Ecco qui.
Scaloppina al limone e insalatina anonima, un quartino di rosso, caffè, conto.
Ecco il pranzo taziale, del sabato taziale che precede la sera devastante taziosusiale.
Inspiro a pieni polmoni, seduto al tavolino davanti al barristorantepizzeriapasticceriaforneriatosatoriacaninaassisstenzatvradioriparazionebiciclettedacorsa, dove ho consumato il mio sobrio e saporito pasto, sorseggiando un Campari doppio che ci sta sempre.
Inspiro a pieni polmoni e considero cose molto adulte, molto serie e dolorose, come la constatazione dell’assenza totale (e ribadisco totale) dell’abbandono del collant nell’esercito femminile che mi transita innanzi. Niuni leggins con ballerina a pelle e sudore, niente. Certo, la stagione, certo. Ma secondo me c'è dell’altro che non so definire e che mi turba e preoccupa.
La mia odalisca bovina quest’oggi si fa toelettare dalla sua estetista di fiducia e mi ha chiesto il permesso di avere il pomeriggio libero, ma certo amore sconfinato, prenditelo pure, che so che è un investimento proficuo assai.
Questa sera astici e champagne in un posto strano che so io e poi armageddon tra le coltri, inalando coni ripieni di mariagiovanna che arde e che alla mia odalisca piace moltissimo.
Mi sento rilassato, primaverile, tiepido e positivo.
Il ritorno in Repubblica Ceca mi piace, mi ispira, mi stimola e mi mette allegria. Praga è bellissima amisgi, fidatevi. E’ un posto delizioso che accarezza gli occhi e induce tuffi nella storia che sono davvero belli.
Mi lascio trascinare da una deriva fantasiosa e intarsio una situazione deliziosa in cui mi vedo a Praga nelle molteplici vesti di alunno di ceco e russo, minuto gallerista raffinato e socio tenutario di un bordello piccolo e grazioso, poliedrico uomo d’affari che trascorre tempo amabile là e ritorna qua di tanto in tanto ad inzaccherarsi di lurido sublime tra le cosce miracolose della Sua Bovina Premiata. Una situazione davvero paradisiaca, dovrò lavorarci sopra con minuzia e precisione.
Inspiro a pieni polmoni, inspiro una cannetta stavolta.
Bello qui ai bordi del capoluogo di provincia taziale. Qui di giorno fa caldino come a Praga, con la differenza che là di notte si trema dal freddo e, per questo e per mille altri motivi, una coperta umana femminile di vera pelle è assolutamente necessaria.
Quattordici camerette del piacere, con quattordici selezionatissime donatrici di piacere. Niente di più. Tre piani dedicati alle morbide sozzure situati in una bella palazzina residente in una pulitissima via assolutamente vicina al centro: due piani del sesso più un piano per così dire “tecnico”, nel quale a vario titolo stabuliamo noi dello “staff”. E poi, accanto, l’alberghetto convenzionato, pulitissimo, con cucina italian style, sempre nostro de noialtri. Che sopraffina imprenditorialità, che classe, che nobile business. Mi considero un uomo arrivato e per tutto questo non ho che da ringraziare il mio Costafrate, che tanto ha insistito perché io entrassi a far parte di questa grande famiglia, ed io ne sono ora parte con orgoglio calabrese autentico, pur non essendo calabrese di nascita, ma oramai di adozione. Perfezionerò le H a breve.
Sarà la cannetta, sarà il Campari, sarà l’ascesi che mi ispira, ma a tratti del mio sublime meditare vedo la Susy inserita come prostitutona là dentro, strappandola così dalla salmonella pericolosa e inserendola nel suo elemento naturale: il cazzo. Ci penserò, mediterò, mi consulterò, valuterò, vedrò.
Che bel sabato taziale, amisgi.
Bellassai.
Pagine
sabato 21 marzo 2015
TransTazionale
Lunedì ore 15:00 partenza verso aeroporto.
Arrivo aeroporto, consegna macchina.
17:20 BOLOGNA MARCONI - 19:50 AMSTERDAM SCHIPHOL
20:50 AMSTERDAM SCHIPHOL - 22:20 PRAGA RUZYNE
Uscita approssimativa dall’aerostazione: 23:00
Costataxy pronto, trasporto verso bordelletto, ora di arrivo: mezzanotte circa.
Cena, doccione, nanna.
Todo molto bien.
(Prossima volta volo su Milano, che ci metto la metà)
Arrivo aeroporto, consegna macchina.
17:20 BOLOGNA MARCONI - 19:50 AMSTERDAM SCHIPHOL
20:50 AMSTERDAM SCHIPHOL - 22:20 PRAGA RUZYNE
Uscita approssimativa dall’aerostazione: 23:00
Costataxy pronto, trasporto verso bordelletto, ora di arrivo: mezzanotte circa.
Cena, doccione, nanna.
Todo molto bien.
(Prossima volta volo su Milano, che ci metto la metà)
venerdì 20 marzo 2015
L'erede
E’ così, sono così, non cambierò mai.
Ora che ho ritrovato la signorile accoglienza della Signora Susy mi sento ringalluzzito ed energico, pensando sognatore alla serata di stasera, al pomeriggio e alla serata di domani e di tutta la domenica. Perché la Susy Telefonica mi dà certezze al 120%, mi garantisce presenza attiva e appassionata, mi gorgoglia succosi liquami sorridenti, ci sta, mi vuole, è assertiva, pronta all’uso, arrapata, ingrifata, infoiata e allupata, che “i maschietti qui intorno mi fanno sboccare” e la capisco, poichè dopo la premiazione anche il più sborone qui intorno può andare a farsi seppellire alla discarica.
