Bella mossa, hai proprio messo a segno il punto con maestria
sopraffina, siine fiero, intacca il calcio del tuo fucile, cowboy, che un’altra
pellesozza è caduta sotto i tuoi colpi di maglio, che è così che si fa, si
studia l’ambiente, si valuta il nemico, si attende il momento e si sferra l’attacco.
Sono andato al Flamingo, senza piano, supponendo, forse sperando.
Ciao Giuliana, stasera indossi il pantalone a sigaretta di cretonne di
seta blu petrolio cangiante che poi continua e fascia e diventa un top che ti
lascia scoperta la schiena nuda e si annoda sulla nuca, perché di venerdì, sabato e domenica è
inutile vestirsi da tupamaros della salsa e del merengue, perché qui al
Flamingo arrivano cani e porci e non si riesce a figurare il ballo e allora che
senso ha, tanto vale stare comodi con classe, esticazzi, mi dico io, che se non
c’era la voglia di classe chissà come mi venivi, torno a dirmi.
Balliamo il lento Giuliana, che ti voglio palpare nella penombra della
saletta Clearasil, che speriamo mettano anche Il Tempo delle Mele, che tu mi fai
il sospiro e io ti palpo la pelle nuda che me lo fai tirare come se c’avessi
due stalloni avelignesi nelle mutande.
…and the moment that you wander far from me
I wanna feel you in my arms again…
Che poi sono stregato eh. Da quel collo del piede nudo che si intarsia
di diecimila tendini e vene e precipita giù, come una cascata amazzonica di
sesso, scivolando nella punta di quelle elegantissime peeptoe da vertigine di
vernice nere, da cui sbuca un quadrante di unghia dell’alluce, smaltata di
rosso, che per idiozia ti chiedo se sono Casadei, senza pensare che magari cinquecento
euro in un paio di scarpe tu non ce li metti, tu che fai l’eroica commessa nell’epoca
spread, e mi pento di averlo chiesto, però si rivela un complimento che
apprezzi e dici che noooo, però sorridi
orgogliosa, che ti fa piacere che l’abbia pensato perché allora vuol dire che
son belle e un po’ di culo nella vita, porca troia bestia, ci vuole anche a me.
Dio che schiena di carne di mammifera che c’hai Giuliana, che mi guardi
con gli occhi pieni di torbida paSione, mentre ti premo sul ventre sensualmente
molle la Nerchia Devastatrix in modalità Marble che c’ho una voglia di
annusarti la sorca che quasi nemmeno io riesco a crederci e così, memore delle
festine, chino la testa dirigendo alla tua bocca, accorciando gli spazi inter
labiali, procedendo lento come un mercantile a Suez.
… cause we’re living in a world of fools, breaking
us down
when they all should let us be, we belong to
you and me…
E le nostre labbra di liceali mummificati si appoggiano le une sulle altre
in un fugace bacino che non ne davo di così dal mesozoico e il riflesso
condizionato è quello di chiedere subito “Vuoi
essere la mia ragazza?”, ma mi trattengo, anche perché la Giuliana, quando
tento una seconda irruzione labbraiola mi dissuade sussurrandomi “SteLina no, che qua mi conoSe mezzo mondo
che non vedono l’ora di andare a spiateLare in giro che mi son baciata con un
bel figone…” e ride, ma io devo capire, perché se sto solo facendomi
cementare la minchia senza speranza è meglio che ci salutiamo che vado a farmi
insegnare delle filastrocche nigeriane in un centro culturale all’aperto che
conosco io, qui vicino. E allora chiedo “E
come facciamo?” con la proto delusione dell’adolescente disarmato che fa
tanto tenerezza e stimola la mamma a mostrare il suo lato sozzo. “Non ti preoCupare che faCiamo, SteLina, dobbiamo
solo aver un pochinino di pazienza” e torno a massaggiare la carne
mammifera e ci riaddressiamo in posizione e io palpo.
…to touch you, to hold you
to feel you, to need you…
E mi assale la sindrome del polipo, che la palpo dappertutto e lei si
fa palpare, calda, sudatina, e le domande si affannano, c’avrà il perizoma?, il
reggiseno non può umanamente avercelo e stringendole le mani dirigo sulle
tette, ma lei abbassa sorridendo sozza, poi la situazione non si contiene più e
lei mi dice, tecnica, stratega “Lo sai
dov’è la chiesa di Sugnazza?” e io rispondo di sì, chi non sa dov’è la
chiesa di Sugnazza? “Bene. A-lora faCiamo
così: te adesso vai via e tra un’ora ci vediamo là davanti, che così io torno
su dalla compagnia, mi faccio due balli e vengo via va bene?”.
E’ incredibile come si possa avere una disinvoltura disinibita quando
ci si infila la lingua negli orifizi più privati, quando si ammette uno
sconosciuto alla corte dei propri odori e sapori, quando si condivide il sonoro
del proprio piacere con qualcuno di ignoto per poi diventare, quando la bestia
si accoccola sazia, timidi e impacciati nel cucire una parvenza di dialogo che
conferisca un velo di umanità di circostanza a tanto ficcare animale.
La guardo, nuda, stesa di fianco a me. E’ incredibile come quello stato
di nudità, così urgentemente agognato per mesi, ora non significhi nulla,
divenendo realtà: un corpo segnato dal tempo sul quale sono stati pateticamente
impressi simboli di improbabile modernità: la figa depilata, il piercing all’ombelico,
il colibrì tatuato sul lombo di destra, giusto sopra il segno più chiaro di un
perizoma dozzinale.
Illusione. Ci siamo farciti di illusione, reciprocamente. Lei credeva di
aver trovato l’amante focoso che, intriso di passione, l’avrebbe accompagnata
per un tratto della sua esistenza sfiorita e cadente e io credevo di aver
trovato la laida amante che esprimesse la prova provata che il piacere per il
piacere può andare oltre all’età e mantenere vivaci e voraci di vita, immortali.
Illusione.
Deludenti l’uno con l’altra. Io non sono intriso di passione, ma solo
di sudiciume e lei non è un’amante laida drogata di piacere, ma solo una donna
che colma vuoti coi vuoti e che segue il distorto disegno che le suggerisce di svendere
sesso senza talento in cambio d’amore menzognero.
Non c’è amore, qui, Giuliana. No. Mi spiace di essere stato frainteso.
Se sono qui, ora, è solo perché volevo vedere le tue dita dei piedi.
E ora le ho viste, per cui andrei.
Buonanotte.