E rimango in estasi a guardare quella madonna bionda che mi cavalca godendo sommmessa, accanto alla finestra da cui si osserva la Riviera Romagnola dall’alto della Suite dell’Impero dell’Oro e ancora non mi capacito di averle chiesto aiuto e averlo ottenuto, in perfetto stile malavitoso, la tana imperiale full design, il guardiano a quattro ante gentilissimo, il professore dall’accento veneto con le sembianze di un sinistro professor Stratman di Intrigo a Stoccolma, che accorre di domenica mattina a prescrivermi la teoria infinita di flebo, endovene, pastiglie, una liturgia farmacologica consumata, destinata a quei personaggi a cui non appartengo, ma efficace, ripulente, rapida e pericolosa, sicuramente costosissima e lei, la Ade, maglia di questo tessuto molto, ma molto serio, donna di potere, ricca, sporca, ingranaggio asservito a un meccanismo pericoloso fatto di tonnellate della roba di cui mi ha ripulito e ragazze e alberghi e discoteche e un efficiente e nascosto esercito armato, che parla una lingua carpatica.
“Cicciammore mi sei mancato” - mugola durante l’amplesso clandestino che mi suggerisce implicitamente di aver un prezzo altissimo, se scoperto – “Anche tu Adelina amore” e resto sbalordito dalla genialità di una donna che contrasta il rilassamento del seno con una mastoplastica riduttiva che le dona adolescenziali tettine piccole e a goccia, all’insù senza protesi, senza cicatrici, magnifiche, ipnotizzanti.
“Non devi più esagerare con le sostanze, sai Cicci, che quelle che trovi sono merda pura”, ossimoro estremo che sigla senza appello la verità.
E ci rivestiamo veloci, senza aver strafatto, senza numeri estremi, solo un amplesso che ci ha ricongiunti come un bacio di quelli che nella vita se ne hai dati due hai un culo neanche tuo.
Ripulito.
Una settimana nella “clinica” della Ade, un appartamento di una bellezza estetica insuperabile, col fido ed imponente Redo, bodyguard dall’abilità infermieristica insuperabile, programmato per la missione “Tazio non deve morire”, che in giacca scura mi infilzava nell’ago cannula verde ogni sorta di flacone e sacca, somministrandomi sciroppi, pastiglie e dio sa cosa.
Portandomi colazioni, pranzi e cene da ristorante di ultra lusso, in assenza totale di alcolici, in presenza costante di bilanciamenti dietologici perfetti, così come il loro sapore indimenticabile.
E la Ade era altrove, “impegnata con le serate”, salvo balzare inaspettatamente per verificare di persona i progressi del suo protetto, come una madre premurosa, un’amante segreta, una potenza a cui Redo attestava timoroso riconoscimento di status.
E poi il saluto finale, sulla dormeuse Le Corbusier di pelle bianca, Redo in libera uscita, quasi quello che la Ade mi stava donando fosse l’attestato d’amore con cui mi riconsegnava vivo alla mia approssimativa ed improbabile vita.
E a bordo della mia consumatissima Yaris long term rent, ho lasciato stamattina il buio garage sotterraneo, sciogliendomi nel traffico stradale, mescolandomi ai vacanzieri ad ogni titolo, accendendomi la prima Marlboro da otto giorni, fumandola con gusto mentre alla radio passavano i Radio Head, inforcando l’autostrada che mi ha riportato nel nulla da cui sono venuto.
Grazie Adelina.
E basta, il resto delle emozioni son cose mie.