There's a man I meet
Walks up our street
He's a worker for the council
Has been twenty years
And he takes no lip off nobody
And litter off the gutter
Puts it in a bag
And never thinks to mutter
And he packs his lunch in a Sunblest bag
The children call him Bogie
He never lets on
But I know 'cause he once told me
He let me know a secret
About the money in his kitty
He's gonna buy a dinghy
Gonna call her Dignity
And I'll sail her up the west coast
Through villages and towns
I'll be on my holidays
They'll be doing their rounds
They'll ask me how I got her I'll say
I saved my money
They'll say isn't she pretty
That ship called Dignity
And I'm telling this story
In a faraway scene
Sipping down Raki
And reading Maynard Keynes
And I'm thinking about home
And all that means
And a place in the winter
For Dignity
And I'll sail her up the west coast
Through villages and towns
I'll be on my holidays
They'll be doing their rounds
They'll ask me how I got her I'll say
I saved my money
They'll say isn't she pretty
That ship called Dignity
Set it up set it up set it up set it up set it up set it up
Yeah set it up again set it up again set it up again set it up again
Set it up set it up set it up set it up set it up set it up
Yeah set it up again set it up again set it up again set it up again
And I'm thinking about home
And I'm thinking about faith
And I'm thinking about work
And I'm thinking
How good it would be
To be here some day
On a ship called Dignity
A ship called Dignity
That ship
Pagine
venerdì 30 agosto 2013
Il chiosco
E allora cosa succede, succede che il Tazio, nella sua più buia e travagliata parabola discendente (ammesso che ve ne sia mai stata una ascendente), quella sera si mescola all'estiva plebe di città e va a bersi, rigorosamente in solitaria, un birrino fresco al chiosco del parco che c'ha anche i tavolini di ferro con le sedie di ferro che fanno quello sferragliamento insopportabile sulla ghiaina bianca, avvolto dalla sua aura di sfiga cronica che lo caratterizza in maniera univoca.
Il Tazio sta lì, appoggiato al banco a pensare a fava, sorseggiando una Moretti Baffo D'Oro che, a un tratto, da non sa nemmeno lui dove, sbuca una Cougar, una di quelle d'assalto, una d'arrembaggio, una di quelle made in china per quanta roba finta c'ha addosso, a partire da un improbabile bracciale di Bulgari, per continuare con la lunga biondaggine platinata infingarda, tradita da nera ricrescita dozzinale, per finire con due meloni di silicone purissimo che non le sarebbero stati addosso da veri manco vent'anni prima perchè costei è alta, magra, slanciata e si vede che è (giustamente) da tettina piccola, ma tant'è.
La Cougar abborda il Tazio con la più melensa delle ragioni e il Tazio la guarda nel suo vacuo blaterare e considera alcune cose essenziali, come è nella natura del Tazio riflessivo e di buonsenso: ha veramente dei bei piedi scopabilissimi e delle belle mani, delle belle gambe, dei bei lineamenti del viso, un naso sottile e ben (ri?)fatto, una bella bocca luminosa di denti candidi di fabbrica e un'abbronzatura non esagerata, un buon profumo e, complessivamente, quell'aria da troia che su una Cougar, probabilmente alla soglia dei cinquanta, non guasta affatto.
La Cougar parla e il Tazio le offre da bere, costei ordina un mojito d'ordinanza e si accoccola al banco facendo moine e mossette compulsive, come quella di scodazzare la chioma da una parte per assumere lo sguardo felino a cui manca solo un grrrr d'accompagnamento, sbattendo fatale le ciglione sugli occhi azzurri, il cui colore si auspica non derivi da lenti a contatto colorate.
Il tema si snoda su un noioso "ma io sono convinta che ci siamo già visti" e il Tazio asseconda, un po' per assenza di energia utile al contrasto verso l'agguerita fiera selvaggia, un po' nella pragmatica considerazione keynesiana che non chiava da un pezzo e che 'sto tronco di troia potrebbe porre rimedio ai bisogni innalzando l'utilità marginale e abbattendo il costo della zoccola stradale di prassi notturna in crisi di astinenza.