Concetto che traslo con facilità anche sul mio fronte, considerando che nessuna delle mignotte maiale a mia disposizione, pay o free, può avere la sensibilità, la grazia eccelsa, l’empatia, la complicità e la connessione verificatasi tra noi nel momento in cui la Somma Vacca Premiata mi ha indotto a giacere sulle ginocchia per succhiarmi il perineo prossimo all’esplosione, giocando senza remore col mio buco del culo, con la lingua, le dita, succhiando liquidi, dita, esplorando, frugando blasfema, insultando domineddio e la madonna vergine, sputando e insignendomi del pregevole titolo di Frocio Busone Dimmerda, portandomi a vibrare come un V8 Chevy, dilatando, aprendo, incitandomi a spingere forte, incurante dei miei peti, vogliosa di succhiare il rossore del mio intestino pieghettato e gioiosamente prolassante al pari del suo poco prima, dopo le mie violente cerimonie di premiazione.
Bella.
Puttanamente bella quando si tira da guerra, volgarmente destabilizzante, oscena generatrice di crisi oscillanti tra il disgusto di disapprovazione e il desiderio selvaggio da consumare all’istante, un capolavoro irripetibile, la nuova Ade dei tempi d’oro, sublime Troia dell’Impero della Sborra Fumante, la amo.
Stasera ceniamo assieme, sì.
E poi ci rintaniamo nella sua porcilaia a superare il tetto dell’osceno.
Minchiammerda, va a finire che a Praga non ci torno più!
Scherzo, ovviamente.
Scherzo.
Scherzo?
Sì dai, scherzo.
Ora che ho ritrovato la signorile accoglienza della Signora Susy mi sento ringalluzzito ed energico, pensando sognatore alla serata di stasera, al pomeriggio e alla serata di domani e di tutta la domenica. Perché la Susy Telefonica mi dà certezze al 120%, mi garantisce presenza attiva e appassionata, mi gorgoglia succosi liquami sorridenti, ci sta, mi vuole, è assertiva, pronta all’uso, arrapata, ingrifata, infoiata e allupata, che “i maschietti qui intorno mi fanno sboccare” e la capisco, poichè dopo la premiazione anche il più sborone qui intorno può andare a farsi seppellire alla discarica.
Concetto che traslo con facilità anche sul mio fronte, considerando che nessuna delle mignotte maiale a mia disposizione, pay o free, può avere la sensibilità, la grazia eccelsa, l’empatia, la complicità e la connessione verificatasi tra noi nel momento in cui la Somma Vacca Premiata mi ha indotto a giacere sulle ginocchia per succhiarmi il perineo prossimo all’esplosione, giocando senza remore col mio buco del culo, con la lingua, le dita, succhiando liquidi, dita, esplorando, frugando blasfema, insultando domineddio e la madonna vergine, sputando e insignendomi del pregevole titolo di Frocio Busone Dimmerda, portandomi a vibrare come un V8 Chevy, dilatando, aprendo, incitandomi a spingere forte, incurante dei miei peti, vogliosa di succhiare il rossore del mio intestino pieghettato e gioiosamente prolassante al pari del suo poco prima, dopo le mie violente cerimonie di premiazione.
Bella.
Puttanamente bella quando si tira da guerra, volgarmente destabilizzante, oscena generatrice di crisi oscillanti tra il disgusto di disapprovazione e il desiderio selvaggio da consumare all’istante, un capolavoro irripetibile, la nuova Ade dei tempi d’oro, sublime Troia dell’Impero della Sborra Fumante, la amo.
Stasera ceniamo assieme, sì.
E poi ci rintaniamo nella sua porcilaia a superare il tetto dell’osceno.
Minchiammerda, va a finire che a Praga non ci torno più!
Scherzo, ovviamente.
Scherzo.
Scherzo?
Sì dai, scherzo.
Premiazioni
Ti premio.
Ci sei stata come se non fosse passato un giorno e io ti premio, mia Vacca.
Ti premio indossando i Paramenti Sacri della Premiazione, mentre ti tormenti allupata e sbavante la Gran Sorca Sozzissima, osservando e mormorando “oddio”: indosso l’anello sotto la cappella, poi indosso il triplo anello che mi strozza la base del cazzo e mi gonfia i coglioni, mi ungo d’olio il Bastone Imperiale mentre esso comincia a divenire scurissimo, viola e intarsiato di vene sublimi, perché il premio prevede che tu sia battezzata dalla mia bestia in veste devastatrice e disumanamente devastante.
Ti premio, quindi, ficcandoti quell’arma letale di carne da sesso nei tuoi buchi slabbrati.
Assegnandoti il premio a prescindere dalle tue urla di dolore, perché vai premiata ovunque.
E il premio ti va assegnato selvaggiamente, come se fossi sordo e cieco, esattamente come lo hai sognato tu, Regina della Stalla e io, Gran Fattore Imperiale delle Vacche Sozze.
Ti premio per ore, orgoglioso di glassarti la faccia di sborra urlando blasfemo, rimanendo comunque mostruosamente duro e sensualmente deforme, pronto per rientrarti nel culo ferito e assegnarti premi minori, inzaccherandomi di liquide feci del piacere.
Ti premio sudando, godendo della tua fetida sporcizia animale.
Ti premio sino ad esalare l’ultimo rantolo di piacere, a quel punto, abbracciato al tuo untuoso corpo lurido, lasciando che lentamente il fenomeno ultratererreno riassuma fogge umane.
E a conclusione della premiazione brindiamo, dapprima urinandoti in bocca io, gioendo di come ingoi il Millesimato di Gran Vescica Imperiale che ho riservato per te, Vacca delle Vacche, Regina della Fiera della Bovina della Sborra, secondariamente bevendo avido i diversi schizzi di piscia rovente che mi spari in gola tenendo aperta la tua carnosa farfalla odorosa.
***
Torni dal cesso, mentre io giaccio sublime sulle tue coltri, fumando.
“Mi fa sangue il buco del culo” mormori assestandoti due pieghe di carta igienica tra le chiappe.
