Pagine

venerdì 18 maggio 2012

Lieta gradevolezza


Che serata gradevole.
Senza una scivolata, senza nemmeno una lontanissima ombra di sozzura, nulla. Non un’occhiata, nulla. Veramente gradevole. Che Chiaretta deliziosa che ho. Ne sono orgoglioso a dismisura.
Che bellezza, ogni tanto, essere umani. E chiacchierare di antiquariato con Renè e Silvana antiquari e di futuro e di aspettative con la giovane e intelligente Chiara e che bello quando mi si chiede, mi si fa parlare di questo e di quello e mi si porta, a sorpresa, a parlare di arte moderna e design.
Una splendida serata, con splendide persone.
Tutte e tre.

giovedì 17 maggio 2012

La solitudine del Ruggi


Inattesa, a mezzogiorno, arriva la telefonata del Ruggi. Rimango stupito di saperlo in zona, lo facevo ad Acapulco con un mojito in mano. Mi chiede se pranzo con lui, una cosa alla buona, al tennisclebb, che ce la raccontiamo un pochino. Accetto e vado.

Sarò sintetico.
Il Ruggi e la Ade hanno chiuso, per sempre. Lui è qui perché questa mattina è andato dall’avvocato della Ade a firmare la separazione. Quella vera, stavolta. Vera senza possibilità di recupero, perché nessuno dei due è interessato a un recupero. Lei non c’era dall’avvocato, stamattina. Ha firmato ieri l’altro. Separazione consensuale, senza drammi e senza urli. Si sono accordati, lui ha sganciato, adesso aspettano l’udienza.

“Sai cosa costa il giocattolo Ade all’anno, escluse le macchine? Non bastano centocinquantamila. Di vestiti, scarpe, profumi, estetista, parrucchiera, palestra, droga, gigolò professionisti, cene, pranzi e regalie, perché la Adelina con i miei soldi ha anche fatto la benefattrice verso spiantati che se la chiavavano” mi dice insaccato nelle spalle, ruotando con due dita lo stelo del calice di vino.
Lo so bene, lo so. Sono stato uno di loro, ho goduto della beneficenza, sono venuto qui a pranzo oggi a bordo di quella beneficienza. E’ che io mi sono limitato a una Marzedes del 1998 del valore di duemila euro. Bazzecole.

E rimango lì ad ascoltarlo, intervenendo giusto per fargli capire che lo ascolto. Non lo definirei disperato d’amore spezzato, non lo definirei incazzato, né distrutto. Lo definirei amareggiato. L’amarezza di sapere che, stante che l’amore non c’era più (ammesso che vi sia mai stato, aggiungo) e stante che stava tutto assieme perché foderato di banconote, vederla andare via ha persino svilito il denaro che lui poteva spendere.

“Nemmeno i miei soldi andavano bene, alla fine. Le mie cartone da 500 euro valevano meno di quelle del tizio che la mantiene adesso” commenta con un sorriso, per l’appunto, amaro. D’istinto impongo al mio cervello di non chiedersi e di non chiedere. La Ade ha mollato tutti, alla fine. Me compreso.

Poi cambia repentinamente, tanto per non perdere la fama di eclettico uomo che padroneggia tutto, sia che la sorte sia buona, sia che la sorte sia cattiva.
“Alura, Tazietti, come vanno le cose? E la casa? Ti trovi? Ti piace? Ti sei trasferito finalmente?” stringendomi l’avambraccio e scuotendomi. Ne approfitto per esporre il mio disagio. La casa non è mia, vale una fortuna che non ho, non c’è un cazzo di straccio di contratto d’affitto e suggerisco di sistemare bene le cose, perché per trasferirmi vorrei che le cose fossero in ordine per entrambi.
Ci pensa, mi chiede una sigaretta e poi china la testa, come se fosse schiacciato da un peso enorme.

“Tazio, non ti devi preoccupare. Facciamo come ti fa sentire meglio. Certo che per me pagare l’IMU anche su quella casa è una bella rottura di cazzo. Venderla non la venderò MAI se non a te, perché chi è il pazzo scatenato che spende quel che sarebbe giusto chiedere là in mezzo al niente? Per me alla fine è solo una rottura di coglioni e un costo. Calcola che io sto qui un po’ per sistemare delle cose per quell’avventura deficiente del Relais Resort Relax, che con un colpo di mano incredibile sono riuscito a piazzare a… vabbè non importa a chi e come, volevo solo dire che sono qua per un po’ e se ti va ci possiamo rivedere e io ci penso a come fare. Perché io, Tazietti, quando ho sistemato un po’ di cose, non tutte perché tutte non le sistemerò MAI, io evaporo, puf, via, andato. Me ne vado nel Bordeaux, mi compro una casa lì e ci rimango”

Una volta si apriva un bar ai Caraibi. Adesso si va nel Bordeaux. Dopo aver smantellato e svenduto le fortune accumulate sino ad oggi.

