e mi rintano nel cesso dei maschi dell'Esselungaessepià a sbragagnarmi la fava sinchè non intonaco il muro di sborra, emettendo un urlo da alce garrotato e stasera, diocane, o ben che l’Ade o ben che l’Ale o ben che meglio che tutte e due, sporche e sudicie e pronte all’uso del Taziosaurus cannibale, che qui o si fa su la maiala o si muore.
Bonsuar.

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