“Vieni qui” dico io, Padre e Padrone, Toro Loco e Montone, accogliendoti sotto il mio braccio, consentendoti di accoccolarti.
“Come mai niente smalto?” chiedo placido osservando quelle dita dei piedi sublimi da cui sorgono cresciute unghie giallastre, non per questo senza il loro fascino sensuale da favelas merdosa, anzi.
“Fra poco Taz, fra poco che arriva la primavera. Ma se te resti anche domani!...” e ridi.
Resto?
Non lo so se resto Siusibestia, è complicato, ma sii certa che se resto tu lo saprai.
Sei la Regina, la Premiata, la Bovina Campionessa, per cui sì, mettiti lo smalto.
E mi rilasso inalando l’acre profumo di ascelle, sessi, piscia, sborra e merda, beato di beatitudine, commosso di accoglienza.
E un po’ in colpa di aver, nel passato, tanto bistrattato quella Donna che, alla fine, si è dimostrata l’unica persona che tiene a me.
E io non posso che ricambiarla con tanto, tanto, tanto amore.
La Susy.
Ha!
Ci sei stata come se non fosse passato un giorno e io ti premio, mia Vacca.
Ti premio indossando i Paramenti Sacri della Premiazione, mentre ti tormenti allupata e sbavante la Gran Sorca Sozzissima, osservando e mormorando “oddio”: indosso l’anello sotto la cappella, poi indosso il triplo anello che mi strozza la base del cazzo e mi gonfia i coglioni, mi ungo d’olio il Bastone Imperiale mentre esso comincia a divenire scurissimo, viola e intarsiato di vene sublimi, perché il premio prevede che tu sia battezzata dalla mia bestia in veste devastatrice e disumanamente devastante.
Ti premio, quindi, ficcandoti quell’arma letale di carne da sesso nei tuoi buchi slabbrati.
Assegnandoti il premio a prescindere dalle tue urla di dolore, perché vai premiata ovunque.
E il premio ti va assegnato selvaggiamente, come se fossi sordo e cieco, esattamente come lo hai sognato tu, Regina della Stalla e io, Gran Fattore Imperiale delle Vacche Sozze.
Ti premio per ore, orgoglioso di glassarti la faccia di sborra urlando blasfemo, rimanendo comunque mostruosamente duro e sensualmente deforme, pronto per rientrarti nel culo ferito e assegnarti premi minori, inzaccherandomi di liquide feci del piacere.
Ti premio sudando, godendo della tua fetida sporcizia animale.
Ti premio sino ad esalare l’ultimo rantolo di piacere, a quel punto, abbracciato al tuo untuoso corpo lurido, lasciando che lentamente il fenomeno ultratererreno riassuma fogge umane.
E a conclusione della premiazione brindiamo, dapprima urinandoti in bocca io, gioendo di come ingoi il Millesimato di Gran Vescica Imperiale che ho riservato per te, Vacca delle Vacche, Regina della Fiera della Bovina della Sborra, secondariamente bevendo avido i diversi schizzi di piscia rovente che mi spari in gola tenendo aperta la tua carnosa farfalla odorosa.
***
Torni dal cesso, mentre io giaccio sublime sulle tue coltri, fumando.
“Mi fa sangue il buco del culo” mormori assestandoti due pieghe di carta igienica tra le chiappe.
“Vieni qui” dico io, Padre e Padrone, Toro Loco e Montone, accogliendoti sotto il mio braccio, consentendoti di accoccolarti.
“Come mai niente smalto?” chiedo placido osservando quelle dita dei piedi sublimi da cui sorgono cresciute unghie giallastre, non per questo senza il loro fascino sensuale da favelas merdosa, anzi.
“Fra poco Taz, fra poco che arriva la primavera. Ma se te resti anche domani!...” e ridi.
Resto?
Non lo so se resto Siusibestia, è complicato, ma sii certa che se resto tu lo saprai.
Sei la Regina, la Premiata, la Bovina Campionessa, per cui sì, mettiti lo smalto.
E mi rilasso inalando l’acre profumo di ascelle, sessi, piscia, sborra e merda, beato di beatitudine, commosso di accoglienza.
E un po’ in colpa di aver, nel passato, tanto bistrattato quella Donna che, alla fine, si è dimostrata l’unica persona che tiene a me.
E io non posso che ricambiarla con tanto, tanto, tanto amore.
La Susy.
Ha!
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Ubicazione:
Casa della Susy
mercoledì 18 marzo 2015
Considerazioni sane e ipotesi ben equilibrate
Bonjour.
Che ore travagliate. Ovviamente ieri sera non c’è stata nessuna Ale e nessuna Ade, come da copione. Ho mangiato una pizza da solo e poi ho camminato.
Sono passato sotto La Casa, che dista dalla mia casa poche centinaia di metri.
Buio totale, con addirittura il campanello schiacciato dentro sino ad affondare nella bottoniera. Evidentemente qualcuno s’è rotto le palle di un via vai carbonaro di nullo effetto. Per cui nessuna possibilità, nemmeno quella illusoria di potervi sussurrare l’Ex Corde Fortitudo nella speranza di sortire il “clack” della serratura, come un tempo.
E così i pensieri sono divenuti malinconici e sono andati aggrovigliandosi in ordine sparso: la Milly dov’è, la Frank dov’è, dov’è Alcyator, dove sono tutti. E da lì le “strategie di recupero”: potrei ricontattare la Coppia Bestia per avere delle notizie della Milly, forzare il Costa a scoprire dove si rintana la Frank a Milano, ma fortunatamente la mia parte razionale (seppur atrofizzata) mi blocca e mi dice: e poi?
Il passato è passato e di lui rimangono solo i ricordi, non c’è niente da fare. Questa discesa nei luoghi del paesello me lo sbatte in faccia ad ogni piè sospinto ed io, oramai, credo di aver ceduto ed essermene fatto una ragione. Nessun alloro per il ritorno del Taziol Prodigo, nessun vitello grasso da accoppare per magnarselo, nessuna festa, niente.
