In una anziana casa avvolta dall’abbraccio di rami nudi che occhieggiano dai vetri delle finestre, Margherita è nuda su una poltrona ed io, altrettanto nudo, giaccio inginocchiato tra le sue accoglienti gambe aperte, baciandole i radi e biondicci peli del pube.
MI sorride appena, il capo appoggiato alla mano destra, carezzandomi i capelli con la sinistra.
Ha i capezzoli scuri e induriti dal freddo e dalla situazione, lunghi e ruvidi cazzetti carnosi di cui si intravedono i fori a croce, ed ha anche un accenno di pelle d’oca lungo l’esterno delle cosce morbide.
Mi prostro a leccarle il sesso caldo e carnoso, devoto e sottomesso come un suo schiavo.
Godo dentro, quando sortisco un respiro pesante di piacere.
Come uno schiavo.
E’ delizioso passare da una situazione di carnefice che fotte violentemente la sua scrofa nel capoluogo di provincia taziale, alla situazione di sottomesso volontario che insinua nella sua Dama Erotica possibili scenari di rapporti “particolari” con me.
E io agisco lento, quasi fermo, lasciando che gli eventi ruotino, si avvolgano, si srotolino e sviluppino nuove pieghe lungo le quali muovermi impercettibile.
E accumulo tensione interiore, desiderio di sporcizia morale.
Che poi sfogo nel martoriato ano della mia ZingaraMiettaGipsyQueen.
Con cui parlo del desiderio di allargarla al punto di vederle penzolare il retto fuori dal culo, come se fosse la coda di un cane, di Bukowskiana memoria.
Lei mi bestemmia in faccia che col cazzo che si arriverà mai a tanto ed io le sottolineo che è proprio col cazzo che si arriverà a tanto, ma poi mi annoio.
Mortalmente.
E corro dalla mia Dama Erotica, Margherita, per inginocchiarmi a toglierle i collant, ancora seduti a tavola, dopo cena, per succhiarle le dita dei piedi, salivosamente e lentamente, mentre lei con pacata voce sensuale mi racconta e si confessa del suo passato normale, fumando Diana rosse, dall’odore acre e pesante, puzzo che adoro.
Lei non mi giudica.
Le sto sgocciolando a rate, come fossi una lurida leccarda zeppa di olio rancido, tutte le mie porcate più infami commesse nella mia buffa esistenza e lei mi sorride, accarezzandomi il viso, rassicurandomi sul fatto che non ho ucciso nessuno e che chi era con me era consenziente.
E io mi spingo tra le sue gambe, scosto le mutande bianche e le lecco il sesso.
“Lecco il sesso”.
Adoro scriverlo. Così formale e osceno, così sensuale e appagante, così assente di tempo, che passa senza segni mentre succhio quelle labbra carnose e cerco il clitoride pronunciato che tento di spompinare, avvertendo tra le labbra la sua forma di protocazzo fatto di protoglande e protoprepuzio.
E Margherita gode. Gode ad essere leccata. E’ una cosa che adora visceralmente, lo capisco anche senza che me lo dica. Gode a venirmi in bocca mentre fuma le sue fetide Diana, totalmente vestita, solo con le gambe nude e il sesso scoperto.
Viene sussultando e sorridendo, stringendomi per i capelli e tirandoli dolorosamente, inarcando la schiena e reclinando il capo all’indietro.
E, meravigliosamente, non si catapulta a restituirmi il favore, non si getta in esasperati ed esasperanti stanchi pompini eseguiti come da pornoprotocollo. Ed è così rilassante ritornare a sedere col cazzo di marmo nei pantaloni, per ricominciare a parlare, pacatamente, placidamente, sapendo che prima o poi anche io verrò, ma solo quando le andrà veramente di farmi venire.
“E se io uscissi con un altro uomo ti darebbe fastidio, Tazio?”
“Da impazzire” – rispondo io senza nemmeno sapere quel che sto dicendo.
“Oh, tesoro vieni qui” – mi sorride di splendidi denti per abbracciarmi e baciarmi.
Senza rassicurarmi che non lo farà mai.
Senza assicurarmi che non lo farà mai.
Placidamente e corrosivamente.
Com’è giusto che, finalmente, sia.