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sabato 31 marzo 2012

Evoluzione del sabato taziale


Ore 9:36.
Ho deciso. La settimana prossima pioverà ed io li voglio veder crescere.
La Chiara è in cucina che beve il caffè leggendo dall’iPad le ultime news, la prendo da dietro, faccio scivolare le mani sotto la camiciola notturna e, palpandole la figa diletta, le dico “Dai Chiaretta, senza tanti preparativi, vestiti che andiamo a comperare due piante da mettere qui”.
E la Chiara va su e fruga nei borsoni che ieri si è tirata da casa sin qua.
E scende da farmi arrapare: leggins grigie da training lunghe sin sotto il ginocchio, il mio maglione di cotone nero e ai piedi quelle infradito nere che conosco ben bene, quelle con la suola grossissima, che sollazzo stupendo. Specie in macchina, quando scopro che sotto non c’è niente di niente.
Mi legge di dentro, o di fuori, o entrambi, non so.

Ed ora tutto è compiuto.
Io scrivo, lei dorme nuda sul lettino al sole, gli aranci sostano come soldati dignitosi davanti alle colonne della pergola bella.
Questo sabato taziale mi piace un bel po’.

Un brindisi al potere peloso


Dopo cena la conversazione scivola sulle ferie, poi la mia mano scivola tra le sue cosce, poi le racconto di quella volta con la Vale in Grecia, di notte, a fine serata, a bordo piscina, con i due giovani amanti inglesi che decisero di fare il bagno nudi e noi e una coppia teutonica sul lettino vicino facemmo da vestitissimi spettatori alla loro scopata nell’acqua e poi, quando se ne andarono, noi armeggiammo, i teutonici armeggiarono, noi ci scopammo e i teutonici si scoparono accanto a noi, sui lettini bui che di giorno sorreggevano carcasse abbandonate all’unto abbronzaggio.

Mi chiede perché non ci siamo uniti ai teutonici. Le dico che non lo so, ma che a me non sarebbe piaciuta l’idea. Lei ride dicendo che non può credere a ciò che sente. Le dico che c’era una gran confusione, una gran contraddizione ed una scarsissima consapevolezza in me, a quell’epoca. Lei fa scivolare secca la verità che per una vita mi sono taciuto. “Magari la Vale aveva voglia di farlo in quattro”. Le dico che, ad oggi che considero le cose con una serenità mai avuta, sostituirei quel “magari” con un “sicuramente”.
E lei mi guarda con gli occhi da furetto e un sorrisetto maligno.

“Tu cos’avresti fatto in quella circostanza, al posto della Vale?” le chiedo curioso e voglioso di esplorarla, ora che la sento così donna. “Beh” dice aspirando “se avessi notato che lo spettacolino dei due inglesi ti eccitava, mi sarei spogliata nuda e sarei entrata in piscina, aspettando che tu facessi lo stesso”. E questa, sinceramente, è l’unica eventualità che, in tutti questi anni, non avevo mai considerato. Ed è un’eventualità che mi piace molto, nella sua formulazione concettuale. Perché mai restare spettatori pronti ad un ripiego post spettacolo, quando si può salire sul palco e partecipare a quella rappresentazione che tanto ci attrae, aumentando l’eccitazione di chi resta seduto e che, forse, può decidere a sua volta di salire sul palco? Chiedo conferma di aver capito bene il senso e lei mi dice di sì, sensuale, divertita.
Ma poi aggiunge “Certo è che in queste cose è tutta questione di umore adatto e la mia risposta è puramente teorica. Diciamo che se mi fossi eccitata a vedere gli inglesi e a vederti eccitato, avrei deciso di agire così”. E’ giusto. Sensato. Adulto.

A quel punto mi viene in mente con un sorriso il giorno di Ferragosto 2011 e le rammento l’ammucchatina a sei col Costa, il Loca, la Lercia e la Frank che per lei ha rappresentato il battesimo del sesso di gruppo.
“Ti supplico di non farmici pensare” dice con gli occhi sbarrati e il tono categorico. E chiedo ovviamente il perché. E lei sintetizza un quadro deprimente. “Un’ammucchiata dozzinale, tristemente progettata a tavolino, con partecipanti maschi (ad eccezione tua che sei stato un signore) rincoglioniti e schizzoni in tempo zero e partecipanti femmina che appartengono più al mondo animale che a quello umano, zero erotismo, zero coinvolgimento, zero seduzione e solo fiumi di erba e istinti inguinali da bestie feroci. Una cagata”.
Minchia, dico. Però c’ha ragione un bel po’. Siamo stati di uno splatter trash ai limiti di train spotting. E a quel punto immagino che opinione avrebbe del Club Ficcaficca che ho contribuito a fondare, ma dal quale mi dissocio da un gran pezzo. Un’opinione di merda, di sicuro.

