Oh Tazz, mica far l'orso vè, dai, vieni al winebar che c'è un gruppetto che suona del gezz e il bassista è un mio amico che poi ti presento anche un due tre fighe, va ben Massimiliano in arte Max, ci vengo, tanto in queste ore mi dice bene che non c'ho l'ansia e allora andiamo, sediamo, beviamo, schiazzotto, un primino, tè com'è che ti chiami? Tazio, mo vè, ma anche mio nonno si chiamava così piacere Annarita, piacere mio, piacere Cosadue, piacere Cosatre, ma adesso lasciatemi a guardara l'Annarita che mi pare proprio una bella gamba di prosciutto di Langhirano stagionata con amore, sui quarantacinque, capelli corti mori che adesso è così che mi si usano, l'occhio verde detersivo al limone sgrassante, rughine, abbronzatura da Papaiaincalore, piccolinapeperina, bei denti, forma ottima, bel culo, leggins culee, stivaletto d'ordinanza e simpatica, massì, ruspantemente simpatica, poche fisime e paturnie, che sarà anche che c'ha una figlia di venti che aiuta e nessun marito che spesso aiuta, ma anche a volte no.
Uh ma sentimò come schitarrinano bene eh? uno spatacolo Anarita, ma mi puoi anche chiamare Rita sai?, bene Rita e poi il Max mi ride con quei denti e la barbona da Gringo e mi dice, quando la Rita di alza con Cosadue e Cosatre ad andare a vedere da vicino, vemò che c'è la fila per quella lì eh? al che chiedo se anche lui è in fila e lui ride e mi dice che ha già diligentemente e civilmente dato e io ho rispetto di 'sto pezzo di Angus che chiacchiera poco e lavoro molto e, con un occhio al culo della Rita e un occhio alla faccia del Max, mi permetto un signorile carotaggio attorno alle precipue (adoro questo termine "precipue" che mi sgranchisce le labbra) caratteristiche materassaie della bella morettadeiricchiepoveri e il Max ride dicendomi Taziotazio, sono un signore e lo sai, al che mi corre l'obbligo di ricordargli di quando facevam su il maiale (La SusyBar) in sei nella mia casetta protempore di campagna, che allora non mi pareva tanto signore e lui risponde serio e quasi infastidito: che c'entra, lì si faceva su il maiale. Giusto scusa Max.
Poi si beve e si ribeve e a un tratto la Rita fa gli occhioni della Sandra Mondaini e dice sussurrato "Ve lo fumereste un cannino voi? O siete contrari? Perchè io faccio anche a meno se vi disturba" e il Max declina dicendo che oggi gli tolgono licenze e lo multano anche se c'ha il colesterolo alto, io dico ok (ma che strano) e purtroppamente dice ok anche Cosatre, mentre Cosadue resta dentro a far del granbuono al Max.
Poi si rientra, Cosatre per non moccolare saluta un tizio, la Rita fa rotta verso il danzereccio gruppone attorno ai musici e io mi accodo a lei, tentando di replicare i passi di danza che resero famosa Maria Grazia Buccella nel 1969 sul set di Dove vai tutta nuda del Maestro Campanile, sortendone un non trascurabile successo, specie al momento dell'esecuzione con innesto a baionetta del paradisiaco plié di Sabina Ciuffini in M'ama o NON (Gassman) m'ama con l'indimenticabile Marco Predolin, ricordandolo da vivo riposi in pace, plié per cui sono noto, stimato ed acclamato in tutte le Balere dell'Emilia Lussuriosa.
Poi la musica si placa, si fa lenta, si ondeggiano i bacini sulle note di Carlos Santana e la Rita, da davanti a me, cerca le mie mani da allacciare sul suo sottile ventre, posando il capino sul mio petto stanco (Concato docet) per raggiungere l'armonia di un passo a due alla latinoamericana con battuto di lardo e fagiuoli.
E avviene l'inevitabile.
