Un po’ sei divertita, un po’ stupita, ma un po’ anche eccitata,
possiamo dircelo, perché questo non diminuisce minimamente il tuo status di
puttana, non svaluta il tuo cinismo annoiato utile alla sopravvivenza, perché alla
fine tu fai semplicemente una sottrazione precisa: i cazzi che prendi per soldi
meno il cazzo che prendi per godere, che nell’infantile e patetica visione del
tuo uomo di merda, il pappa, è incredibilmente l’unico cazzo che, tra millanta
mila che prendi e che ciucci e che vedi, è l’unico cazzo che ti fa godere perché
tu lo ami, a lui, al pappa, e a me viene
uno sbocco di vomito a pensare a ‘sto concetto di merda, che un po’ fa ridere
anche te mentre mi spieghi il perché non mi slingui in bocca, ma sei
disponibile a farmi tutto il fottuto resto.
E mi guardi la minchia come un bambino guarderebbe il più grande cono
gelato del mondo e devo dire che mi tira parecchio, sì, anche se “mi tira
parecchio” è un eufemismo bello e buono, perché in realtà mi tira come venti
stalloni normanni, che me lo sento di ferro sino al buco del culo e tu lo sai, perché
la sega cominci a farmela proprio da lì, da quella porzione di pezzo di
durissimo cazzo che mi va dal buco del culo ai coglioni e me lo seghi in punta
di dita, mordendoti il labbro inferiore con un micro sorriso per poi guardarmi
e chiedermi, oziosamente, se ho tanta voglia.
Io non lo so cosa mi stia succedendo, ma le tette, le tette grosse,
gonfie, quasi deformate dalla loro grossezza, stirate dal loro peso,
dondolanti, carnose, mammellacce, mammellone, ultimamente mi sturbano in una
maniera devastante, sarà l’effetto Betta, sarà la voglia di chiavarmi mia madre
che riemerge con un’impetuosità allarmante, sarà quel che sarà, ma quando t’ho
vista, appassita il giusto che ti fa femmina, femmina da farmi tremare i polsi
e le ginocchia, ebbene quando t’ho vista così sfioritamente bella, bellissima e
con quelle tette pazzesche non ho potuto resistere e non c’ho pensato un
secondo, manco t’ho chiesto quanto volevi, ti ho solo chiesto se facevi servizi
lunghi e mi hai detto di sì e poi qui, in questo schifoso appartamentino
popolare, quando ti sei tolta il reggipetto, perché quell’armatura che porti
per reggere quelle mammelle bovine non è un reggiseno, ma un reggipetto, perché le parole hanno un
significato e reggipetto è un termine
tecnico, quasi ospedaliero, quasi
diagnostico, è il termine esatto che serve a definire un contenuto paradossale,
quando te lo sei tolta e sei rapidamente rimasta nuda, io ho sentito un accordo
di archi violento, mentre il cazzo mi cresceva da far male solamente a
guardarti.
Carne umana calda, dalle piacevolissime e seducenti forme mature
aggraziate, guardo in basso e hai lo smalto bianco perlato, come tutte le donne
dell’est, che non ne troverete una che ha ancora la mente a casa che si metterà
mai uno smalto rosso, immaginiamoci nero, perché è cultura dell’est che sia il
bianco perlato a sedurre, ma poi rimanendo un po’ qui e prendendo dimestichezza
coi suini locali capite subito che non funziona esattamente come a casa ed
allora le più evolute e imprenditrici di voi cambieranno, mentre le
tradizionaliste nazionaliste resisteranno, ma a me non me ne fotte un cazzo, perché
sei rumena e non ho mai visto una rumena con dei brutti piedi e tu ne sei una
conferma, che ce li hai sessuali, fottibili, belli, seducenti, da troia.
Quanti anni hai, quaranta, che in tutto il mondo significa
quarantacinque e dopo un po’ che hai giocato col mio perineo di marmo, ho
avvertito profumo di estrogeni e t’ho fatta alzare dal letto e appoggiare le
mani sul muro con le gambe appena divaricate e ho cominciato a fare quel gioco
che piace a tutte le donne, ma soprattutto alle prostitute, cioè ho cominciato
a disegnare le tue forme in punta di dita, baciandoti lieve e tu ti rilassi e
poi ti piace, ti piace, ti piace, perché non mi devi guardare in faccia, che
sono cliente, ma puoi avere delle espressioni di piacere, che tanto non ti
posso vedere, dici tu ed è vero, ma io sento l’odore sensuale dei tuoi ormoni
bollenti e ti tocco leggero e ti si increspano i capezzoli e mugoli con un
sorrisino e gli occhi chiusi, che tanto quel coglione di merda mica ti vede che
hai voglia e ti faccio eccitare.