Certo, potrei andare a ravanare nel fondo del filtro melmoso dello scarico e andare a buttare una sarda marcia alla Siusiporno per vedere cosa succede; ma se non succede niente? E se anche lei mi assestasse un sonoro due di picche? Credo che a volte sia più saggio tenersi lontani dalle delusioni, ma poi mi insaggisco ancor di più e mi dico che può anche essere interessante saperle ridimensionare e ricollocare nel loro ruolo di ininfluenti illusioni. E lungo questa saggezza plutarchica si sviluppa il ricordo di quella cula dallo spacco giallastro che mi infoia e mi spinge ad andare a sorbire nel pomeriggio un caffettino al Paradiso del Vibrione Colerico e si vedrà.
Al telefono, prima, la Ade mi dice che “al 90%” sabato sera facciamo il seratone e io le comunico che il 90% non mi basta, al che lei si secca e mi dice che per lei, invece, assicurare il 90% è già uno sforzo notevole, sicché io la sgravio dallo “sforzo notevole” e la rilasso dicendo che che sabato sera ci riteniamo liberi, lei si incazza, io pure, nessuno dice niente e ci si saluta.
E allora metto in moto il cervello e considero che avendo in mano tutta la documentazione che attendevo ed essendo in possesso di una simpatica Yaris a noleggio, se per questi giorni non imbastisco una letamaiata satanica degna di tale nome faccio prua verso il Guglielmo Marconi e mi praghizzo.
Però stavolta faccio sul serio, non da cazzone.
D’accordo che vivo nel bordelletto, d’accordo che ne sarò socio, ma io devo mettermi in regola seria e costruttiva: voglio iscrivermi ad un corso per imparare bene sia il ceco che il russo, per essere così agevolato nel 70% dell’est europeo. Voglio integrarmi in Praga come dio comanda, pensando (perché no?) di aprirmi una piccola galleria d’arte moderna, riservata ai locali e ai turisti, nella quale (perché no?) ricominciare a dipingere e ad esporre (perché no?).
E tutto questo mi tranquillizza e mi energizza, senza nulla togliere ai progetti spermatici odierni di un caffettino al paesello e di uno spompinazzo alesco al palestrello e di una bella puttana stradale per il dopocena.
Mi pare di essere ben savio, o no?
Che ore travagliate. Ovviamente ieri sera non c’è stata nessuna Ale e nessuna Ade, come da copione. Ho mangiato una pizza da solo e poi ho camminato.
Sono passato sotto La Casa, che dista dalla mia casa poche centinaia di metri.
Buio totale, con addirittura il campanello schiacciato dentro sino ad affondare nella bottoniera. Evidentemente qualcuno s’è rotto le palle di un via vai carbonaro di nullo effetto. Per cui nessuna possibilità, nemmeno quella illusoria di potervi sussurrare l’Ex Corde Fortitudo nella speranza di sortire il “clack” della serratura, come un tempo.
E così i pensieri sono divenuti malinconici e sono andati aggrovigliandosi in ordine sparso: la Milly dov’è, la Frank dov’è, dov’è Alcyator, dove sono tutti. E da lì le “strategie di recupero”: potrei ricontattare la Coppia Bestia per avere delle notizie della Milly, forzare il Costa a scoprire dove si rintana la Frank a Milano, ma fortunatamente la mia parte razionale (seppur atrofizzata) mi blocca e mi dice: e poi?
Il passato è passato e di lui rimangono solo i ricordi, non c’è niente da fare. Questa discesa nei luoghi del paesello me lo sbatte in faccia ad ogni piè sospinto ed io, oramai, credo di aver ceduto ed essermene fatto una ragione. Nessun alloro per il ritorno del Taziol Prodigo, nessun vitello grasso da accoppare per magnarselo, nessuna festa, niente.
Certo, potrei andare a ravanare nel fondo del filtro melmoso dello scarico e andare a buttare una sarda marcia alla Siusiporno per vedere cosa succede; ma se non succede niente? E se anche lei mi assestasse un sonoro due di picche? Credo che a volte sia più saggio tenersi lontani dalle delusioni, ma poi mi insaggisco ancor di più e mi dico che può anche essere interessante saperle ridimensionare e ricollocare nel loro ruolo di ininfluenti illusioni. E lungo questa saggezza plutarchica si sviluppa il ricordo di quella cula dallo spacco giallastro che mi infoia e mi spinge ad andare a sorbire nel pomeriggio un caffettino al Paradiso del Vibrione Colerico e si vedrà.
Al telefono, prima, la Ade mi dice che “al 90%” sabato sera facciamo il seratone e io le comunico che il 90% non mi basta, al che lei si secca e mi dice che per lei, invece, assicurare il 90% è già uno sforzo notevole, sicché io la sgravio dallo “sforzo notevole” e la rilasso dicendo che che sabato sera ci riteniamo liberi, lei si incazza, io pure, nessuno dice niente e ci si saluta.
E allora metto in moto il cervello e considero che avendo in mano tutta la documentazione che attendevo ed essendo in possesso di una simpatica Yaris a noleggio, se per questi giorni non imbastisco una letamaiata satanica degna di tale nome faccio prua verso il Guglielmo Marconi e mi praghizzo.
Però stavolta faccio sul serio, non da cazzone.
D’accordo che vivo nel bordelletto, d’accordo che ne sarò socio, ma io devo mettermi in regola seria e costruttiva: voglio iscrivermi ad un corso per imparare bene sia il ceco che il russo, per essere così agevolato nel 70% dell’est europeo. Voglio integrarmi in Praga come dio comanda, pensando (perché no?) di aprirmi una piccola galleria d’arte moderna, riservata ai locali e ai turisti, nella quale (perché no?) ricominciare a dipingere e ad esporre (perché no?).