“Quindi mai più” dico, come conseguenza logica delle sue opinioni. “A quel modo manco morta, così come manco morta mi tornerò ad infilare in insani e distorti rituali lesbici fatti solo per poter appendere la medaglia del ‘Mi piace sia il pisello che la patata’ ad un medagliere trendy idiota. Sono tutte cazzate che si fanno, ma che poi non si fanno più. Sono diventata serratamente selettiva. Io voglio farlo con qualcuno che mi piace veramente e voglio infilarmi solo in situazioni che mi stimolano veramente, perché non ho più l’esigenza di chiedermi ‘Chissà come sarà?’, mi spiego? ”.
Alla grande, ti spieghi alla grande.

Restiamo a tavola, nella cucina interplanetaria, sino a tarda notte, bevendo vino e fumando, discinti, informali, chiacchierando, confrontandoci, ascoltandoci, raccontandoci.
E’ un medicamento straordinario, è come quando poti un albero vecchio e vedi rifiorire i germogli. E’ la primavera del cervello. Sì, decisamente.

Appoggia i talloni scalzi sui pioli della sedia, schiudendo le gambe. Facendo così fare capolino, da sotto il bordo del mio maglione di cotone che è l’unico indumento che indossa, alla figa pelosa. Gliela guardo, così oscenamente sensuale e mi viene in mente l’Umbe.

“Sei un’esibizionista, lo sai?” le dico con malcelato orgoglio.
“Dici?” mi risponde con gli occhi maliziosi, portando alla bocca il bicchiere di vino rosso, schiudendo maggiormente le gambe ed io lo so che, là dietro, dietro quel bicchiere e quei riccetti fusilli, lei sta sorridendo divertita del potere che ha scoperto di poter esercitare e che, fortunatamente, esercita.
Brindiamo.

venerdì 30 marzo 2012

Un tuffo nel sublime


Giaccio accanto a te, nel sole che scalda, che l’aria è fresca e la tua pelle è calda e anche la mia è calda, poi l’erba, i fiori gialli, le api, la tua fica pelosa e il mio cazzo barzotto steso di fianco e con le dita ci cerchiamo, molli, lenti, pigri, caldi, nudi, giocando coi polpastrelli e ti bacio la spalla e sai di pelle, pelle umana calda dal sole e poi la tua bocca cerca la mia e ci baciamo lenti, pigri, nudi, caldi.

Mi alzo e vado a prendere una birra, tu non vuoi niente, ritorno e sto in piedi, ho bisogno di aria che mi liscia la pelle e ti guardo, stesa, scura, nuda, poi tu metti una mano sulla fronte per pararti gli occhi dal sole e mi guardi, sorridi coi denti bianchissimi ed ogni cosa che dici è soave, melodica, con la voce che è musica delicata e ti guardo e ti ascolto e ti vedo sull’erba, coi fiori gialli, le api, l’aria fresca ed il sole che scalda e tutto questo mi cura, mi ristabilisce, mi edifica, mi riqualifica, mi svecchia, mi aggiorna, mi elabora e mi ricondiziona a nuovo come se tutto il resto non ci fosse mai stato e sono felice, banalmente felice, stupidamente felice di avere perso la testa per te e la cosa più bella è non dirtelo e non sentirtelo dire, perché è così che i sogni continuano, continuano solo se gli si impedisce di divenire banale realtà.

Ti alzi di scatto ed abbocchi al mio cazzo senza una parola, succhiando, toccando, massaggiando, succhiando, succhiando, succhiando, succhiando, ed io resto in piedi, tamarro albanese, nudo con in mano una birra a guardarti che succhi, succhi, succhi il mio cazzo che ti cresce in bocca e ti accarezzo i fusilli tenerissimi, da bimba, ma poco più giù c’è la bocca da donna che succhia, succhia, succhia, succhia, succhia e mi piace, nell’aria che liscia, tra le api e i fiori gialli e l’erba verde, mi piace vedere la tua pelle nuda e sentire la tua bocca che succhia, succhia, succhia forte, sempre più veloce, sino a farmi venire in un sussulto rilassato, schizzando senza suoni, riempiendoti la bocca e poi lasci la presa che svettante ti punta e mi guardi con gli occhietti strizzati e un sorriso disarmante e felice e scintillante e sei bellissima e mi piaci.

