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giovedì 30 agosto 2012

Del silenzio e dell'estate


Cari amici.
Mi rendo conto, con assoluta lucidità consapevole, del vostro inatteso e commovente affetto, così come mi rendo conto che, dopo un lungo periodo di assenza, è assolutamente impersonale ripiombare in queste paginette imbrattandole di qualche ricordo di un’estate appena passata senza nemmeno un’ombra di spiegazione, quasi fosse un “dovere editoriale” scrivere qualche sozzura dalle blande tinte umane.
Vi confesso che affrontare, con dovizia di particolari, le ragioni per cui mi sono scostato dal blog e da voi mi risulta gravoso e difficile, ma sono certo che, in larga massima, ne intuirete le motivazioni.

Sono oramai due mesi che la Chiaretta è a Londra a lavorare. Fu una cosa improvvisa, una telefonata, una salita, una proposta. Ritenni che il mio personale (per quanto sano e naturale) egoismo non dovesse intralciare la sua crescita personale, per cui, considerata anche la prestigiosità della situazione (non immaginate che agenzia) la incoraggiai ad accettare, pur sapendo che un’assunzione avrebbe comportato delle serie difficoltà. La Chiaretta ha talento, un maledetto raro talento, ha il “tocco”, l’arte, l’abilità, la visione e merita una palestra adeguata alle sue dimensioni artistiche per potersi staccare dalla massa informe di ciarlatani che fanno il suo stesso lavoro. Tra noi non è finito nulla, perché vi sono cose che non terminano premendo un bottone e, sicuramente, quelle che non terminano premendo un bottone sono le cose più vere e viscerali. Entrambi portiamo il peso della lontananza, reggendolo con un reciproco rassicurante sorriso, ma entrambi siamo consapevoli dell’esistenza di due piani e due realtà: il sentimento e la coltivazione del medesimo.

Per cui il tempo passa, orfano, ricoperto di telefonate deliziose che, comunque, non colmano per entrambi una separazione prolungata.
Qualcuno potrà dirmi: perché non vai tu a Londra a trovarla? La risposta è complicata e, probabilmente, incomprensibile ai più. L’ho incoraggiata ad accettare la prestigiosa proposta perché ritengo che, a ventiquattro anni, si debba accettare la sfida di infilare un dito nel culo alla vita, accettando la complessità che le cose più belle trascinano con loro. La Chiaretta deve lavorare, gestire il suo danaro, il suo tempo, il suo rapporto con la famiglia ed il suo rapporto con me. Lo dico perché ci sono passato sbagliando così intensamente da andare vicino a rimetterci la vita. Lo dico perché solo a quel modo, solo con la gestione simultanea di tutte le sfere della vita, ciò che uscirà da lei sarà vero, solido, valido.

Lenire una frattura con sporadiche salite a Londra significherebbe dirle “gioca che papà tanto arriva” e io voglio che lei, invece, diventi la Donna che può meravigliosamente essere, con me o senza di me. Perché sono pronto e disponibile ad accettare anche questo.

In termini personali è inutile che vi nasconda di essere afflitto da solitudine e delusione. Qui lo posso dire, qui posso dare corpo a quel sano e naturale egoismo di cui non lascerò mai che lei possa intuirne i tratti più meschini. Nel momento in cui il nostro rapporto era andato consolidandosi, nel momento in cui ero finalmente felice, seppure in un periodo di difficoltà date da cataclismi naturali e mercato narcotizzato, mi sono nuovamente ritrovato solo a passare dal via senza ritirare le ventimila lire.
Non faccio tragedie, non enfatizzo i fatti plasmandoli a  dramma per captatio benevolentiae, per bearmi delle vostre repliche affettuose, ma credetemi, a un certo punto della vita diventa veramente sfibrante doversi concentrare per gestire l’ennesimo dolore, l’ennesima delusione.

Credo ve lo dovessi, credo che dopo avervi raccontato persino di quante volte andassi in bagno (ciao Lola), una traccia sfumata delle motivazioni che mi hanno spinto a sospendere la frequentazione di questo angolino, di questo privè assolutamente elitario considerato il selezionato, ridotto e grandioso pubblico che lo segue, la dovessi dare contraccambiando l'amicizia.
Grazie, di cuore, grazie di tutto.
Sono tornato.

mercoledì 29 agosto 2012

Occhio ai cartelli di divieto di sosta


Si trattò di una banale svista, in quella rovente giornata di luglio a Domiziopoli, quando parcheggiai lì ove non dovevasi parcheggiare e la Vigilessa Frustrata balzò fuori da un tombino all’improvviso a redarguirmi con fare da John Wayne, che le mancava solo lo sputo, ed io che ero in assenza totale di testicoli, epididimo e scroto, che non c’avevo coglioni insomma, mi sottomisi alle sue sferzanti battute e lei apprezzò, perché la donna con la pistola è una mistress legalizzata, una Lady Domina municipale che l’uomo lo vuol vedere mogio e sottomesso, ma anche eccitato ed allora, capendo che là sotto vi era un mastichio cannibale che andava formandosi, mi misi a recitare la parte del maschietto da due soldi col fetish per la divisa, anche se  a me di quella non me ne poteva fottere un assoluto cazzo randazzo, ma della multa sì.