E così il Tazio, che è farabutto in entrambe le eliche del DNA, comincia a chiedere se conosce la Daniela, il Fausto, la Sonia, Roberto, Marcello, Silvano, Deodato e Raniero, inventando nomi e situazioni inesistenti per allungare il tempo di approccio e sistemare con sapienza, qui e lì, consunte battute in ottimo stato di conservazione, alle quali la Cougar ride con anche troppo entusiasmo, a siglare ce c'è simpatia tra di noe, invitando il Tazio a progredire sul terreno della conquista.
La Cougar gli ricorda blandamente la Ade, seppur ogni paragone con la Ade è pura eresia, perchè la Dea Ade è unica, mitologica, suprema ed inafferrabile, ma tale vago ricordo lo culla sull'onda dei quesiti, quesiti eistenziali e saggiamente adulti, quesiti del tipo "Se la raserà la topa?", "Si farà inculare?" ed altre domande che un uomo che vive col suo tempo e la performàns deve porsi.
Dopo tre mojiti e quattro Baffo D'Oro il Tazio bastardo, perfettamente conscio del ruolo di avvocato difensore dell'alcol, seppure il quantitativo ingerito non fosse utile manco per sogno a troncare i tubi dell'olio dei freni inibitori, pone la sua mano sul sensuale ginocchio della Cougar e, avvicinandosi al suo orecchio, snocciola in maniera asciutta, seppur fascinosa, alcune porcherie riguardanti la sua lingua e le natiche di lei, sortendo un riso molle apparentemente (ed insostenibilmente) imbarazzato e da lì ridi ridi che ti riridi e nell'arco di una mezz'orata il Tazio e la Cougar giacevano ridanciani ed ignudi nella topaia temporanea del Tazio situata nel capoluogo di provincia taziale.
Topa pelata, tatuaggio tribale sopra lo spacco del culo, piercing all'ombelico, tette marmoree causa inserimento protesi, la Cougar era proprio un bel pezzo di scrofa da monta, magari un tantino troppo marcata nella teatralità scesciuale, ma a tale nota fessa il Tazio poneva sapiente rimedio ingozzandola di solido e robusto cazzo rampazzo che le impediva mugugni esagerati, indirizzando la sua bocca verso usi che ne valorizzavano maggiormente le qualità. La linguagione sulle morbide carni trovava ampio spazio, preludendo a crescenti scenari di ficcagione proficua, con sempre più probabili ipotesi di inculagione, dato il piacere che le dita da pianista del Tazio producevano infrattandosi birbone nel polposo ano, leggermente estroflesso da una probabile sofferenza emorroidale. La tensione virava verso l'unica convergenza possibile, ovvero l'occlusione del bucone ficale a mezzo pennone di carne di porco, se non che la Cougarona in calore, con ansimante voce scesciuale pone un quesito alieno, spiazzante, stordente.
"Ce l'hai?", chiede la Cougarona al Tazione, ed egli capisce d'impatto che il quesito non è certo riferito al tronco di puro porco crudo che gli svetta tra le gambe, ma al famigerato preservativo. Il Tazio si vede costretto a dire che no, che lui non ce l'ha, ribaltando il quesito alla Cougar che, sollevando la chioma con aria improvvisamente non più ridanciana e nettamente meno scesciuale, sancisce un secco e financo seccato "No".