Giovane corpo di donna piccina, ti scivolo addosso e ti apro le gambe e sorridi, sollevi il bacino e mi offri la fica nera da mangiare e io la mangio, la lecco, la succhio, ti mangio anche il buco del culo e vorrei leccarti per quindici giorni perché io adoro leccarti la fica, succhiarla, berla, mangiarla, respirarla, sfregarla sulla faccia sentendo che godi contorta e convulsa, con gli occhi chiusi nel sole e il sorriso stampato che si apre in respiri profondi e poi, dopo un po’, si apre in un canto melodioso di vocali profonde che mi dicono che stai per schizzarmi in bocca ed io godo, godo dall’ultima cellula del midollo spinale e mi impegno per farti scoppiare, ed ingoio, ingoio il tuo succo di giovane femmina fertile e continuo a leccarti la fica bagnata di tutto e poi, quando sento che la melodia volge al lento ti scivolo addosso e ti entro dentro e ti abbraccio e mi abbracci e sento il pullulare dei tuoi ormoni fecondi nel sangue bollente che ti scalda di dentro in maniera divina e ti annuso e li sento e ti godo.

E ci parliamo con gli occhi, senza una sillaba. Io sono serio e stregato, tu sorridi luminosa e mi fissi senza quasi nemmeno batterli e ti scopo con tutto l’amore che, da carcassa relitto, posso provare per te.
Come saresti col pancione, Chiaretta? Saresti stupenda, ti vedo. Ti vedo nel giugno giallissimo uscire dalla porta di là, nuda, che ti accarezzi la pancia e mi raggiungi sul prato. Saresti così bella che devo smettere subito di pensarci, immediatamente. E allora ti bacio, mi baci, ci baciamo, mi sussurri che vuoi che ti scopi fortissimo, anzi no, vuoi che ti sbatta fortissimo e il sorriso si stinge formando la piega della lussuria, elegante lussuria che deforma l’espressione e ti sbatto, sì ti sbatto sollevandoti le gambe, fottendoti forte, fortissimo, facendoti ballare le mammellette sodissime, che non voglio nemmeno per un attimo che tu possa pensare che non ho abbastanza passione da infilarti nella fica e giochiamo a quel gioco in cui si devono allineare le voglie per farle scoppiare assieme e ci riusciamo, come sempre, perché venirti dentro mentre vieni e mi stringi, mi spacchi, mi stritoli è la cosa più bella che c’è.

Stesi, per un bel po’.
Sto steso con gli occhi chiusi.
Con il sole arancione negli occhi. Ma se li muovo di dentro è anche rosso, rosso corallo, bianco, giallo.
Ti alzi. Resto steso. Sento che cammini sull’erba, poi l’aria soffia e non ti sento più, ma poi torno a sentire.
Sento il tonfo del tuffo, lo schiaffo maestoso dell’acqua che parla, lo sciabordio rilassante.
Mi alzo e ti guardo. Emergi e mi urli che è bellissima. E mi urli di venire da te.
Mi alzo e mi tuffo.
Gelido impatto, ma poi ti prendo e ti stringo.
E ti bacio.
E mi baci.
E tutto questo è Sublime.

Erba


Oggi non ho voglia di andare a lavorare e così, esercitando insolente un mio inviolabile diritto, mando un messaggio di comunicazione alla Betta e persisto seduto sotto la pergola, nella mia sensuale nudità.
Gioco col pisello scappellandolo e incappellandolo, pensando che, nonostante la valanga di cateteri elettronici che ci mantengono costantemente collegati al mondo obbligato, soffriamo della sindrome della presenza e, se non la soddisfiamo, ci morde l’angoscia del dovere non compiuto.
Non succede nulla se oggi non ci sono.

Il sole invade l’erba perfettamente rasata, che gode ad essere invasa.
La perfezione.

Venerdì trenta marzo


Bonjour.
Una testa riccia giace sul cuscino accanto al mio ed un respiro profondo si fonde nel silenzio della stanza.
Bacio una spalla nuda che fa capolino dalle lenzuola, mi sazio del profumo della sua pelle e esco dal letto.
Scendo le scale, nudo. Entro in cucina e mi preparo una tazza di broda e rifletto su alcuni dettagli assolutamente solo miei e che, con pari assolutezza, non desidero affidare né alla parola né alla penna, quasi per un rito scaramantico.
E’ venerdì ed io non ho null’altro da aggiungere.
Sono talmente entusiasta di ogni cosa che vedo e che penso che mi terrorizzo da solo.

Esco con la broda nell’aria fresca del mattino brumoso della pianura padana.
Respiro a fondo.
Guardo i metri quadrati di giardino perfettamente curato, cosciente che sarà lo scenario imminente di scampoli di felicità senza etichetta, senza contenitore e senza parole.
Questa volta no, questa volta non sarò precipitoso, incalzante, affamato di inquadramenti.
Questa volta taccio, quant’è vero Iddio.

Cammino scalzo e nudo sull’erba, nel mattino brumoso della pianura padana e penso a cose che non capisco, ma che mi piacciono moltissimo.
E’ venerdì, bonjour.
E’ un gran bel venerdì, bonjour.
Ed è oggi, adesso.
Guai a me se perdo il contatto con questo concetto.
E’ oggi.
Bonjour.