Sono sul letto immerso in attenta e per nulla amichevole lettura di un bel libro di grammatica ceca quando, sul far delle 01:14:32 il parlàfono fischietta primaverile un’entrata uozzap.
“Dormi?”
“No, stavo studiando grammatica ceca”
Seguono faccine di risa foggiate in varia maniera.
“Non ridere” aggiungo con serietà “questo Paese parla inglese solo a tratti e poi l’idea di conoscere bene il ceco mi affascina”
Pausa.
Onlinestascrivendoonlinestascrivendostascrivendo.
“Mi stai prendendo in giro come al solito o vuoi veramente stabilirti lì?”
“Non ti sto prendendo in giro e non ho idea se vorrò veramente stabilirmi qui, ma intanto dovrò pur saper comperarmi un paio di pantaloni senza gesticolare, no?”
Onlinestascrivendoonlinestascrivendostascrivendo.
“Giusto e poi una lingua nuova è sempre una lingua nuova”
Ecco, amisgi.
“Una lingua nuova è sempre una lingua nuova” è un doppio senso easy e lei lo sa. Lo sa e quindi vuole dirmi subliminalmente che è in mod zoccoleggio mild e sta a me, solo a me, assecondarlo o meno.
Decido per la pausa.
Onlinestascrivendoonlinestascrivendostascrivendo.
“Torni mai giù, ogni tanto?” chiede periferica stemperando le vicende linguali.
Faccio pausa lunga.
“Raccontami del tipo con cui ti vedi.”
Con punto finale, assertivo, serio, ineludibile, tranchant. QUELLO ora è il quesito e QUEL quesito e solo QUELLO o va fanculato a palla o va soddisfatto con dovizia e minuzia di dettagli.
“Perché ti interessa?” è la deludente, sciocchina, triste risposta. Potevi far di meglio Chiaraspray, sì. Ce l’avresti potuta fare. Peccato. Ecco perché fai la junior a Modena e non sei assurta ai fasti meneghini. Per colpa dei dettagli. I dettagli sono tutto, cherie.
“Hai ragione. Pensandoci bene non me ne fotte un assoluto cazzo. Torno giù ogni tanto, sì, ho persino comperato casa a Reggio in Piazza Bambascionestrimpellacazzi, ero lì sino a ieri l’altro. La casa è bella, molto ben ristrutturata, stile inizio ‘900, ma al momento è vuota, sai, non essendo lì spesso… però son contento di averla presa, poi vai a sapere, magari diventa un investimento, chissà.”
Pausa e reinforco la grammatica ceca, con un sensibile giramento di coglioni.
Onlinestascrivendoonlinestascrivendostascrivendo.
“Me la farai vedere una volta, magari, se capita” incalza la paperella anale come se nulla fosse.
“Perché ti interessa?” chiedo io a quel punto, non commettendo l’errore orribile di rispondere a una domanda con un’altra domanda.
Pausa.
Onlinestascrivendoonlinestascrivendostascrivendo.
“Boh, anche no per carità dicevo se ti faceva piacere farmela vedere”
Emetto faccina che sorride di gusto.
“Chiara ti lascio, sono indietro con la grammatica ed è tardissimo, buona notte.”
“Buonanotte Taz, buona grammatica”
Děkuji, grazie.
Pagine
venerdì 27 marzo 2015
giovedì 26 marzo 2015
Ideone idiote in perfetto stile tazieo favorite dalla luna praghense
Mi stendo sul letto, medito a lungo e poi faccio una cosa.
Agguanto il parlàfono di classe e mi introduco nella famosa applicazione WhatsApp a tutti voi arcinota. Mi introduco, premo il più, seleziono un nome, vedo che è uazzappata e digito breve, ma significativo:
“Dormi?”
Attendo, perchè pare che l’ultimo accesso di quella persona risalisse a parecchio prima e, mentre attendo ciò che il destino m’avrebbe riservato nella forcella del nulla al “vaffanculo” provo una sensazione liceale di friccicorino sospeso, un’emozione, un’attesa di chissà cosa.
Poi, dopo qualche minuto, vedo che è online e sta scrivendo.
