Pagine

mercoledì 27 maggio 2015

Sala d'attesa

“Ma la dottoressa la aspettava?”
“No, in effetti no, ma ho tempo e aspetto, grazie”

E poi, dopo molto, si apre la porta ed esce un tizio che continua a parlarle delle sue cose e lei è maledettamente professionale, treccia arrotolata e fissata sull’estremità della testa, pencil skirt antracite, camicetta bianca, scarpe Chanel nere che le accentuano le vene sul collo del piedino, che l’avevo vista uscire così anche stamattina, ma contestualizzata è tutta un’altra cosa.

“Si accomodi prego, dottore” – mi dice seria per prendermi per il culo.
Ringrazio e la seguo.
“A cosa devo la sua graditissima visita?” – mi chiede con un sorriso sottile e gli occhietti piccoli, dopo essersi serrata alle spalle la porta insonorizzata di cuoio marrone.
“Sono venuto a leccarle la fica, dottoressa. Spero di non essere stato inopportuno.”
“Tutt’altro, venga qui, la prego” – mi sussurra spostando la sedia dalla posizione direzionale ad una posizione laterale.
Staziono eretto davanti a lei, in ogni senso, osservando l’abbassamento della pencil skirt ed il suo abbandono morto e scomposto, sulla moquette marrone.

“Inginocchiati” – mi ordina con voce bassa e suadente, aprendo le gambe quasi a centoottanta gradi, mantenendo calzate le sensuali scarpe, scostando il perizoma nero di cotone per sbattermi in faccia la vagina carnosa. Ed io mi inginocchio, vestito del mio bell’abito Canali in sintonia con l’ambiente e comincio a leccare. Lecco e gusto, mi sazio di lei, mi inebrio del suo odore, mentre le sue dita  mi accarezzano appena la fronte e i capelli e la sua voce pacata mi racconta i suoi pensieri, lenti, lentamente.
Lecco ovunque vi sia carne sensibile, fica, perineo, ano e lei mi agevola spingendo all’infuori  il bacino, scivolando sul sedile, mormorando “Ci speravo tu passassi… ma non ne ero certa…” e la mia bocca si perde in mille virtuosismi che la portano ad ansimare ritmicamente.

“Dio quanto mi piace Tazio…” – mugola spettinandomi – “…ci metteresti un minuto a farmi venire…” – ed io mormoro un “vieni ti prego” che lei asseconda contraendosi sulla sedia, le mani salde sui braccioli, il capo reclinato all’indietro, mentre io non ho alcuna intenzione di farmi bastare quell’orgasmo e continuo a leccare e succhiare e mordere e mangiare quella fica e quel culo sublimi e lei sussulta sussurrando sorridente “…che bastardo… non ti basta… vuoi distruggermi”, ma esatto cherie, non mi basta, e detto quello faccio sgusciare il cazzo dalla cerniera abbassata e glielo spingo dentro alla viscida e bollente fica, sortendo una vocale d’estasi.

E ci abbracciamo, scomposti, arruffati, mentre le mormoro “Io sono convinto che le porcherie che mi piacciono le sappia fare benissimo anche tu, che non sei affatto una vuota donna relitto, ma una creatura magnetica da cui io voglio tutto, perché le pozzanghere torbide mi hanno soffocato e io voglio tornare a vivere” e i suoi occhi luminosi si aggrappano ai miei mentre replica ardita “Insegnami a fare tutto quello che ti piace e io lo farò e….” e non c’è nessun “e”, c’è solo l’orgasmo squassante e improvviso, che zittisco con la mano sulla sua bocca, pompandola di forza, mentre diviene rossa, con le vene delle tempie ingrossate e trema e mi stringe e le vengo dentro con forza, con vigore, ma senza alcuna violenza, godendo della camicetta sudatina appena, schizzando felice.

***
Ricomposizione.
Perfetta.
In piedi in mezzo all’ufficio, l’un davanti all’altra, non un dettaglio fuori posto, non un capello.
“Ha impegni per cena, dottoressa?” – chiedo guascone per superare l’attimo di imbarazzo.
“Sì, sono impegnata con te.”
E ci baciamo, abbracciati, in piedi, stringendoci.
“Insegnami a diventare quello che vuoi…”  mormora in un soffio.
“Voglio dell’altro in cambio…” replico fronte sulla fronte.
“Tutto quello che vuoi lo avrai…” e ci ribaciamo, profondi, appassionati, seccati che il pomeriggio sia ancora lungo e la sera lontana.

E me ne vado.
Svelto.
Aprendo e chiudendo il forziere afonico con velocità, attraversando a passi lunghi il corridoio, salutando appena l’assistente, uscendo in strada, prendendo l’auto americana, partendo veloce, per poi rallentare nella campagna vuota, tentando di riordinare il casino che ho in testa e che solo Bill Evans può aiutarmi a calmare.





Nessun commento:

Posta un commento