Ti masturbo leggero e ondeggi il bacino, ma non lo ondeggi per fare lo
show e farmi sborrare veloce per tornare giù in strada a raccattarne un altro,
no, io lo capisco bene, lo ondeggi come lo ondeggeresti per lui, anzi no, per
lui lo ondeggi di più, con me fai la timida, perché un milione e un cazzo meno
un milione fa uguale esattamente all’unico cazzo che ti fa godere, quello dell’uomo
di merda che ti dice che t’ama, ma possiamo credere a questa panzana? Non
credo.
E ci lecchiamo mutualistici i genitali rasati e ispidi e ti sento
addosso pesante, carnosa, morbida, paradisiaca, profumata di detergenti
dozzinali e ormoni liquidi, poi riemergi spettinata e con l’espressione
deformata e mi dici, tu, tu lo dici a me, che hai voglia di scopare e mi infili
un ridicolo preservativo rosa e mi monti di sopra, appena affannata, seria e
capisco il perché, te lo infili e cominci a far cavalluccio, impalcando la puerile tattica che se sei tu a muoverti non
godrai, perché non puoi godere col cliente, perché l’uomo dimmerda t’ha fissato
i parametri e io ti lascio fare cavalluccio sciocchino impastandoti quelle
prodigiose mammelle appuntite di capezzoli scuri e rugosi.
Ma c’è un tempo per tutto, mia soave creatura rumena, c’è un tempo per
ascoltare i dettami del pappa dimmerda, c’è un tempo per capire i tuoi limiti,
ma poi viene il tempo in cui il cliente esige la merce che ha pagato senza fare
storie, anticipando somme triple, col patto galantuomo di fare un consuntivo finale
qualora i tempi sforassero quelli coperti dall’anticipo.
E ti metto di schiena, come piace a me, con le gambe appoggiate sulle
mie spalle e ti lecco i piedi sentendo vibrare il midollo spinale che mi manda
in risonanza sonora il cervello, pur deluso da un’igiene ossessiva che ha
cancellato ogni traccia biologica che bramerei come l’ossigeno.
E comincio a chiavarti.
Comincio a chiavarti come un uomo deve chiavare una donna, con tutta la
forza, l’attenzione, l’adorazione e l’impegno
che il piacere che riceve gli impone. Ti strachiavo, ti trapano, ti strapazzo
la figa ispida fottendoti con tutto il vigore che riesco a esprimere,
rammaricandomi di non averne di più, perché vorrei vederti scoppiare, anche se
ci andiamo vicini e dopo un bel po’ che ti impalo cominci a stringermi e sbarri
gli occhi e sudiamo come due camalli, ma sto attento, misuro ogni tuo segno
vitale perché sento che stai per venire e con un tempismo perfetto ti premo la
mano sulla bocca al fine di garantirti l’agio dell’urlo canoro della femmina in
calore che viene, urlo canoro che so già che non vuoi che riecheggi nel lurido
condominietto, e lo trasformiamo in un mugugno silenzioso, ma sento la tua
bocca aperta sul palmo della mano e la lingua e le tue unghie che mi graffiano
e sbatto come il batacchio della campana maestra di San Petronio, senza darti
tregua, avvertendo che siamo passati in un’altra modalità, la modalità femmina,
abbandonando la modalità prostituta e quando tolgo la mano, che ansimi come una
locomotiva tedesca, sudata e rossa, ti aggrappi al mio collo e mi pianti in
bocca la lingua e io ricomincio a mitraglia e mi accarezzi e mi lecchi e mi
stringi e mi inciti, mi istighi, mi stuzzichi, mi trascini nella tua voglia di
sentire che ti sborro di dentro, pur avvolto nel ridicolo preservativo rosa
dozzinale che il pappa dimmerda comprerà a miliardate dai cinesi.
Una, due, tre volte, sudati, bollenti, il piacere lercio, sofferto, perché,
come mi spiegherai più tardi “se io godo
con cliente è come se facevo corna capisci?” certo che capisco e col senno
del poi vorrei dirti che forse quella è la cosa che mi ha fatto godere di più,
proprio fare corna a quell’ometto
dimmerda, fottendo la sua maestosa giumenta imperiale, spodestandolo della
ridicola ed insostenibile posizione imposta psicologicamente che tra millanta
milioni di cazzi presi, solo il suo è quello che dona piacere.
Timisoara dream,
again, after a long time. Mi lavo la cappella con un sapone Donge che si
compera al Lidl e mi asciugo con della carta Scottex. Oscena intimità adulta.
Una donna sul bidet, accanto a me, rende nuovi gli strumenti di lavoro e mi
sorride.
Bella, bellissima.
Sento, per un fuggevole attimo, di volerle bene.
Timisoara dream.