E scrive, scrive, scrive.
“No e tu?”
“No, come stai?”
“Aspetta mi sposto”
Si sposta. Ciò significa che c’è qualcuno accanto e se quel qualcuno accanto è lì accanto a quell’ora signiica che e basta.
“Sto bene, tu?”
“Beh dai bene sì”
Poi pausa.
Frenetici 'online' si mescolano a 'sta scrivendo' e poi va tutto a monte. Io non rincalzo. Io aspetto. E appoggio il telefono sul letto, tentando di rilassarmi.
Poi un trillino.
“Mi spieghi da dove mi sbuchi nel cuore della notte dopo una vita che non ti fai vivo? :) “ con emoticons sorridente, a suggello che non vi è acredine nè desiderio di battaglia nella domanda, ma piacere divertito.
“Ti sbuco da Praga” rispondo mantenendo basso il profilo della spia che gira il mondo per la Spectre.
“Da Praga” ripete in sospeso studio della domanda successiva.
“Sì da Praga” ripeto garantendo tempo e spazio.
“Lavoro?” scrive con sintesi acrilica dopo qualche secondo.
“Non lo so se lavori” rispondo io facendo il simpa della cumpa, nel tentativo di draggare i toni verso qualcosa di ancor più rilassato.
“Io sì che lavoro, ma ti chiedevo se eri a Praga per lavoro” e qui si era reso evidente che la battuta, seppur passata nella semantica, fosse stata dichiarata non ammissibile a repertorio per tutti gli utilizzi legali ad essa legati.
“Sì sono qui per lavoro, già da un po’. Tu come te la passi?”
“Io lavoro in ******** a Modena, declassata a designer Junior” e aggiunge faccina con mascherina chirurgica.
“Fai su è giù?” chiedo per indagare e comporre la cazzeria sua.
“No, sto con altre due ragazze in un appartamento, una lavora con me in ******** l’altra no”
Pausa.
E allora sparo.
“Stai con qualcuno?”
Segue silenzio eterno. Talmente eterno che credo che la uozzappata sia finita, ma inverce all’ultimo momento della speranza, trillo.
“Mi chiedo perchè ti interessi, ma ti rispondo per educazione: sì, mi vedo con qualcuno. E tu?”
“Io? No io solo puttane a pagamento.”
“Ah,ok. Beh bene no?”
“Sì sì”
Pausa.
“Senti Taz, è tardissimo e io domattina devo essere un grillo alle sette. Mi ha fatto piacere, ti mando un bacione. Buonanotte.”
“Buonanotte a te, a presto spero.”
E a questo mio ultimo uozzappo relativo alla reiterazione della uozzapperia non è seguito nessun altro commento.
E buonanotte allora e bella che finita, stop, pietra.
Anche se qualcosa mi turba.
Massì, buonanotte.
Proviamoci almeno.
Agguanto il parlàfono di classe e mi introduco nella famosa applicazione WhatsApp a tutti voi arcinota. Mi introduco, premo il più, seleziono un nome, vedo che è uazzappata e digito breve, ma significativo:
“Dormi?”
Attendo, perchè pare che l’ultimo accesso di quella persona risalisse a parecchio prima e, mentre attendo ciò che il destino m’avrebbe riservato nella forcella del nulla al “vaffanculo” provo una sensazione liceale di friccicorino sospeso, un’emozione, un’attesa di chissà cosa.
Poi, dopo qualche minuto, vedo che è online e sta scrivendo.
E scrive, scrive, scrive.
“No e tu?”
“No, come stai?”
“Aspetta mi sposto”
Si sposta. Ciò significa che c’è qualcuno accanto e se quel qualcuno accanto è lì accanto a quell’ora signiica che e basta.
“Sto bene, tu?”
“Beh dai bene sì”
Poi pausa.
Frenetici 'online' si mescolano a 'sta scrivendo' e poi va tutto a monte. Io non rincalzo. Io aspetto. E appoggio il telefono sul letto, tentando di rilassarmi.
Poi un trillino.
“Mi spieghi da dove mi sbuchi nel cuore della notte dopo una vita che non ti fai vivo? :) “ con emoticons sorridente, a suggello che non vi è acredine nè desiderio di battaglia nella domanda, ma piacere divertito.
