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domenica 25 giugno 2017

Fidanzamento

“Oh, ma il tipo ce l’ha?” - mi chiede la donzella sulla trentacinquina, figa, un po’ anni ’70 col gonnone e l’occhialone ferma capelli – “Non so, sto aspettando anche io” – rispondo guardandole le dita dei piedi nei sandali infradito (che si vede che son di marca) e c’ha le dita nodose e lunghe come piace a me, impolverate dalla merda di calcinacci lì sotto, poi arriva il tizio col cappellino col frontino e mi fa “Quanta ne vuoi?” che io dico “Fai lei poi ci parliamo” e lei mi ringrazia, il tipo incassa e scarica, fa me e poi evapora – “Ma te la fai qui?” – chiedo sommesso e lei – “Un po’ me la farei che il resto lo devo portare a un amica, è che non mi fido qua…” e io la seguo mentre cammina male sui calcinacci e poi si gira – “Te te la fai?” – in un toscanazzo rivelatosi poi fiorentino – “Se mi fai compagnia sì, se no vado” “Sì, sì, ti faccio compagnia se vuoi…” – guardandosi in giro, un po’ affannata che si sale – “Offro io…” – dico magicamente in un soffio ed allora è sì, cazzo sì, se offro è sì, cazzo di tossica dimmerda e ci infratttiamo nel tugurio lurido, ci sistemiamo su una finestra che dà su delle erbacce secolari, si accoccola a gambe aperte con la mutandina candida, sia perché è bianca, sia perché e di cotone per bene, doppia carta di credito, cento euro e si parte, discreta, pensavo meglio, mi vien voglia di chiavarla, ripartenza, vai chemmifrega, pista che devo passare, beh dai sale piano, ma non è male, no infatti – “Ma sai che sei figa?” “Mavaffanculo, te mi vuoi chiavare!” e ride, ride, ride, si ride, le accarezzo i piedi, lei si fa seria e mi fa – “Ma t’ha preso così davvero?” “Sì, cosa devo fare?” e nell’attimo romantico dell’antro di piscio e merda, siringhe e sangue, scatta l’amore, quello vero, col bacio sincero, quello dal cuore e allora propongo a fil di labbra di farci un altro giro di prova e lei sorride e via, liberiamo le vie aeree e respiriamo l’aria degli affetti sinceri – “Vuoi che ti faccia un pompino?” “Per cominciare” “Oh non è peffà la bigotta, ma io qui un ci hiavo t’oddico eh…poi un ciò nemmeno i preservativi..” – ed allora succhia amore della mia vita, succhia bene e lenta e togliti i sandali, stupore, divertimento – “Che sei uno de huei matti che so’ innamorati dei piedi?” – massì, son io uno di quelli, ma senti labbradifuoco, com’è che ti chiamano? Franci, Francesca, bel nome, se avessi una figlia la chiamerei così, grazie – “Oh non mi venìnbocca he non mi piasce” – certo amore, tutto per te, ti avviso, ma tu mi fammi assaggiare quelle ditina nodose, mannò che son zozzi, ma non ti preoccupare che godo abbestia, dai succhia che vengo, sega ultrafast, con moltiplicatore della velocità, brava, bravissima, sborro come un koala siberiano e lei sorride, mordendosi il labbro, che brava che sei Franci, festeggiamo! e ride impiastricciata e mentre si pulisce coi Kleenex io attrezzo le piste che manco a New York al JFK e via che ci si rallegra felici e la tiro in piedi limonandola e la inchiodo al muro di schiena e scivolo nelle mutandine di cotone infantile e le frullo cortese la carnina con la strisciolina di pelino scurissimo, nel triangolo bianco di sole della Versilia e, mentre cede sulle ginocchia abbarbicata a me siffosse ella edera, sgocciola una venuta dignitosa, cantata, dignitosa al punto di poter essere considerata onesta, nell’occasionalità dell’incontro tra consumatori diretti, di cui uno ospitante.

“Tesoro devo andà he sennò mi perdo il treno. Ma te passi mai da Firenze?”“E se ci passassi che cosa succederebbe?” “Un so’, ci si vede”- arrampicandosi a fatica, con quelle infradito.
E perché no, Franceschina pura? Però dammi un numero, che sennò l’è un hasino hiamà tutti pettrovarti, ride, ci squilliamo, abbiamo i nostri numeri, l’amore è stupendo.

La porto alla stazione.
Ci baciamo, siamo praticamente fidanzati.
Queste sono le mie donne.
Viva l’amore vero!



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