E anziché multa, fu caffè.
Un caffè lungo, molto lungo, troppo lungo per me, ma capite che, a quel punto del ballo, partire sarebbe stato un po’ come pagare e poi in tempi di crisi non si sprecano sforzi ed io ho continuato a fare il maschio debole ed ammaliato dalla sua incredibile voluttà e dal suo charme irresistibile, brutta scrofa allupata che se non c’hai il fischietto ti prende a calci nella fica anche Don Carlo della parrocchia di Sanmerlo.
E avanti, avanti, avanti, sinché la Poliziotta Mignotta fa lei il maschione e mi ammicca qualcosa per la sera e dammi il tuo numero che ti do il mio e a quel punto solenne mi son detto massì, mi risparmio la multa e mi faccio una sborrata gratuita anziché rimorchiare la solita nigeriana in tangenziale.

E cena fu.
Un’immane, incontenibile, sovrumana rottura di coglioni, ascoltando per ore quella tronfia stronza spaccona che per tutta la merdosa cena ha condito in settemila salse un unico stucchevole concetto: ma quanto son figa io che tengo testa ad un ambiente maschile e maschilista, che a me non la si fa, che mica sono come le altre donne deboli, che io son veramentissimamente figa. A un tratto un botto sordo mi ha comunicato la sopravvenuta rottura del cazzo ed allora, sull’onda di una filosofia vecchia, ma sempre attuale, che fa capo al motto “via il dente, via il dolore”, mi sono messo a serpeggiare ammiccante profilandole una disponibilità ad essere scopato, in quanto le regole di ingaggio vedevano lei il maschio ed io la femmina.

E casa sua fu.
E lei non beve whisky, no, lei beve solo bourbon perché c’halepalle e lo scotch serve solo ad attaccare i fogli sul frigo e lì si ride a crepapAlle, ma poi tira fuori una bottiglia di Four Roses e mi casca per terra anche il buco del culo, ma dico, ma cazzo, ma che minchia bevi, che sei finta anche quando ti ciucchi.
L’alcol di merda è il pretesto per l’avans e lei la fa perché c’halepalle e io la slinguo a comando e la palpo leggero,  mentre con quelle tozze manine di merda mi spalpugna il cazzone sopra il bel pantalone che se me lo stropicci di impicco con il tuo stesso intestino tenue.

E poi fu pausa.
Vieni in camera da letto, mi dice col sorriso della Maialessa in calore, spogliati che arrivo subito ed io penso a un bidè della pietà verso di me, ma mi sbaglio, mi sbaglio di brutto, ma la colpa è mia, la colpa è mia.
Poi ritorna e si para sull’uscio indossando il cappello dell’uniforme, la camicia d’ordinanza aperta, il cinturone a pelle, tacchi a spillo di mediocre fattura ed una fisicata nuda di discutibile appeal, brandendo la pistola, sussurrando “c’ho tolto il caricatore, tranquillo”, che tristezza infinita, mi sento morire e mi guardo intorno perché o Lino Banfi o Lando Buzzanca o Alvaro Vitali devono essere in giro per forza.
Scatta l’autoflagellazione purificatrice, perché al colpa è mia, sono io che le ho lasciato intendere che mi arrapa in divisa ed adesso, anziché essere con una cioccolatina odorosa che mi dice bogafigagulogento con un sorriso radioso, sto con la Fenech de noantri a leccarle la nutria villosa a seguito del suo secco comando.

Giace.
A gambe aperte mugolando come una vacca mentre la mia sapiente e svenduta lingua le tortura la assai poco visitata ciornia e penso. Penso ai campi di cotone, all’apartheid, ai diritti umani violati a seguito dell’oppressione di qualcuno, mi rendo conto a tinte vivide di essere oggetto di sfruttamento, di abuso di potere, perché se questa scrofa indecente non si fosse materializzata dalle fogne di Piazza della Repubblica, con la punta di questo sacro cazzo imperiale che me la sarei filata mai.