Inutili i tentativi del Tazio di proporre ugualmente la ficcagione, poichè la Cougarona, in preda ad un improvviso cambio di umore, non certo vaginale, prende a vestirsi stizzita, borbottando insulti tollerabili al Tazio, sprovveduto e sfigato, imponendogli lezioncine su ciò che si deve avere in casa se si accetta una serata "trasgressiva" e, dopo essersi arrampicata sui sabottoni da cui si era calata nemmeno mezz'ora prima, lo saluta seccata avviandosi alla porta ed il Tazio, meschino e vigliacco, tenta vanamente di strapparle un numero di telefono, puntualmente negato in corrispondenza dello sbattimento deciso dell'uscio della topaia.
Il Tazio siede sul letto osservando la maestosa erezione che svetta incurante dello stato d'animo dell'uomo inutile che scivola lentamente lungo il pendio dell'inettitudine persino nel settore che lo ha visto incontrastato imperatore per secoli e, come gli eventi della sua vita di questi tempi, il Tazio si piega alle necessità del suo trivellone e incomincia una sega lenta, riavvolgendo la bobina delle immagini recenti dei buchi slabbrati di quella vecchia troia di merda che Satana se la porti affanculo e viene, rigorosamente in solitaria, ammantato (seppur ignudo) da una finissima stola di sfiga pregiata.
Il Tazio sta lì, appoggiato al banco a pensare a fava, sorseggiando una Moretti Baffo D'Oro che, a un tratto, da non sa nemmeno lui dove, sbuca una Cougar, una di quelle d'assalto, una d'arrembaggio, una di quelle made in china per quanta roba finta c'ha addosso, a partire da un improbabile bracciale di Bulgari, per continuare con la lunga biondaggine platinata infingarda, tradita da nera ricrescita dozzinale, per finire con due meloni di silicone purissimo che non le sarebbero stati addosso da veri manco vent'anni prima perchè costei è alta, magra, slanciata e si vede che è (giustamente) da tettina piccola, ma tant'è.
La Cougar abborda il Tazio con la più melensa delle ragioni e il Tazio la guarda nel suo vacuo blaterare e considera alcune cose essenziali, come è nella natura del Tazio riflessivo e di buonsenso: ha veramente dei bei piedi scopabilissimi e delle belle mani, delle belle gambe, dei bei lineamenti del viso, un naso sottile e ben (ri?)fatto, una bella bocca luminosa di denti candidi di fabbrica e un'abbronzatura non esagerata, un buon profumo e, complessivamente, quell'aria da troia che su una Cougar, probabilmente alla soglia dei cinquanta, non guasta affatto.
La Cougar parla e il Tazio le offre da bere, costei ordina un mojito d'ordinanza e si accoccola al banco facendo moine e mossette compulsive, come quella di scodazzare la chioma da una parte per assumere lo sguardo felino a cui manca solo un grrrr d'accompagnamento, sbattendo fatale le ciglione sugli occhi azzurri, il cui colore si auspica non derivi da lenti a contatto colorate.
Il tema si snoda su un noioso "ma io sono convinta che ci siamo già visti" e il Tazio asseconda, un po' per assenza di energia utile al contrasto verso l'agguerita fiera selvaggia, un po' nella pragmatica considerazione keynesiana che non chiava da un pezzo e che 'sto tronco di troia potrebbe porre rimedio ai bisogni innalzando l'utilità marginale e abbattendo il costo della zoccola stradale di prassi notturna in crisi di astinenza.
E così il Tazio, che è farabutto in entrambe le eliche del DNA, comincia a chiedere se conosce la Daniela, il Fausto, la Sonia, Roberto, Marcello, Silvano, Deodato e Raniero, inventando nomi e situazioni inesistenti per allungare il tempo di approccio e sistemare con sapienza, qui e lì, consunte battute in ottimo stato di conservazione, alle quali la Cougar ride con anche troppo entusiasmo, a siglare ce c'è simpatia tra di noe, invitando il Tazio a progredire sul terreno della conquista.
La Cougar gli ricorda blandamente la Ade, seppur ogni paragone con la Ade è pura eresia, perchè la Dea Ade è unica, mitologica, suprema ed inafferrabile, ma tale vago ricordo lo culla sull'onda dei quesiti, quesiti eistenziali e saggiamente adulti, quesiti del tipo "Se la raserà la topa?", "Si farà inculare?" ed altre domande che un uomo che vive col suo tempo e la performàns deve porsi.
