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lunedì 13 marzo 2017

Parentesi


Ha! La Mitteleuropa! Ha la Westsiberia 2.0! Non ho ancora capito.
Riga, cuore della notte, fuori gela a manetta, dentro fa un caldo secco che mi si collassano i bronchi, ma la bella Odalisca Anja, trentaquattrenne dai modi easygoing e corpo tornito a curve che sembra un plastico del Passo della Futa, dorme d’alcol che è un biondo piacere.
Biondo e zinnuto, vorrei aggiungere.

Riga again, stesso centralissimo albergo in cui oramai mi danno la mano all’entrata, mix di design e anticaglie, con tocchi Hilton lookalike e pennellate Romanoff, una delizia per il palato degli orgogliosi ciarlatani dello stile inesistente, come me.

La galleria va bene, devo dire. Devo anche dire che se continua così e, assieme al Bergolettone, riusciamo a fare una certa operazione di marketing, ci salta fuori uno stipendietto anche per me, pur vivendo a Taziopoli. Bell’investimento, per ora. Fatto salvo che il biondo nailonato di Trump non faccia girare tanto il cazzo a Putin che allora non si sa cosa riserva il destino.
Ma è inutile supporre le mosse di un giocatore di bowling ubriaco contro l’ultimo vero uomo politico sulla scena mondiale. E parlo di Putin in questo ultimo caso.

Due tacco 12 di coccodrillo rosso giacciono esanimi sul tappeto color corda che fa da scendiletto ed è ancora un piacere rimembrare ciò che ho fatto con i due abitanti delle medesime poche ore fa. Anja, capolavoro della sopravvivenza ad un tenore di vita non sostenibile. Prostituta? No, assolutamente, la si offenderebbe offrendole del denaro.

Così come la si offenderebbe se, domattina, lungo la via delle botteghe serie, non la vestissi e non la calzassi di tutto punto, per non parlare del vitto e dell’alloggio nel centralissimo albergo e in un pugno di ristorantini niente male, in cambio della sua presenza ciceronica di accompagnatrice bilingue (inglese perfetto, debbo dire) che mi scorterà in ogni dove.

Bilingue in tutti i sensi, considerando la predisposizione alla fellatio più rumorosa e salivosa delle notti lettoni, oltre alla non trascurabile dote di deglutitrice completa del Tarellatius Extesis Enormis Tazii di cui, credo, questa notte io possa sorvolare la declamazione, facendo riposare il bardo genitale che è in me.

Molte volte ho pensato di trasferirmi in questo microcosmo di confine tra la pseudodemocrazia europea e la pseudodittatura post sovietica, dove Russia e un mondo senza volto (fatto di un mix culturale davvero incredibile) si fondono e si sopportano creando caste, famiglie, correnti e scuole che convivono guidate dal ritmo pauroso della Daugava che scorre minacciosa sino al Mare del Nord.
Ma non ce la posso fare.
Arriva sempre il momento che l’età e la casa chiamano indietro, là dove lo sforzo di parlare una lingua internazionale, affinchè una cicerona multifunzione traduca, può essere evitato.
Ricerca di radici? Massì, dai, ricerca di radici.

Domattina, cioè più tardi, passerò in galleria, parleremo d’affari davanti al Campigli che ho procurato e che ancora non si vende, di fianco agli Arman fatti in serie che però vanno via, ai due bozzetti Schifano che tanto oggetto di trattative sono diventati, ammantati dalla schiera dei Teomondo Scrofolo e del mitico Mutandari che sono il vero business, di cui i succitati artisti noti sono il lasciapassare. E dopo un paio di tazze di tè faremo due passi fino alla Casa del Gatto, dove pranzeremo con le rispettive mammifere.

Resto qui per un po’, insomma. Finchè il sapore del ricco turista americano che sguazza nell’arte contemporanea, nelle migliori suite della città e nella carnosa fica depilatissima di una Anja locale molto disponibile agli esperimenti, non cessa.
E, vi dirò, non è malissimo.





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