Massì Ruggi, vediamoci, ci mancherebbe. Sarà gradita l’occasione per dirti quanto pezzo di merda sei stato con me nel passato, sarà gradita l’occasione per spaccarti la faccia a pugni e sarà gradita l’occasione per metterci, dopo, una pietra di sopra e tornare, forse, ad essere gli amici dei vecchi tempi sani.
Perché, che tu ci creda o no, a me, contrariamente a quanto hai fatto tu, di saperti solo e mandato costosamente affanculo, mi fa stare male.
Per cui ok, vediamoci quando vuoi.

mercoledì 16 maggio 2012

Conversazioni nell'Universo Parallelo


“Ho deciso di abbassare la soglia di selettività, Tazio” – mi dice Milly infossata nel vecchio divano di pelle, con addosso la vestaglia di seta nera semiaperta – “e così ho ricontattato alcuni esclusi dell’anno scorso. Una parte erano quelli che c’erano qui stasera”
Mi informo su quali fossero i precedenti criteri di selezione.
“Non c’era un criterio matematico, si consideravano molti elementi, non ultimo quello della possibilità, per alcuni, di essere riconosciuto da altri che avrebbero potuto usare la notizia contro di loro. Veti dal consiglio, se vuoi.”
Capisco. Bisogna avere soldi e essere o innocui o amici degli amici degli amici.

Habana siede ai suoi piedi, sul tappeto, aggrappata al suo polpaccio, con addosso una camicia a quadri da uomo, molto, ma molto più ampia di lei. L’uomo se ne sarà andato e la camicia sarà restata, in assonanza con la vestaglia di Milly. I capelli le stanno ricrescendo, è stupenda in ogni modo.

“A che punto sei con la meditazione sulle feste Milly?” chiedo anche per organizzarmi.
“Buono. Anzi ottimo, direi. Ti aggiorno. Le feste non verranno fatte qui, ma in Villa […]. Ho ottenuto l’uso da uno dei soci benemeriti. Verrà fissato un giorno della settimana, che credo sarà il venerdì, che così anche se si fa mattina il giorno dopo è un sabato. Le feste saranno a pagamento, ma certo non per te Tazio. Ogni venerdì una festa, alcune a tema, altre semplici feste di gala danzanti con buffet”

Semplici feste di gala danzanti con buffet. Fatico a isolare il minimalismo dalla frase.
Grandiosa, però, l’idea delle feste in quella Villa. E’ enorme, dai miei ricordi. Ci sono entrato solo una volta, sei milioni di anni fa. Molte potenzialità, sì, molte.
Poi scende in dettagli economici. Prezzo per persona, persone potenziali. Un botto. A quel punto chiedo diretto quant’è la quota associativa annuale. Moltiplico per i soci, aggiungo le feste e rimango basito.
Mi guarda con un ghigno satanico.
“Vuoi sposarmi adesso, amore, vero?” e ride, portando la mano dietro la nuca di Habana, tirandola a sé, e la Bella d’Ebano capisce al volo, scivola sinuosa tra le gambe di Milly che si spalancano e comincia a leccarle le fica, mentre l’Imperatrice si accende una fetida Gauloise.
E geme lieve,  soffiando il fumo verso l’alto.

Adoro i post serata nella zona demilitarizzata degli appartamenti millyani.
“Hai una data di debutto?” le chiedo.
“Non ancora” - mormora palesemente distratta dalla lingua rosa che le guizza rapida tra i peli corvini – “ci sono alcuni lavori di completamento, imbiancature, tappezzerie, arredi che devono essere completati. Penso verso la fine del mese prossimo, approssimativamente” e poi aspira aria tra i denti, guardando il viso di Habana con un sorriso, carezzandole la testa ispida di capelli in crescita.

“Notizie di Inquieta?” – le chiedo assestandomi sulla seduta, perché alla Bella d’Ebano è scivolata la camicia scoprendo una spalla e quella pelle nera e quello slurpare rumoroso, zuppo e compulsivo me l’hanno fatto diventare durissimo ed avrei bisogno di tirarlo fuori per dargli sollievo.