“Ti sbuco da Praga” rispondo mantenendo basso il profilo della spia che gira il mondo per la Spectre.
“Da Praga” ripete in sospeso studio della domanda successiva.
“Sì da Praga” ripeto garantendo tempo e spazio.
“Lavoro?” scrive con sintesi acrilica dopo qualche secondo.
“Non lo so se lavori” rispondo io facendo il simpa della cumpa, nel tentativo di draggare i toni verso qualcosa di ancor più rilassato.
“Io sì che lavoro, ma ti chiedevo se eri a Praga per lavoro” e qui si era reso evidente che la battuta, seppur passata nella semantica, fosse stata dichiarata non ammissibile a repertorio per tutti gli utilizzi legali ad essa legati.
“Sì sono qui per lavoro, già da un po’. Tu come te la passi?”
“Io lavoro in ******** a Modena, declassata a designer Junior” e aggiunge faccina con mascherina chirurgica.
“Fai su è giù?” chiedo per indagare e comporre la cazzeria sua.
“No, sto con altre due ragazze in un appartamento, una lavora con me in ******** l’altra no”
Pausa.
E allora sparo.
“Stai con qualcuno?”
Segue silenzio eterno. Talmente eterno che credo che la uozzappata sia finita, ma inverce all’ultimo momento della speranza, trillo.
“Mi chiedo perchè ti interessi, ma ti rispondo per educazione: sì, mi vedo con qualcuno. E tu?”
“Io? No io solo puttane a pagamento.”
“Ah,ok. Beh bene no?”
“Sì sì”
Pausa.
“Senti Taz, è tardissimo e io domattina devo essere un grillo alle sette. Mi ha fatto piacere, ti mando un bacione. Buonanotte.”
“Buonanotte a te, a presto spero.”
E a questo mio ultimo uozzappo relativo alla reiterazione della uozzapperia non è seguito nessun altro commento.
E buonanotte allora e bella che finita, stop, pietra.
Anche se qualcosa mi turba.
Massì, buonanotte.
Proviamoci almeno.
Giornate mitteleuropee e calabroni amici
Good morning Vietnam, stamattina mi faccio proprio i cazzi miei, che ieri è andata come è andata. Sveglia ore 9:00, raggiunto Humble Brothel ore 10:00 dopo colazione, dove mi trovo la Gema (che invece si chiama Romilda) che vestita di tutto punto era stata cooptata per il colloquio taziale che ho fatto durare mezz’ora con toni del tipo “dai Romilda mettici inpegno, pat, pat” e poi arriva il Costafrate con quel coso americano rivelatosi un GMC Yukon che mi dice “mond” dal finestrino aperto con i RayBan a specchio e io mond, che poi partiamo a razzo direzione Nürnberg sul far delle undici e ventiquattro.
Non so se abbiamo percorso la distanza con le ruote aderenti al suolo o con i sottosospensori magnetici di classe B Pheta, ma sta di fatto che, chiacchierando amenamente (si fa per dire perchè io non è che adori le velocità che superano quella dell’iperspazio) siamo arrivati in Germania alle ore quattoridici e quarantadue.
Lì ci aspettava un altro calabrone amico del Costa, s’è fatto del gran chiacchierare in una saletta riservè di un ristorante molto moderno e molto ficoultrawow di proprietà del calabrone, con delle fighe da conversione di San Paolo Apostolo che ci portavano da bere e da bere e da bere e da bere e da bere sino a che non s’è fatta l’ora di cena che, scherziamo gumbà?, siete ospiti miei e siamo riusciti ad alzare i nostri regali culi dal ristorante kewl alle ventitre e sedici, per fare rientro alle tre e quattro minuti passate del mattino, momento in cui il Costa è andato a dirigere l’Humble Brothel come un bravo direttore da circo e io mi sono ritirato nella mia pseudosuite solitaria, segnata romanticamente dal tempo, per un doccione rigeneratore.