Quel profumo di balsamo Garnier, con quel sentore di bagnoschiuma Aromatherapy Barattolo Viola, con quell'eau così spicy e le culee natiche che, subdolamente e artatamente, pingano il mio pacco ad intervalli regolari, fornendo in morse al missile Cudghén Ventisei (questa arriva solo ad alcuni) il segnale di estote parati, facendo divenire ciò che inizialmente appariva come un comune imbarzottimento di routine, una reale manovra. Nei locali tecnici dei miei coglioni riecheggiava, gracchiando, un sinistro "NON E' UN'ESERCITAZIONE, RIPETO, NON E' UN'ESERCITAZIONE" e dalla capsula Gland tutti erano pronti al difficilissimo e pericolosissimo approach di Cudghèn Ventisei alla stazione orbitale Kuulam Undici, attimi senza fiato, coi cuori fermi e poi "Controllo, qui Cudghèn Ventisei, spacco perizomato della stazione Kulaam Undici agganciato! Crr." e un applauso liberatorio, la tensione che scende, peli del culo che improvvisano una ola alla salvietta e burro fuso di Karitè.
Poi la band prende fiato, la Rita si gira rossa come una che si è addormentata sotto il grill, Cudghèn e lì, visibilmente a sentinella dei pubi randazzi e io avanzo mite un "ti posso riaccompagnare?" che sortisce in lei un riso pietas, perchè era dalle festine di domenica pomeriggio che non se lo sentiva chiedere e allora mormora molto soave, stasera no, capitano Kirk, ma fai questo numero che mi appresto a dettarti, così tu c'hai dentro il mio e io c'ho dentro il tuo, con occhione ammiccante che induce ambo a scoppiare in risa buzzancaniane alle quali io, mai pago, aggiungo un acclarante "e che c'eravamo quasi" al quale lei chiosa con un "ecco appunto" sussurrato, guardandosi intorno bluastra in volto, con una vis artistica collocabile nella hall of fame che va da Franca Valeri a Carla Signoris.
Sublime fattura estetica involontaria, divina.
Grande Rita, una nambaruan.
Adesso la chiamo.
Ha!
Pagine
mercoledì 20 novembre 2013
lunedì 18 novembre 2013
A casa.
Oh ecco.
Doccia calda, lenzuola pulite, patatine lesse, riso bollito, vino bianco fermo, televisione, luci basse, calma. Sono stanco come un somaro e mi fa anche male la fronte, non so perchè. Forse è stata l'aria condizionata. Sì, sicuramente. Mi ha fatto anche un taglietto, lì.
Mi coccolo nel pigiama di lana, niente corallo, niente blackblock, tutto in lavatrice.
Ma che bella 'sta piccionaia decrepita, però.
Sì, ha ragione Vì, nettamente.
Bonnuit.
Doccia calda, lenzuola pulite, patatine lesse, riso bollito, vino bianco fermo, televisione, luci basse, calma. Sono stanco come un somaro e mi fa anche male la fronte, non so perchè. Forse è stata l'aria condizionata. Sì, sicuramente. Mi ha fatto anche un taglietto, lì.
Mi coccolo nel pigiama di lana, niente corallo, niente blackblock, tutto in lavatrice.
Ma che bella 'sta piccionaia decrepita, però.
Sì, ha ragione Vì, nettamente.
Bonnuit.
Fine del divertimento
Bonjour.