E fu rivolta.
Fu rivolta nel momento in cui lei mi gettò il guanto, ma non quello della sfida, ma bensì il preservativazzo da quattro baiocchi comprato all’automatico della farmacia Guazzaloca, guanto che raccolsi ed indossai all’urlo di riot!, gettandomi sulla scrofa carnevalesca, denudandola malgrado le sue proteste, schiantandola di pancia sulle lenzuola dell’Oviesse per operare sapientemente il trapianto di Minchia Assassina Mannara Randazza Rampazza nella sorca bavosa, traforandola con ripetizione ossessiva, mentre con la mia maschia mano la tenevo premuta sul letto grazie ad una presa da wrestler al collo. Ficca, ficca, ficca Tazietto, sbatti come il mare sugli scogli norvegesi in gennaio, fotti e lasciala urlare, che più urla e più ti piace, che ti piace ripassare le frasi di dominazione sul mondo maschile vedendola sbavare sulle lenzuola con gli occhi rovesciati all’indietro e a nulla vale un meschino “No! Lì noooo!” perché è troppo tardi ed i lavori della TAV nella Valdeltuoculo sono iniziati ed avanzano celeri e tu gridi e urli dal male, perché la mia Minchia Rampazza Randazza nel culo deve fare un bel male se non ne sei adusa all’uso o cul-trice della materia cazzotaziale. E urli con le vene del collo gonfie che ci passa un levriero con una fascina in bocca e io ti strapazzo il budello pistonando come un cavallo magiaro che ha preso il Cialis in salsa di Viagra e mi chiedo se vuoi farmi la multa per divieto di transito e sento l’urlo dell’intera città che inneggia il mio nome, che grida T per vendeTta ed accelero mentre piagnucoli e godi, puttana troia bastarda demente vigliacca e poi mi tolgo la gomma dal cazzo e ti sborro tra le chiappe mollicce grugnendo come un verro di Cinta Senese.

E fu strada.
Accendendomi la Marlborina di rito, che su non si fuma, ovviamente, checcoglionivaffanculo, e penso che alla fine t’è piaciuta la monta taurina taziale, penso a quel tuo sorrisetto letamaio sulla porta e a quella frase sinistra “Ci sentiamo presto” che ancor oggi mi serpeggia minacciosa e gelida lungo la schiena e armeggio col parlafono, attribuendo al tuo numero la suoneria silenziosa, che la prossima volta sono disposto a pagare diciassettemilasettecentoventiquatro euro di multa pur di non passare un minuto con te.

E, rinfrancato, mi reco in tangenziale a cercarmi, finalmente, una santa e sana puttana di colore.

martedì 28 agosto 2012

La vuotezza della brioche indesiderata


“Un caffè americano e una brioche alla marmellata” dico all’Olivia superstar dalle tette scultoree.
“Oh.. ce le ho solo vuote…” mi risponde falsamente intristita, che lo so bene che non gliene frega un cazzo.
“Va bene vuota” rispondo annoiato.
A me fanno schifo le brioche vuote.

Un uomo determinato, uno che persegue l’obiettivo con maschia risolutezza avrebbe risposto “Ficcatela nel culo la tua brioche vuota dimmerda, io me ne vado, perché io voglio una brioche alla marmellata, cazzo merda e non scendo a compromessi perché tu, lurida puttana del cazzo, hai fatto male i conti.”
Così avrebbe detto e fatto l’uomo determinato.
Io, invece, ho mangiato la brioche vuota.

“Certo adesso non ce la farò a scendere tutti i weekend Taz, perché non è più come prima che ero a contratto” mi disse a suo tempo con lucida e comprensibile logica la Riccetta ed io risposi “Certo, è logicamente comprensibile”, quando invece avrei dovuto dire mille altre cose maschie e rudi che rimarcassero quanto io tenevo a lei e quanti pochi cazzi avessi di vederla partire, magari per sempre.
E invece l’ho lasciata andare a Londra, l’ho lasciata andare a “cogliere quell’opportunità così preziosa di un’assunzione in una prestigiosa agenzia internazionale”, come le ho detto io stesso con cogliona solennità.
E ci penso mangiando una brioche vuota che mi fa schifo.

Che poi, non è che quelle alla marmellata non abbiano difetti, intendiamoci. Per quanta cura tu ci metta, uno schizzetto di marmellata esce sempre e ti imbratta le dita e tu provi a pulirtele con quelle stronzissime salviettine lucidate che io dico, ma che minchia c’avete nella testa? Come cazzo pensate che una salviettina lucidata possa servire a pulire cosa? e rimani con la colla più micidiale appiccicata ai polpastrelli che manco col diluente nitro viene via e brameresti di vederli che si puliscono il culo con della carta igienica patinata lucida.

Però, difetto a parte, almeno in quelle alla marmellata c’è dentro qualcosa.
Una brioche vuota è solo una volatile rottura di coglioni.
E quando hai finito di mangiarla, in certe giornate, quasi quasi ti spiace di avere le mani pulite.
Vaffanculo, Olivia.