E tutto questo mi tranquillizza e mi energizza, senza nulla togliere ai progetti spermatici odierni di un caffettino al paesello e di uno spompinazzo alesco al palestrello e di una bella puttana stradale per il dopocena.
Mi pare di essere ben savio, o no?
martedì 17 marzo 2015
Ho voglia di culo
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Calzini blè per me, silvuplè.
Commessa carina che sei sulla quarantina, ma che sembri ancora la ragazzina fighina del liceino, ma dimmi ben bene, ma che cula perfetta c’hai? avvolta in quel pantalone color tortora che si abbina da dio alla clarchetta biscotto, con quella camiciola a fioretti pastello e il gillettino di lana punto minchiaafricana color marronglassè, che ti osservo e sei proprio fighina e quasi innocente, ma poi mi sorridi sussurrandomi “un attimo solo” e mi guardi con quegli occhi marcati dall’eyeliner scuro da cui sgocciola quel filo di troianesimo che mi impala la brocca e penso a quanti cazzi avrai visto con quelle pupille puttane che a momenti manco si vedono sotto la frangetta di quel taglio carrè fighino e ti immagino nuda, con la sorca rasata che ti tocchi guardandomi e sussurrandomi porcate blasfeme da portuale e il pilone si ingrossa che spero che tu lo veda, che mi imbullono dabbestia a pensare di affondare la faccia tra le tue chiappe odorose perché, commessa carina fighina, a quest’ora del giorno faresti godere come un cammello drogato il mio naso culattone se solo potesse infrattarsi nelle tue pliche calde a scoprire cosa è uscito in giornata dai buchi di sotto del tuo esile corpo di porca e poi, diciamocelo, tra le dita dei piedi prigionieri di collant e clarchette, che viscido odorino paradisiaco c’avrai diodellecittàedellimmunità, minchia se sei figa, commessa carina, con quelle unghie delle mani curate che vorrei tanto mi graffiassero cattive il perineo indossando quella fede nuziale dorata, mentre ti lecchi la bocca gaudente osservando quanto godo, perché secondo me tu, commessa carina, c’hai delle porcherie luride da paura nella tua cameretta segreta delle vaccate che mi fasi tirare il boma così abbestia che se issassi la randa, anche ridotta di due mani di terzaroli, mi fermerei non prima di Sasso Marconi facendo la camionabile, strisciando la chiglia nelle scintille, che neanche Cino Ricci troverebbe le parole, puttana di quella gran troia, che mica lo sapevo che per un set di calzini mi sarei ingrifato da faticare a tenere a bada il Taziosaurus Rex, che mi manifesta insistente (con le parole sue) l’esigenza mostruosa di ano sudaticcio da rompere in due, che erano mesi, cazzodiquellamerdavigliacca, che non si svegliava così assassino e tu sculi, ignara, con quella cula da sogno e io mi sciolgo a pensare allo spacco delle tue chiappe sudate e affanculo i calzini, ti faccio segno che torno dopo e mi rintano nel cesso dei maschi dell'Esselungaessepià a sbragagnarmi la fava sinchè non intonaco il muro di sborra, emettendo un urlo da alce garrotato e stasera, diocane, o ben che l’Ade o ben che l’Ale o ben che meglio che tutte e due, sporche e sudicie e pronte all’uso del Taziosaurus cannibale, che qui o si fa su la maiala o si muore.
Bonsuar.
Bonsuar.
domenica 15 marzo 2015
Considerando
Che io ormai l’ho capita ben che bene la fazenda con le mie due fidanzate eh, che una “c’ha da fare” tutto il giorno e anche tutte le sere con la sua “organizzazione eventi” che “cicci è il mio lavoro, ma ti presto la macchina se vuoi che me non mi serve” e quell’altra invece che ogni sera c’ha ‘na favola nuova da raccontarmi, ma che invece se di giorno mi presentassi alla palestra dell’ardimento in qualsiasi momento, si troverebbe ben che sempre quella mezz’oretta in cui farsi scanalare la cerbiatta pornopelosa nell’ufficetto chiuso a chiave.
C’è ben il suo bel poco da fare: il passato passa e solo gli stolti ignari presuntuosi come me pensano che, se lasciano e se ne vanno, quando tornano trovano la fila a leccargli i coglioni, perchè la vita è questa qui: il Max che si sposa mandandomi le partecipazioni, il Lumbe che c’ha un filarino fresco fresco su cui lavora solerte a piene mani inesperte, quello che se ne è andato, quella che cazzo ne so, facce nuove, bar rifatti, facce che non conosco che mi salutano, facce che conosco che non mi salutano, la vita è un fiume che si muove e tu o sei pesce di quel fiume oppure, se esci a fare il figo nel fiume di là, quando torni è un “vemò chi ghè, ciao ciao, come stai, è da una vita” e vaffanculo.
Tratto e negozio nella lurida notte con la puttana slovacca che batte laggiù e dò sfoggio di ceco che lei ride che s’ammazza, un po’ perchè essendo slovacca sarebbe la fighetta che parla un po’ diverso di suo che attizza i cechi, un po’ perchè le quattro cagate che dico devono averci la cadenza di Stanlio e, in un negoziato, Stanlio non è mica il più autorevole conduttore, ma alla fine lei ride, le sono simpatico e le piaccio e così ci troviamo la quadra e entriamo nel sedile di dietro, fameliche bestie, a ficcare tutti nudi come animali, senza preservativo, sulla bella pelle preziosa della macchina della Ade e ti devo dire, cara la mia SloVacca, che io son un gran bell’esperto di troie, e te mi puoi raccontare tutti i muggiti della vecchia fattoria per prendermi per il culo, ma se sbatti sul mio grembo rumorosa, cercandomi con le mani le mie mani e d’improvviso ti muovi sinuosa che sei uno spettacolo e mi bagni i coglioni beh, mia SloVacca, vuol dire che stai godendo maiala al midollo e se mentre ti sento godere ti slappo in bocca la lingua e mi vai in apnea con la tua serpentella che guizza nella mia, facendo blasfema e sacrilega eccezione al mandato sovrano della troia che dice “mai slinguare col cliente!”, vuol proprio dire che ‘sta tronca di minchia ti piace da pazzi così come il suo possessore e portatore sano e allora sudiamo e grugniamo, bella troia stradale, che ti faccio vibrare il bel corpicino pulitissimo liscio e inodore, inodore anche quando sudi lucida sui fianchi e bagnata sotto le braccia e dopo un’oretta che mi dedico e ti curo che di più non sono capace, ti sento che parti e dimeni il bacino sguaiata ed ipnotica, venendo in un urlo ansimato e io ti ci sborro di dentro a torrenti schizzanti, componendo con te un coretto animale che ci infoia abbestia selvaggia e mi sento ingrifato come un dio bestia cannibale e poi ci puliamo i liquidi sozzi e chiacchieriamo leggeri e ci baciamo dolcissimi da adolescenti al fioretto di maggio e poi me ne torno a casa a schiantarmi nudo sul futon, docciato e profumato e penso.