“Quella vecchia troia. Sembra che…” – ed interrompe per mugolare a bocca aperta sorridendo alla vitellina leccante – “… sembra che voglia aprirsi un Circolo.. su…suo…” – e geme di nuovo scivolando sulla seduta per offrire di più la fica alla divinità nera – “… ma io me ne sbatto… tirerò fuori qualcosa di impe…di imperiale da qui… non la temo di cer..to” – ed ondeggia il bacino, arricciando le dita dei piedi. E io conosco bene quelle dita dei piedi e so che quando si arricciano Milly comincia ad essere vicina. Come non capirla, d’altra parte, con una vitellina così dedicata e devota che le slurpa salivosa la fica infilandole le dita in tutti i buchi dilatati.
“Ti sei chiavato la su…sua tro…ia?” mi chiede scomposta, con palese riferimento a Svetlana.
“No” rispondo godendo di vederla godere.
“Cosa aspetti? Fattela… vai a… a prend…derla…” mi dice abbandonandosi sullo schienale, oramai incapace di sostenere la conversazione. Subdola Milly, a questo punto si fa senza esclusione di colpi, vero?

Adoro i post serata qui.
Taccio e le guardo. E penso che questo è un vero Universo Parallelo e che lei è veramente un’Imperatrice.
E dopo un certo tempo Milly si tira i capezzoli sino a deformarli, con l’acconciatura disfatta riversa all’indietro, squarciando l’aria con un urlo violento, sollevando i piedi da terra, con quelle belle dita arricciate.
Sì, è un meraviglioso Universo Parallelo.
E io ne faccio parte attiva.
Delizia.

Null'altro che una cena


Il Salotto Verde è dominio della Coppia Bestia e del Giovanotto Solitario.
Silvana, la Donna Bestia, lo cavalca lentamente, col vestito arrotolato sulla pancia.
Culo nudo, seni nudi, gambe nude, slipper argento ai piedi. Si accoppiano sul divanetto, lui seduto, i pantaloni e i boxer arrotolati alle caviglie, lei sopra, saldamente impalata sul cazzo.
Alle spalle di lei, sull’altro divanetto, siede Renè, il Marito Bestia. Che osserva quello scorrere lucido e quel culo ondeggiante. Che ascolta i gemiti e il rarefatto fraseggio osceno tra i due.
Mi siedo accanto a lui. E guardo assieme a lui.
D’istinto allungo la mano palpando il gonfiore duro nei suoi pantaloni.
Con un cenno degli occhi mi indica che non vuole.
E io ritiro immediatamente la mano, con la bocca che si asciuga dall’acquolina che l’aveva invasa.
Ma Renè non vuole che si sappia.
Non vuole essere visto.
Vuole mantenere intatta la sua rispettabile reputazione di Marito Bestia Cornuto Guardone.

“Scusami per prima Tazio” – mi dice in separata sede più tardi – “ma preferisco che certe cose rimangano in un più confortevole privato circoscritto, spero potrai capirmi”
“Certo, non preoccuparti minimamente” – lo rassicuro – “anzi, perdonami tu per l’impulsività. Quando vorrai aprirmi le porte al tuo confortevole privato circoscritto, ne sarò onorato”.
“Ma sono sempre aperte, Tazio, ci mancherebbe. Troviamoci al di fuori di qui, qualche volta. Sarebbe un grande piacere per noi se ci frequentassimo”

Che persone squisite, davvero. Ne approfitto per confidarmi con loro sul mio desiderio di presentargli la Skizza, sul cui piacere, però, nutro un’unica riserva relativa alla mia personale necessità di non far trapelare in alcun modo della Casa e del nostro passatempo, poiché vorrei mantenere quel posto un mio privato campo di gioco e Renè e la Silvana mi rassicurano, dicendosi onorati di conoscerla, rassicurandomi che in alcun modo verrà fatto cenno alla Casa, attestandomi piena comprensione in merito ai miei desideri di riservatezza.
Che persone squisite.

“Ventiquattro anni, Tazio, immagino che splendore sarà” dice Silvana con aria di congratulazione.
“E’ deliziosa, davvero” rispondo con eccitazione.
“Ha mai ‘giocato’? Sai se le potrebbe piacere?” mi chiede Silvana ed io sento il masticare delle sue piccole labbra.
“Ha giocato, con me e con altri l’anno scorso, ma ne serba un ricordo sgradevole” rispondo veritiero.
“Non è obbligatorio ‘giocare’, in ogni caso.” aggiunge lei guardandomi negli occhi.
“No, non lo è, effettivamente”

Domani sera, ci confermiamo in giornata.
Una cena in zona neutra.
Mica è obbligatorio giocare, no.
E’ solo una cena.