Non so se abbiamo percorso la distanza con le ruote aderenti al suolo o con i sottosospensori magnetici di classe B Pheta, ma sta di fatto che, chiacchierando amenamente (si fa per dire perchè io non è che adori le velocità che superano quella dell’iperspazio) siamo arrivati in Germania alle ore quattoridici e quarantadue.
Lì ci aspettava un altro calabrone amico del Costa, s’è fatto del gran chiacchierare in una saletta riservè di un ristorante molto moderno e molto ficoultrawow di proprietà del calabrone, con delle fighe da conversione di San Paolo Apostolo che ci portavano da bere e da bere e da bere e da bere e da bere sino a che non s’è fatta l’ora di cena che, scherziamo gumbà?, siete ospiti miei e siamo riusciti ad alzare i nostri regali culi dal ristorante kewl alle ventitre e sedici, per fare rientro alle tre e quattro minuti passate del mattino, momento in cui il Costa è andato a dirigere l’Humble Brothel come un bravo direttore da circo e io mi sono ritirato nella mia pseudosuite solitaria, segnata romanticamente dal tempo, per un doccione rigeneratore.
martedì 24 marzo 2015
Bentornato, Tazietto
"E allora Tà, ghe mi raggonti? Te le sei sbudellate le bottane lacciù?”
Una di notte, viaggiamo comodi e silenziosi su un enorme coso americano nuovo di zecca che puzza di plastica e nylon e occhieggia dagli strumenti una luce azzurrina diffusa che rende la faccia del Costa simile a quella di Kirk nei momenti più impegnativi. Sono stanco morto, il viaggio è stato una merda. Mai più da Bologna, mai più.
“Mi sono sbudellato solo la tua ex morosa Susy, che le altre manco mi hanno cagato di striscio a parte un ‘oh ciao, che bello’ “
“Minghia Tà pure tu che cazz t’haspettav il tappet rozz? So tre secoli che non di fai biù vedere allà. E la bottanona come shta? C’ha sempr fame di minghia ah? Che maiala bottana troia porcoddio, ahahahahahahaha” e ride ride ride, ride sereno, proiettato a velocità da sedia elettrica sulla strada che dall’aeroporto porta a Praga.
“E qui? Novità?” chiedo interessato.
“Maaaaaaaaaah niend di ghe, due crucc che avevano rotto il cazz la settimana scoss che erano fatti come delle bbestie e allora il Vosco e i racazz li hanno spaccati, impacchettati e sbattut fuori, poi niend, la Galina va fortizzim, gettonatizzim, chiava come na macchin da cuerr santalamadonnasantissim, mai la camera vuota che faccio fatica a farmi fare un bombino alle tre del pomericc, mentre quella rumena, quella come minghia si ghiama, dai quella piccoletta mora coi capelli lunghi, pallidissima con le minnette piccole, vabbè non imbord vafangulo, quell proprio non funziona Tà. Ci devi parlare tè Tà che se no la dobbiamo mandare via che ci fa rimettere”
“Si chiama Gema”
“Ecco Gema vaffanculo porcoddio proprio lei, parlaci Tà”
“E ci parlo, ma mica sono uno psicoterapeuta mago, se non ci sa fare, non ci sa fare”
“Teh parlaci gumba, fammi questacottesia”
E te la farò ‘sta cortesia, cosa devo dire. Tanto parla in italiano.
E poi arriva Praga e le luci e noi ci fiondiamo dentro come dei rapinatori a velocità mostruosa, che il Costa guida come Driver l’Imprendibile, anche se nessuno ha intenzione di prenderci.
Come mi sento integrato in questo mondo di classe e in queste attività raffinate, come mi sento estasiato da questo lessico ricercato da queste figure retoriche, insomma, mi sento proprio in famiglia.
“Costa cosa fai a Pasqua?” chiedo mentre dribbliamo ogni cosa che si muove nelle vie più storiche della città.
“Maaaaaah io gi bensavo di farmi una discesa a casa per rilassarmi quacc ciorn ma non ho ancora decis e tu?”
“Io la solita minchia Costa.”
“E allora prendiamo e ce ne andiamo ammare assieme Tààààà e ci sbattiamo i goglioni eddai Tà”
Controllo sul telefonino: piove a cannone a Pasqua laggiù, minima 12 massima 16, ma che cazzo andiamo ammare? Andiamo ammare con Schettino se lo avvisiamo.