Penso che lunedì il commercialista e l’avvocato mi danno risposte e che se c’ho i documenti che aspetto monto al più presto sull’aeroplano e volo a Praga, che cazzo me ne frega. Torno a perfezionare il ceco e a rimirare sculettanti chiappe nude usufruibili senza permesso che mi deambulano a una spanna dal cazzo, nel piccolo bordello situato nella vecchia e romantica Praga infernale, bordelletto romantico popolato di troie rumene, moldave e ungheresi che fan finta di essere ceche per i polli italiani che, alla fine delle loro tristi monte, si proiettano rumorosi nel ristorante incorporato a mangiare i rigatoni al ragù e a dormire a grappolini nelle apposite camerette e la domenica sera ripartono felici per tornare a casa tronfi dell’aver annusato sorche esotiche, che così il lunedì mattina possono far la teatrinata al collega maritato, nell’ufficetto meschino, facendo i gran trombeur e la vita, vualà, chiude il cerchio del fiume anche per loro e a me resta solo l’amore del Costafrate, col quale ancora divido avventure d’affari sballate e col quale, ancora, è sensuale strusciarci puttane pornografiche, leccandoci avidi i genitali rasati e l’intenso sudore da uomo, penetrandoci da veri maschi i corpi eccitati, in gran segreto, in una delle stanzetta del bordelletto umido ma onesto.
Va ammesso, amisgi che un tempo numerossi mi seguivate da cassa, che a tutto c’è una fine e un inizio nuovo e va detto, Viaggiatore, che vorrei anche io aver da scrivere (e forse ancor prima da vivere) stralci della provincia inzaccherata di marchese, piscia, sborra, merda e tortellini, ma temo che da quando l’ho lasciata, questa maiala di merda della provincia busona mi abbia cancellato, evolvendo (?) senza di me, offesa e stizzita dal mio osare di abbandonarla e allora mi accontento dei soldi che c’ho (e son tanti stavolta, ma tanti tanti e non resisto dal farci lo sborone dopo tanta miseria vigliacca) e col rimpianto di pelle negra africana sudata che difficilissimamente riuscirò a tornare a leccare (anche se quello è il mio sogno di vita) mi stabilirò per un pochino a est, dove il sesso consumabile la fa da padrone e mi consente di ficcare la minchia d'amblè in corpi anonimi, sfregando in mucose straniere la mia voglia patologica di fica e di orgasmo, perchè è così che va, non c’è niente da fare, mio bel Viaggiatore piemontese raffinato che mi mandi in delirio culattone solo a guardarti il solco della schiena.
Per un po’ sarò un pendolare d’affari con l’affare che pendola, che in bizclass si sposta da là a qua e da qua a là, grufolando suino tra i perizomi macchiati di erotica suga bianca sgocciolata dalle fiche di vacca delle giovani odalische campagnole che si danno per soldi in città, ma si danno anche anche per amor del cazzo e del chiavare (va detto per onestà, amisgi) e poi mi concentrerò ad approfondire se val proprio la pena di indagare su Alina e la mia pseudo paternità moscovita, che se ho proprio voglia di mettere al mondo dei piccoli Tazi o delle piccole Tazie c’ho la fila rumenomoldavaucrainarussacecaslovacca
che non aspetta altro, perchè qui nel paese dei Farlocchi di tutto quello che non c’ho bisogno ce n’è da riempire i fossi e di quel che, invece, c’avrei bisogno non se ne vede traccia da mò e così io, Tazio Tazietti della famiglia Randelli Manganellati della Cappella, ho decretato solenne, stanotte, che la bottega è chiusa, stop, fine, cessata attività di ricerca del sentimento e dell’amore perchè mi sono sfracellato i coglioni dei miei sentimenti e delle mie attese che, amisgi, vengono regolarmente avvolti nel sacchettino e mollati civilmente nell’apposito cestino, perchè si prega la gentile clientela di non gettare nel cesso niente che non sia piscia o merda.
E così nei prossimi prendo appena posso e parto, vado nel clima più freddino, ma tanto nel bordelletto paradisiaco è caldo e le giovani puttanazze sculano nude e posso stare nudo anche io, che noi la primavera e l’estate ce la comperiamo o ce la facciamo in casa, così come l’amore, la pasta al ragù, le fidanzate e i fidanzati, che noi nel bordello non ci manca niente, nemmeno l’erbetta spinelluccia o robette più sofisticate, che di quel che voglio le sculanti schiavette non esitano a prodigarsi per darmi e vado a vivere nel limbo dei dannati, dannati e felici, capendo sempre più intensamente la Milly e mangiandomi il fegato ed il pancreas di non riuscire più a rintracciarla, perchè di tutto questo vomito assurdo quel che rimpiango di non aver approfondito di più (e per cui oggi mi ci mangerei il capitale che ammucchio come un criceto cocainomane) è lo stile, l’eleganza, la spietata crudeltà erotica di quella Donna Sublime che chissà dov’è e chissà che fa.
