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venerdì 10 marzo 2017

L'età

L’età porta a sfoderare, così, senza preavviso, una dignità ed un orgoglio magari mai posseduti prima. Si diventa autarchici, conservatori (nel senso di conservare ciò che si ha, magari nulla, magari sfighe) diffidenti e non più pronti alla qualunque, se non per dichiarati futili motivi.

E’ l’età e le sue implicazioni che impediscono alla Margherita, alla Signora Margherita, di indagare riguardo alla mia dissolvenza. Ed in luogo di una giovanile cazziata telefonica, Ella mi para dinnanzi un dignitoso silenzio, che io colgo, approvo e rispetto come un dolore funereo, soprattutto perché mi risparmia svariate rotture di coglioni (ed ecco il conservatore scrotale che compare d’improvviso).

E’ l’età che ancora non avanza quella che spinge il povero Max a soffrire d’amore per una zoccola dimmerda che nel matrimonio ha ravvisato unicamente una casa da dominare, una legittimata vita individuale e maggior danaro?
Mi sento di rispondere di sì, sentendomi ben qualificato a farlo, dopo aver depositato ai piedi di una sfigata riccia la mia esistenza straziata.
Straziata sì, buffa pure, immatura anche, ma non per sempre.

E’ l’età.
E’ l’età dei dubbi cessati e lasciati, orfani ed irrisolti, lì a marcire nel loro brodo.
E’ l’età dell’acquisto di quelle belle scatole di cartone ondulato dell’Ikea, all’interno delle quali riporre tutto ciò che è stato, tutto ciò che non è stato, tutto ciò che potrebbe essere se solo ci si impegnasse, ordinando senza attenzione tutte le questioni della nostra vita, rimanendo soli e faccia a faccia con la nostra straziata esistenza considerandola, per la prima volta, una straziata esistenza e basta.

E’ l’età.
Niente cure omeopatiche, niente rimedi cerusici, niente viaggi in Tibet, in Indocina o in Sarcazzia.
E’ sufficiente la Solita, o l’Osteria quella Nuova. E’ sufficiente sedersi scomodi a un tavolino scomodo, sapendo che il confort è assente.

Ecco.
Un’esistenza straziata e priva di confort, già depositata ai piedi di una sfigata.
Direi che non vi è da vantarsene, ma nemmeno da vergognarsene, semmai da convenirne, assolutamente da non andarne fieri, mai e poi mai da ostentarne la svolta come fosse un ciak al quale debbano seguirne degli applausi consolatori.

E’ l’età.
E’ lei che ti fa sentire a tuo agio fottendotene degli altri e del loro giudizio, sostegno incluso. E’ lei che ti dona orgoglio sì, ma non quello che deve dimostrare alcunché. Perché agli altri di te non gliene fotte un cazzo alla pari dello stesso cazzo di cui tu te ne fotti di loro e, al massimo, è una questione di consapevolezza, il discrimine appena percepibile.

E’ l’età che acuisce il tuo sano egoismo parossistico, che abbatte il ritegno (se al suo abbattimento corrisponde un’utilità di qualche tipo), che ti porta ad astenerti dal pronunciare pareri, poiché non darebbero mai seguito ad alcunché di concreto, che ti porta a destinare l’energia intellettiva come un fattore della produzione per il quale vigono leggi consumate, come il costo di opportunità.





P.S.
Ben ritrovata, Neofelis, un bacio vero.

martedì 7 marzo 2017

Osessione insensata

Seduti all’OqN (Osteria quella Nuova) mi inzuppo di Brachetto ascoltando due esseri che blaterano tristi ed affranti sulle loro disgrazie amorose. L’uno, il Max, incapace di drizzare la barra del timone di una barca nuziale destinata a schiantarsi sugli scogli, l’altro, il Sa-aaarti, tentennante sul riallacciare i rapporti con una Antonella santa&puttana che gli lancia una dubbia gomena a mare.
Mi rivedo, ancor più idiota, mentre nuoto affannato dietro al turbotraghetto sei piani con a bordo la Schizza che naviga lesta verso mari caldi del sud.

Mi chiedo perché l’uno, il Max, anziché affannarsi al timone non si tuffi raggiungendo la riva prima del naufragio, magari seguito dall’altro, il Sa-aaarti che , anziché afferrare quella gomena marcia non segua l’amico, direzione la sabbia, un mojito e una canna di panama red.
Mi chiedo anche perché io, il Tazietti, non ho smesso prima di nuotare dietro al turbotraghetto a sei piani, ma nel mentre mi prende un dolorino allo stomaco.

Da cui deduco che anche loro siano afflitti da ulcere all’anima di non facile guarigione.
Saremo noi italiani?
Provincialotti al punto che il rapporto di coppia assume la foggia di un pilastro inamovibile (ma perché?) tolto il quale, o crollato il quale, la nostra identità personale ne esce mutilata ed incompleta, per indecifrabili algoritimi illogici?
Sarà l’aria?
Sarà l’acqua?
Sarà la gara delle colpe in cui siamo maestri?

Sta di fatto che no.
Non diventiamo “peggiori” senza quella donna che tanto sollazzo fisico e morale ci dava, no.
L’amore per una donna è sovrastimato, deformato, pericoloso,  insussitente.
E’ una dolce frivolezza che allieta le giornate, ma mai l’esistenza, è un supplemento gratuito che ci dona serenità temporanea e noi uomini, per uno strano incantesimo infantile, pretendiamo la replicabilità eterna di una cosa che ci vede cambiare anche noi, giorno per giorno.

E non mi si foderi lo scroto dicendomi che ogni giorno l’amore muta in qualcosa di diverso e sempre nuovo, perché noi è l’innamoramento che vogliamo, non l’amore mutevole al mutare (yawn).
E quando finisce tutto, ripensiamo all’innamoramento e, giustamente, soffriamo.
Brachetto, oste della malora, Brachetto.

Sì.