Dopo tre mojiti e quattro Baffo D'Oro il Tazio bastardo, perfettamente conscio del ruolo di avvocato difensore dell'alcol, seppure il quantitativo ingerito non fosse utile manco per sogno a troncare i tubi dell'olio dei freni inibitori, pone la sua mano sul sensuale ginocchio della Cougar e, avvicinandosi al suo orecchio, snocciola in maniera asciutta, seppur fascinosa, alcune porcherie riguardanti la sua lingua e le natiche di lei, sortendo un riso molle apparentemente (ed insostenibilmente) imbarazzato e da lì ridi ridi che ti riridi e nell'arco di una mezz'orata il Tazio e la Cougar giacevano ridanciani ed ignudi nella topaia temporanea del Tazio situata nel capoluogo di provincia taziale.
Topa pelata, tatuaggio tribale sopra lo spacco del culo, piercing all'ombelico, tette marmoree causa inserimento protesi, la Cougar era proprio un bel pezzo di scrofa da monta, magari un tantino troppo marcata nella teatralità scesciuale, ma a tale nota fessa il Tazio poneva sapiente rimedio ingozzandola di solido e robusto cazzo rampazzo che le impediva mugugni esagerati, indirizzando la sua bocca verso usi che ne valorizzavano maggiormente le qualità. La linguagione sulle morbide carni trovava ampio spazio, preludendo a crescenti scenari di ficcagione proficua, con sempre più probabili ipotesi di inculagione, dato il piacere che le dita da pianista del Tazio producevano infrattandosi birbone nel polposo ano, leggermente estroflesso da una probabile sofferenza emorroidale. La tensione virava verso l'unica convergenza possibile, ovvero l'occlusione del bucone ficale a mezzo pennone di carne di porco, se non che la Cougarona in calore, con ansimante voce scesciuale pone un quesito alieno, spiazzante, stordente.
"Ce l'hai?", chiede la Cougarona al Tazione, ed egli capisce d'impatto che il quesito non è certo riferito al tronco di puro porco crudo che gli svetta tra le gambe, ma al famigerato preservativo. Il Tazio si vede costretto a dire che no, che lui non ce l'ha, ribaltando il quesito alla Cougar che, sollevando la chioma con aria improvvisamente non più ridanciana e nettamente meno scesciuale, sancisce un secco e financo seccato "No".
Inutili i tentativi del Tazio di proporre ugualmente la ficcagione, poichè la Cougarona, in preda ad un improvviso cambio di umore, non certo vaginale, prende a vestirsi stizzita, borbottando insulti tollerabili al Tazio, sprovveduto e sfigato, imponendogli lezioncine su ciò che si deve avere in casa se si accetta una serata "trasgressiva" e, dopo essersi arrampicata sui sabottoni da cui si era calata nemmeno mezz'ora prima, lo saluta seccata avviandosi alla porta ed il Tazio, meschino e vigliacco, tenta vanamente di strapparle un numero di telefono, puntualmente negato in corrispondenza dello sbattimento deciso dell'uscio della topaia.
Il Tazio siede sul letto osservando la maestosa erezione che svetta incurante dello stato d'animo dell'uomo inutile che scivola lentamente lungo il pendio dell'inettitudine persino nel settore che lo ha visto incontrastato imperatore per secoli e, come gli eventi della sua vita di questi tempi, il Tazio si piega alle necessità del suo trivellone e incomincia una sega lenta, riavvolgendo la bobina delle immagini recenti dei buchi slabbrati di quella vecchia troia di merda che Satana se la porti affanculo e viene, rigorosamente in solitaria, ammantato (seppur ignudo) da una finissima stola di sfiga pregiata.
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