E scrivo e mi tira il cazzo, mi tira da far male, pensando alla Milly e ai suoi fetidi piedi divini, ai culi nudi che ondeggiano anche adesso a Praghemilia, all’odore di pelle nuda, al sapore del cazzo del Costa, al bruciore nel culo dopo essermi fatto sbattere da gruppi di anonimi maschi in una notte di meravigliosa orgia culattona sfogandomi come la troiona in calore che sono e mi chiedo, porcoddio, quanto cazzo vivrò ancora in questo mondo dimmerda, quanto tempo ancora dovrò sopravvivere a questa continua sollecitazione dell’incompiuto e dell’insoddisfatto, mischiando l’ansimare di godimento a quello della fatica di esistere senza dare nulla al mondo e senza variare di un millimetro il suo scorrere lento, che tanto scorrerebbe lento lo stesso e penso alla mia sempre amatissima ex moglie Vale e a quel suo modo troiesco di rientrare a casa togliendosi le mutande, accendendo una Marlboro e asciugandosi rapida un bourbon mentre si preparava la doccia, che chissà di quante sborrate secche era coperta, quella ninfomane maligna puttana e troia e divinamente crudele madonna dei cazzi, e a pensarla mi scappello e rincappello furioso, scrivendovi, con le mani bagnate di gocce limpide, voglioso di scoparvi tutti e tutte, ficcando, sbattendo, inculandovi fino a farvi schizzare piscia dalla pressione, immaginando poi le vostre mani che servono la cena e voi con quel dolorino nel retto che vi inarca appena la bocca in un sozzo sorriso al ricordo della Bestia Sovrana che vi ha montato con furia satanica, che non ne ha mai abbastanza, che non è mai appagato, che non è mai felice e che non è mai sazio, ma che rimane suo malgrado immutatamente Tazio.
Vi amo.
C’è ben il suo bel poco da fare: il passato passa e solo gli stolti ignari presuntuosi come me pensano che, se lasciano e se ne vanno, quando tornano trovano la fila a leccargli i coglioni, perchè la vita è questa qui: il Max che si sposa mandandomi le partecipazioni, il Lumbe che c’ha un filarino fresco fresco su cui lavora solerte a piene mani inesperte, quello che se ne è andato, quella che cazzo ne so, facce nuove, bar rifatti, facce che non conosco che mi salutano, facce che conosco che non mi salutano, la vita è un fiume che si muove e tu o sei pesce di quel fiume oppure, se esci a fare il figo nel fiume di là, quando torni è un “vemò chi ghè, ciao ciao, come stai, è da una vita” e vaffanculo.
Tratto e negozio nella lurida notte con la puttana slovacca che batte laggiù e dò sfoggio di ceco che lei ride che s’ammazza, un po’ perchè essendo slovacca sarebbe la fighetta che parla un po’ diverso di suo che attizza i cechi, un po’ perchè le quattro cagate che dico devono averci la cadenza di Stanlio e, in un negoziato, Stanlio non è mica il più autorevole conduttore, ma alla fine lei ride, le sono simpatico e le piaccio e così ci troviamo la quadra e entriamo nel sedile di dietro, fameliche bestie, a ficcare tutti nudi come animali, senza preservativo, sulla bella pelle preziosa della macchina della Ade e ti devo dire, cara la mia SloVacca, che io son un gran bell’esperto di troie, e te mi puoi raccontare tutti i muggiti della vecchia fattoria per prendermi per il culo, ma se sbatti sul mio grembo rumorosa, cercandomi con le mani le mie mani e d’improvviso ti muovi sinuosa che sei uno spettacolo e mi bagni i coglioni beh, mia SloVacca, vuol dire che stai godendo maiala al midollo e se mentre ti sento godere ti slappo in bocca la lingua e mi vai in apnea con la tua serpentella che guizza nella mia, facendo blasfema e sacrilega eccezione al mandato sovrano della troia che dice “mai slinguare col cliente!”, vuol proprio dire che ‘sta tronca di minchia ti piace da pazzi così come il suo possessore e portatore sano e allora sudiamo e grugniamo, bella troia stradale, che ti faccio vibrare il bel corpicino pulitissimo liscio e inodore, inodore anche quando sudi lucida sui fianchi e bagnata sotto le braccia e dopo un’oretta che mi dedico e ti curo che di più non sono capace, ti sento che parti e dimeni il bacino sguaiata ed ipnotica, venendo in un urlo ansimato e io ti ci sborro di dentro a torrenti schizzanti, componendo con te un coretto animale che ci infoia abbestia selvaggia e mi sento ingrifato come un dio bestia cannibale e poi ci puliamo i liquidi sozzi e chiacchieriamo leggeri e ci baciamo dolcissimi da adolescenti al fioretto di maggio e poi me ne torno a casa a schiantarmi nudo sul futon, docciato e profumato e penso.
Penso che lunedì il commercialista e l’avvocato mi danno risposte e che se c’ho i documenti che aspetto monto al più presto sull’aeroplano e volo a Praga, che cazzo me ne frega. Torno a perfezionare il ceco e a rimirare sculettanti chiappe nude usufruibili senza permesso che mi deambulano a una spanna dal cazzo, nel piccolo bordello situato nella vecchia e romantica Praga infernale, bordelletto romantico popolato di troie rumene, moldave e ungheresi che fan finta di essere ceche per i polli italiani che, alla fine delle loro tristi monte, si proiettano rumorosi nel ristorante incorporato a mangiare i rigatoni al ragù e a dormire a grappolini nelle apposite camerette e la domenica sera ripartono felici per tornare a casa tronfi dell’aver annusato sorche esotiche, che così il lunedì mattina possono far la teatrinata al collega maritato, nell’ufficetto meschino, facendo i gran trombeur e la vita, vualà, chiude il cerchio del fiume anche per loro e a me resta solo l’amore del Costafrate, col quale ancora divido avventure d’affari sballate e col quale, ancora, è sensuale strusciarci puttane pornografiche, leccandoci avidi i genitali rasati e l’intenso sudore da uomo, penetrandoci da veri maschi i corpi eccitati, in gran segreto, in una delle stanzetta del bordelletto umido ma onesto.