Violini, cavalle, champagne e striscioline


Raphaèl transita dalla Sala del Tè al Salone Principale con in mano un vassoio con tre bicchieri di champagne, destinati alle Musiciste in pausa. Lo fermo e dico che lo porto io, come succede nella commedia americana anni cinquanta. Ed entro con un motivo serio nel Salone Principale dove Milly sta ancora mettendo a loro agio i Nuovi Arrivati.
Lo appoggio sul pianoforte, sorridente come si conviene ad uno stupendo esemplare di maschio par mio.
Porgo i bicchieri a ciascuna delle Maestre e approfitto dell’occasione per approcciare la Violinista.
Facile approfittarne, d’altro canto: le altre due, quando sono in pausa, si barricano dietro al pianoforte, interponendolo tra gli occhi del Salone e i loro corpi nudi.

Accenno a un brindisi, ricambiato. La Violinista ha il sorriso sozzo ed anche lo sguardo, ma stasera quest’ultimo è di difficile individuazione, considerata la benda di organza.
“E’ difficile suonare con quella?” chiedo per rompere gli indugi.
“No. Ci si vede bene attraverso e poi io riuscirei a suonare anche ad occhi chiusi” mi risponde lenta.
La guardo. Mi guarda che la guardo.
Mi incuriosisce quell’importante tatuaggio rotondo sotto l’ombelico, con quei segni interni strani, diversi dallo stile dei classici tatuaggi.
“Bello quel disegno” – dico mentendo, accennando con lo sguardo al cerchio – “ha qualche significato preciso?”
Si accarezza la pancia nel punto in cui è tatuata, la massaggia, la strizza appena e mi risponde.
“E’ un simbolo azteco propiziatorio della fertilità femminile” mi risponde massaggiandosi erotica, con la bocca appena piegata a sorrisino lercio.

E io mi distraggo solo una frazione di secondo, frazione in cui resto stupefatto a considerare l’immane quantità di troiate che dicono i tatuatori, che per quante mila ne dicano, tanti mila più uno che se le bevono ne trovano.

“Propiziatorio della fertilità…” - ripeto, avvertendo un fremito al frenulo – “…e tu sei molto fertile quindi?” - insisto, indagando su quel tema per me molto erotico.
Beve un sorso di champagne, sorride e poi sussurra lenta, alzando il mento equino a segno non verbale di essere perfettamente in grado di reggere il flirt.
“Molto fertile… sono anche in piena ovulazione, ora …“ e trovo la conversazione sublime.
Mi avvicino al suo orecchio. Voglio non lasciare alcun dubbio su di me.

“Sei molto bella… molto sexy…” – inizio con un filo di voce nell’orecchio destro che lei mi porge come fosse una scodella nella quale dovessero gocciolare le mie parole – “…i tuoi piedi sono stupendi e mi seducono…” – informazione che ritengo essenziale fornire sin da subito per non generare confusione - “…però, se mi è consentito e vorrai accettare un mio consiglio, io questa” – ed alla parola ‘questa’ scorro il dito sulla strisciolina di peli neri del pube, scorrimento che la induce istintivamente a spingere appena indietro il sedere per sottrarsi allo scorrimento medesimo – “…la eliminerei. Ce l’hai bella, perché distrarre gli sguardi con ornamenti inutili?”

 Bagliore di denti bianchi scoperti dal sorriso debosciato. Mi guarda riprendere la posizione frontale che avevo abbandonato per far gocciolare le mie parole nella scodella auricolare.
“Dobbiamo ricominciare ora…” dice prendendo archetto e strumento, senza perdere la piega sozza della bocca.
“Ti tengo d’occhio…” le dico sorridente, arretrando di un passo con la mano sinistra in tasca, mentre con l’indice e il medio della destra indico i miei occhi e poi, con il solo indice, punto lei, con un piglio molto Bruce Willis, che sdrammatizza col ridicolo, fa ridere e pensare “che simpatico figlio di puttana porco laido puttaniere che mi vuole scopare” che quando una donna lo pensa di te, tu sei già col naso a dieci centimetri dal suo sacro buco.

E lei ride, ottimo segno, e porta alla spalla il violino, continuando a guardarmi laidamente sorridente.

Che bel flirt.
Non mi rimane che tenerla d’occhio, a questo punto.
Me lo dico come se ce ne fosse bisogno.
Cavalla erotica.
Già.