Sono solo. Sono rimasto solo. Tutti a casa.
Cammino lieve per il corridoio, guardando tutto come se fossi un ladro,
entrato per rubare.
Tracce di attività, di vita che al momento non c’è. L’ufficio vuoto è
sempre affascinante.
Cammino, arrivo dal Loca, poi entro da N, poi torno da me.
Mi tolgo le scarpe, poi le calze. Appoggio i piedi nudi sul pavimento
di legno laminato.
Mi tolgo il maglione e la maglietta. I capezzoli reagiscono, il
riscaldamento si è spento da un po’. Mi accarezzo la pancia, i seni, le
ascelle, mi annuso.
Poi sbottono i jeans, li tolgo. Faccio scivolare i boxer alle caviglie,
li tolgo, li annuso, sanno del mio sesso.
Mi alzo e esco.
Cammino completamente nudo nel corridoio e mi piace. Mi accarezzo le
natiche, sono liscio come un uovo.
Arrivo dalla Betty, mi inginocchio e annuso il sedile della sua sedia,
poi mi ci siedo.
Faccio aderire i testicoli alla stoffa e penso a quest’estate quando la
stessa stoffa aderiva alle sue cosce e alla sua passera ingabbiata nel cotone
del perizoma.
Mi scappello e sento l’aria.
Mi alzo e cammino, vado dai grafici. Cammino con l’uccello scappellato
e contraggo involontariamente, mi sto eccitando. Cammino tra i tavoli,
completamente nudo. Non ho addosso nemmeno l’orologio, un anello, niente. Torno
in corridoio, entro da N, raggiungo la postazione della Giogia.
Mi accoscio ad annusare la sedia e l’uccello mi scivola tra i piedi.
Stringo la cappella tra i talloni ed abbraccio la sedia.
Penso alla Domi in cucina che viene.
Percorro il solco delle natiche e accarezzo l’ano che, in quella
posizione, si estroflette ed è carnoso.
Penso a Rolex.
Quanto tempo.
Penso al suo petto ricoperto di quella peluria bianca sexy. Penso al
suo pisello grosso anche se corto.
Mi alzo e torno nel mio ufficio.
Mi rivesto.
T “Hey, ma è da una vita. Come
stai?”
R “Hey Tazio, ciao, bene bene e
tu?”
T “Bene. Mi sei venuto in mente e
ho detto ‘adesso lo chiamo, mica mi rimbalzerà sempre’ “
R “No ma che rimbalzare, è stato
un periodaccio, casini, un casino”
T “Ho capito. Tutto a posto
adesso?”
R “Pare di sì. Senti, ma come
stai?”
T “Io bene. Vai ancora là alla
sera?”
R “Uhm a volte sì, ma non spesso.
Tu?”
T “Zero, più tornato. Potremmo
andare a berci qualcosa se ti va, una sera”
R “Eh. Mi andrebbe sì, mi
andrebbe, cazzo. Non ho più vita ultimamente”
T “Dai facciamo una rimpatriata
la settimana prossima, cosa ne dici?”
R “Eh. Senti. La settimana
prossima è un casino per me, ma facciamo così: sentiamoci lunedì a quest’ora”
T “Ok”
R “Ok”
Ed il senso di colpa arriva, in silenzio, mentre premo il rosso del
telefonino.
Si siede davanti a me e ha il volto della Domi.
Merda.