Poi, finalmente, arriviamo.
Porta sul retro, ci sediamo a tavola, vino rosso, salame calabrese “che questi cazz di cechi fanno di manciare merda schifos, mancia, mancia gumba che è robbabuon” (tutto vero) e facciamo una merendina così, mentre Costafrate rolla le mie pastiglie per dormire.
Ci poteva essere accoglienza più familiare e calorosa?
No, credetemi.
No.
Casa.
Una di notte, viaggiamo comodi e silenziosi su un enorme coso americano nuovo di zecca che puzza di plastica e nylon e occhieggia dagli strumenti una luce azzurrina diffusa che rende la faccia del Costa simile a quella di Kirk nei momenti più impegnativi. Sono stanco morto, il viaggio è stato una merda. Mai più da Bologna, mai più.
“Mi sono sbudellato solo la tua ex morosa Susy, che le altre manco mi hanno cagato di striscio a parte un ‘oh ciao, che bello’ “
“Minghia Tà pure tu che cazz t’haspettav il tappet rozz? So tre secoli che non di fai biù vedere allà. E la bottanona come shta? C’ha sempr fame di minghia ah? Che maiala bottana troia porcoddio, ahahahahahahaha” e ride ride ride, ride sereno, proiettato a velocità da sedia elettrica sulla strada che dall’aeroporto porta a Praga.
“E qui? Novità?” chiedo interessato.
“Maaaaaaaaaah niend di ghe, due crucc che avevano rotto il cazz la settimana scoss che erano fatti come delle bbestie e allora il Vosco e i racazz li hanno spaccati, impacchettati e sbattut fuori, poi niend, la Galina va fortizzim, gettonatizzim, chiava come na macchin da cuerr santalamadonnasantissim, mai la camera vuota che faccio fatica a farmi fare un bombino alle tre del pomericc, mentre quella rumena, quella come minghia si ghiama, dai quella piccoletta mora coi capelli lunghi, pallidissima con le minnette piccole, vabbè non imbord vafangulo, quell proprio non funziona Tà. Ci devi parlare tè Tà che se no la dobbiamo mandare via che ci fa rimettere”
“Si chiama Gema”
“Ecco Gema vaffanculo porcoddio proprio lei, parlaci Tà”
“E ci parlo, ma mica sono uno psicoterapeuta mago, se non ci sa fare, non ci sa fare”
“Teh parlaci gumba, fammi questacottesia”
E te la farò ‘sta cortesia, cosa devo dire. Tanto parla in italiano.
E poi arriva Praga e le luci e noi ci fiondiamo dentro come dei rapinatori a velocità mostruosa, che il Costa guida come Driver l’Imprendibile, anche se nessuno ha intenzione di prenderci.
Come mi sento integrato in questo mondo di classe e in queste attività raffinate, come mi sento estasiato da questo lessico ricercato da queste figure retoriche, insomma, mi sento proprio in famiglia.
“Costa cosa fai a Pasqua?” chiedo mentre dribbliamo ogni cosa che si muove nelle vie più storiche della città.
“Maaaaaah io gi bensavo di farmi una discesa a casa per rilassarmi quacc ciorn ma non ho ancora decis e tu?”
“Io la solita minchia Costa.”
“E allora prendiamo e ce ne andiamo ammare assieme Tààààà e ci sbattiamo i goglioni eddai Tà”
Controllo sul telefonino: piove a cannone a Pasqua laggiù, minima 12 massima 16, ma che cazzo andiamo ammare? Andiamo ammare con Schettino se lo avvisiamo.
Poi, finalmente, arriviamo.
Porta sul retro, ci sediamo a tavola, vino rosso, salame calabrese “che questi cazz di cechi fanno di manciare merda schifos, mancia, mancia gumba che è robbabuon” (tutto vero) e facciamo una merendina così, mentre Costafrate rolla le mie pastiglie per dormire.
Ci poteva essere accoglienza più familiare e calorosa?
No, credetemi.
No.
Casa.
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