E allora sabato notte, cioè quasi domenica mattina, quello rientra e io mi pregio di affrontare un minimo punto della situazione a cui lui, stanco porazzo, risponde con un "dobo gumbà che mo' so' appezz" e io per non disturbarlo nel suo bel sonno, trascino i miei tre trolley nel budello buio dove il Merzedes mi fa gli occhioni luminosi di gioia e comincio a caricare, ma dietro di me, in evidente stato di irosa alterazione, compare il Gumbà che mi chiede malamente, troppo malamente credetemi, dove cazzo io creda di andare ed io, per amor della chiarezza, gli spiego dove (via) e perchè (mi ha rotto il cazzo) al che lui mi spinge da bulletto, pessimo errore che gli perdono, urla frasi sconnesse da ignoranza e sostanze chimiche e io continuo a fare le mie cose, ma lui tira, altro pessimo errore che fatico a perdonargli e mi vedo costretto a spiegarglielo, ma mentre glielo spiego lui spinge ancora, parecchio forte e allora no, non esiste amici, non esiste che questo eterno gregario da sempre adesso faccia con me lo scagnozzo malavitoso capetto, giusto perchè qualcuno gli ha appuntato una medaglia da tirapiedi scritta in ceco sulla camicia farlocca, non esiste proprio e siccome c'è un solo, unico, linguaggio comprensibile quando si arriva alla degenerazione, mentre lui mi minaccia a braccia aperte e petto in fuori farfugliando in lingua arcana attorno alla risibilità della mia vita, lo colpisco con una fortissima testata tra fronte e naso, spegnendo in un secondo lo Scarface de noantri che si accascia a terra premendosi le mani sul volto, senza rumori, senza trambusti, senza urla, signorilmente.
Prelevo il suo mazzo chiavi che porta agganciato ai jeans con una signorlissima catenazza di ferro e vado ad apririmi lucchetti e spranghe e, mentre lui palpeggia il pavimento con la faccia gonfia, avvio il mio gioiello meccanico e mi defilo rapidissimamente, direzione Monaco, macchè Monaco, casa.
Sicchè Bonjour.
Sto facendo colazione a Brixen, Bressanone.
Cose buone, ma anche belle, come le chiappe tirolesi della camerierina.
Ho dormito quelle tre ore che mi consentiranno di affrontare le ultime tre di viaggio e di tornarmente a casa.
A casa, sì.
Finalmente a casa.
Bellissima vacanza, mi voleva.
E allora sabato notte, cioè quasi domenica mattina, quello rientra e io mi pregio di affrontare un minimo punto della situazione a cui lui, stanco porazzo, risponde con un "dobo gumbà che mo' so' appezz" e io per non disturbarlo nel suo bel sonno, trascino i miei tre trolley nel budello buio dove il Merzedes mi fa gli occhioni luminosi di gioia e comincio a caricare, ma dietro di me, in evidente stato di irosa alterazione, compare il Gumbà che mi chiede malamente, troppo malamente credetemi, dove cazzo io creda di andare ed io, per amor della chiarezza, gli spiego dove (via) e perchè (mi ha rotto il cazzo) al che lui mi spinge da bulletto, pessimo errore che gli perdono, urla frasi sconnesse da ignoranza e sostanze chimiche e io continuo a fare le mie cose, ma lui tira, altro pessimo errore che fatico a perdonargli e mi vedo costretto a spiegarglielo, ma mentre glielo spiego lui spinge ancora, parecchio forte e allora no, non esiste amici, non esiste che questo eterno gregario da sempre adesso faccia con me lo scagnozzo malavitoso capetto, giusto perchè qualcuno gli ha appuntato una medaglia da tirapiedi scritta in ceco sulla camicia farlocca, non esiste proprio e siccome c'è un solo, unico, linguaggio comprensibile quando si arriva alla degenerazione, mentre lui mi minaccia a braccia aperte e petto in fuori farfugliando in lingua arcana attorno alla risibilità della mia vita, lo colpisco con una fortissima testata tra fronte e naso, spegnendo in un secondo lo Scarface de noantri che si accascia a terra premendosi le mani sul volto, senza rumori, senza trambusti, senza urla, signorilmente.
Prelevo il suo mazzo chiavi che porta agganciato ai jeans con una signorlissima catenazza di ferro e vado ad apririmi lucchetti e spranghe e, mentre lui palpeggia il pavimento con la faccia gonfia, avvio il mio gioiello meccanico e mi defilo rapidissimamente, direzione Monaco, macchè Monaco, casa.
Sicchè Bonjour.
Sto facendo colazione a Brixen, Bressanone.
Cose buone, ma anche belle, come le chiappe tirolesi della camerierina.
Ho dormito quelle tre ore che mi consentiranno di affrontare le ultime tre di viaggio e di tornarmente a casa.
A casa, sì.
Finalmente a casa.
Bellissima vacanza, mi voleva.
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