Leggins nere, blusa bianca con disegni geometrici neri che quando
scivola lascia uscire la spalla sino al capezzolo, sandali neri di camoscio aperti
con tacco e zeppa, che sensuali ditina.
“Che versione di troia sei?”
chiedo assolutamente disinteressato al cibo.
“Quella che si ingrifa mettendosi
le leggins senza mutande e questa maglia senza reggiseno” mi rispondi luridamente
allupata.
Cristo.
Quella che si ingrifa.
“La maglia e i sandali sono di
mia madre” ridi divertita e lasci scendere la maglia lentamente e,
controllando intorno di essere vista, ti chini in avanti sino a far
sbocciare il capezzolo destro dall’orlo e poi, fintamente infastidita,
ricomponi.
“Ti scoperei qui davanti a tutti,
sul tavolo”
“Magari si potesse, sarei già a
gambe aperte sul tavolo” mormori guardandomi negli occhi, gonfia di voglia.
“Con quanti l’hai fatto questo
giochetto arrapante?” chiedo maschilmente coglione.
“A questo modo mai. I ragazzi
sono un mix contraddittorio di possessività soffocante e disimpegno totale. Non
ci si diverte a quelle condizioni, non c’è complicità, non apprezzano l’erotismo,
saltano fuori solo casini. Per divertirsi a questo modo ci vuole un uomo adulto,
un uomo adulto che sappia godere del rischio, che sappia apprezzare certi
sapori adulti e che ti spinga a osare, a trasgredire”
“Definisci trasgressione”
chiedo, perché è importante sapere.
Ci pensa. E poi pronuncia il verdetto.
“Trasgredire significherebbe
infrangere una regola. Ma è più profondo il significato. Ad esempio,
trasgredire non significa infrangere la regola che non si mostrano i capezzoli
al ristorante, ma significa godere dell’effetto che si suscita nel partner
mostrandosi a tutti, significa infrangere la regola della gelosia, facendola
diventare un terreno di gioco per un piacere svergognato e condiviso. Un
piacere sottile e non per tutti. Ci vuole intelligenza per godere della gelosia
trasformata in oggetto sessuale”
Complimenti, chapeau, regge eccome.
“Quindi la trasgressione implica
il partner spettatore” chiedo.
“Sì, anche se non necessariamente”
mi rispondi sicura.
“Faresti queste cose anche da
sola, quindi” incalzo eccitato a morte.
“Sì. Mi eccita l’idea di sconvolgere
di voglia lasciando chi mi vede nell’eccitazione incompiuta”
“Sino a che punto pensi di volerti
spingere?” ti chiedo e sorridi con una mossa che ti scopre la spalla.
Fai una pausa ripiegando con attenzione il tovagliolo, poi mi guardi e
mi spieghi.
“E’ una domanda sbagliata sai?
Presuppone che tutto sia controllato e fa cadere lo spirito della cosa. Se sappiamo
a che punto ci fermeremo tanto vale reprimersi, o no? E’ l’incerto che eccita.”
e sorridi sporca.
Poi mi spari la bordata.
“Tu hai un punto a cui vorresti
mi fermassi?”
“No” rispondo immediatamente,
deglutendo ed osservando quella maglia al limite dell’areola.
Sorridi.
Poi ti spingi in avanti.
“Quel porco non fa che guardarmi
i piedi” sussurri con sorridente malcelata soddisfazione, indicandomi con
un’occhiata quel tizio sulla cinquantina al tavolo accanto al nostro.
“Si farà una gran sega pensandoti”
ti sussurro.
Sorridi soddisfatta, lanciandogli delle occhiate ammiccanti, per poi
cadere nei miei occhi.
Cristo.
Cameriere, il conto silvuplè.