Va ammesso, amisgi che un tempo numerossi mi seguivate da cassa, che a tutto c’è una fine e un inizio nuovo e va detto, Viaggiatore, che vorrei anche io aver da scrivere (e forse ancor prima da vivere) stralci della provincia inzaccherata di marchese, piscia, sborra, merda e tortellini, ma temo che da quando l’ho lasciata, questa maiala di merda della provincia busona mi abbia cancellato, evolvendo (?) senza di me, offesa e stizzita dal mio osare di abbandonarla e allora mi accontento dei soldi che c’ho (e son tanti stavolta, ma tanti tanti e non resisto dal farci lo sborone dopo tanta miseria vigliacca) e col rimpianto di pelle negra africana sudata che difficilissimamente riuscirò a tornare a leccare (anche se quello è il mio sogno di vita) mi stabilirò per un pochino a est, dove il sesso consumabile la fa da padrone e mi consente di ficcare la minchia d'amblè in corpi anonimi, sfregando in mucose straniere la mia voglia patologica di fica e di orgasmo, perchè è così che va, non c’è niente da fare, mio bel Viaggiatore piemontese raffinato che mi mandi in delirio culattone solo a guardarti il solco della schiena.
Per un po’ sarò un pendolare d’affari con l’affare che pendola, che in bizclass si sposta da là a qua e da qua a là, grufolando suino tra i perizomi macchiati di erotica suga bianca sgocciolata dalle fiche di vacca delle giovani odalische campagnole che si danno per soldi in città, ma si danno anche anche per amor del cazzo e del chiavare (va detto per onestà, amisgi) e poi mi concentrerò ad approfondire se val proprio la pena di indagare su Alina e la mia pseudo paternità moscovita, che se ho proprio voglia di mettere al mondo dei piccoli Tazi o delle piccole Tazie c’ho la fila rumenomoldavaucrainarussacecaslovacca
che non aspetta altro, perchè qui nel paese dei Farlocchi di tutto quello che non c’ho bisogno ce n’è da riempire i fossi e di quel che, invece, c’avrei bisogno non se ne vede traccia da mò e così io, Tazio Tazietti della famiglia Randelli Manganellati della Cappella, ho decretato solenne, stanotte, che la bottega è chiusa, stop, fine, cessata attività di ricerca del sentimento e dell’amore perchè mi sono sfracellato i coglioni dei miei sentimenti e delle mie attese che, amisgi, vengono regolarmente avvolti nel sacchettino e mollati civilmente nell’apposito cestino, perchè si prega la gentile clientela di non gettare nel cesso niente che non sia piscia o merda.
E così nei prossimi prendo appena posso e parto, vado nel clima più freddino, ma tanto nel bordelletto paradisiaco è caldo e le giovani puttanazze sculano nude e posso stare nudo anche io, che noi la primavera e l’estate ce la comperiamo o ce la facciamo in casa, così come l’amore, la pasta al ragù, le fidanzate e i fidanzati, che noi nel bordello non ci manca niente, nemmeno l’erbetta spinelluccia o robette più sofisticate, che di quel che voglio le sculanti schiavette non esitano a prodigarsi per darmi e vado a vivere nel limbo dei dannati, dannati e felici, capendo sempre più intensamente la Milly e mangiandomi il fegato ed il pancreas di non riuscire più a rintracciarla, perchè di tutto questo vomito assurdo quel che rimpiango di non aver approfondito di più (e per cui oggi mi ci mangerei il capitale che ammucchio come un criceto cocainomane) è lo stile, l’eleganza, la spietata crudeltà erotica di quella Donna Sublime che chissà dov’è e chissà che fa.
E scrivo e mi tira il cazzo, mi tira da far male, pensando alla Milly e ai suoi fetidi piedi divini, ai culi nudi che ondeggiano anche adesso a Praghemilia, all’odore di pelle nuda, al sapore del cazzo del Costa, al bruciore nel culo dopo essermi fatto sbattere da gruppi di anonimi maschi in una notte di meravigliosa orgia culattona sfogandomi come la troiona in calore che sono e mi chiedo, porcoddio, quanto cazzo vivrò ancora in questo mondo dimmerda, quanto tempo ancora dovrò sopravvivere a questa continua sollecitazione dell’incompiuto e dell’insoddisfatto, mischiando l’ansimare di godimento a quello della fatica di esistere senza dare nulla al mondo e senza variare di un millimetro il suo scorrere lento, che tanto scorrerebbe lento lo stesso e penso alla mia sempre amatissima ex moglie Vale e a quel suo modo troiesco di rientrare a casa togliendosi le mutande, accendendo una Marlboro e asciugandosi rapida un bourbon mentre si preparava la doccia, che chissà di quante sborrate secche era coperta, quella ninfomane maligna puttana e troia e divinamente crudele madonna dei cazzi, e a pensarla mi scappello e rincappello furioso, scrivendovi, con le mani bagnate di gocce limpide, voglioso di scoparvi tutti e tutte, ficcando, sbattendo, inculandovi fino a farvi schizzare piscia dalla pressione, immaginando poi le vostre mani che servono la cena e voi con quel dolorino nel retto che vi inarca appena la bocca in un sozzo sorriso al ricordo della Bestia Sovrana che vi ha montato con furia satanica, che non ne ha mai abbastanza, che non è mai appagato, che non è mai felice e che non è mai sazio, ma che rimane suo malgrado immutatamente Tazio.
Vi amo.
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