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sabato 28 gennaio 2012

Approfondimenti estremi

Seguendo un preziosissimo consiglio datomi da Federica stamattina in chat, alle ore 13:00 sono partito alla volta di Domiziopoli, non annunciando il mio arrivo, con la ferma intenzione di setacciare la questione Domi per ottenerne un profilo sostenibile razionalmente, qualsiasi fosse il risultato, positivo o negativo.

Non sono stato accolto a braccia aperte, com’era prevedibile, ma ho comunque ottenuto la facoltà di parlare essendo ascoltato. Ho premesso che la mia presenza a casa sua era volta ad ottenere istruzioni circa quello che stava succedendo. Ho precisato che dette istruzioni, una volta ottenute con chiarezza sufficiente ad essere capite da me, sarebbero diventate acquisite: in altre parole, non sarebbero state soggette a nuova discussione nei tempi a seguire da parte mia, fatto salvo che lei stessa non sentisse la necessità di sostituire le istruzioni con nuove istruzioni aggiornate, rivedute e corrette.
Abbiamo adottato le procedure della qualità, in buona sostanza.

Bene. Ho allora proceduto a porre una serie di quesiti in merito a quanto sta verificandosi, ma più nello specifico mi sono premurato di chiedere che cosa dovrebbe succedere nel tempo di sospensione che lei mi richiede, che tipo di evento fosse in grado di dirimere il dilemma in merito alla mia possibilità di essere amato o meno. Ho ottenuto un’escalation di precisazioni, nel senso che dapprima le risposte erano evasive, ma incalzandola si sono fatte via via più precise, sino a giungere in statu quo.

Ed eccone la sintesi.
Mi accusa di aver interpretato il nostro rapporto con esagerata esuberanza, ponendola in disegni futuri dei quali lei non si è mai posta questione né necessità, invadendo il suo spazio vitale con i miei ingombri, invadendo persino la sua città, andando addirittura ad abitare a duecento metri da lei, frequentando i suoi amici e la sua compagnia. Troppo, tutto troppo e troppo in fretta. La cosa le genera ansia, senso di soffocamento, pressione, poiché attualmente lei non è in grado di disegnare il futuro con me, mentre io sembro avanti dieci anni, parlando di primavera, limoni, vacanze e mare e lei non si sente a suo agio.

Benissimo, dico. Benissimo se non fosse che a) queste motivazioni non sono le stesse di domenica scorsa e b) non abbia mai espresso un minimo di disagio o dissenso nelle cose che dicevo e facevo, ma al contrario era concorde e addirittura “felice” e c) rimarrebbe comunque ferma la democratica libertà, anche per me, persino per me, di cambiare città e casa sino a che Domiziopoli non diverrà un feudo e lei la feudataria. Ma non era la polemica il mio obiettivo ed allora ho posto un quesito più articolato, nella consapevolezza che la risposta potesse essere oggettivamente difficile, cosa che invece non s’è poi verificata.
Ho chiesto di effettuare un’ipotesi nella quale io NON mi trasferisca, NON la monopolizzi, NON faccia progetti sul futuro, NON mi introduca nella sua cerchia di amici (che poi, oh, a una cena sono andato eh) ed ho chiesto se, con quel quadro mutato, l’ansia andrebbe dissipatandosi e lei, in tali condizioni, fosse disposta a rimettersi con me ed ho ottenuto un lesto e rapido no. Motivazione del no? “Perché è finita Tazio, è fi-ni-ta, abbiamo avuto una storia di due mesi scarsi, sono successe delle cose e per me è finita.”
E se è fi-ni-ta cosa stiamo aspettando? Che tempo le serve? Non importa, avanti.

Istruzione numero uno: è finita. Su questo non ci tornerò mai più, come da premessa. E da promessa. Sottolineo che lo scopo di questa visita è, dal mio punto di vista, raccogliere il maggior numero di elementi utili a costruire giorni futuri totalmente diversi da quelli infernali appena trascorsi e lei concorda. Me ne attesta il dovere, prima che il diritto. Ed allora pongo un altro quesito. Chiedo se c’è qualcun altro. E mi viene risposto di no in maniera assai poco convincente ed allora scavo di più, motivando l’insistenza come perseguimento di quel diritto/dovere di cui sopra che ci ha trovato incidentalmente concordi e timidamente compare una situazione leggermente difforme dal no iniziale: si vede con un amico, ma sono solo amici e non è successo niente. Sai a me che problemi se anche fosse successo qualcosa. Ma incalzo, perché di amici con cui non è successo niente ne ha trecendosedici e io, francamente, non capisco che cosa distingua quell’uno dagli altri trecentoquindici.

Ed allora, per esasperazione, ma anche perché controllava l’orologio di continuo, quindi per fretta, mi rivela che questa persona la conosce da anni, che si sono sempre piaciuti e incrociati quando lei stava con qualcuno e lui no, poi lei si è mollata con il numero tre, ma lui si era appena messo con una donna e poi, prima di San Silvestro, egli ha interrotto i rapporti con quella donna e lei, ha iniziato a sentirlo e adesso lo frequenta, ma non è successo niente, nemmeno si sono detti che si piacciono.

Bene.
Acquisisco anche questa istruzione. E faccio verbalizzante sintesi.
Le dico che è una disonesta e falsa, ma glielo dico con calma, senza sbottare. Le dico di considerarsi totalmente libera e per sempre e le chiedo di non riservare a questa persona le menzogne che ha riservato a me. Poi, mentre tentava di avviare una mini arringa difensiva, la interrompo dicendole che andavo.
E sono tornato a casa.
Inutile commentare e rivedere le frasi e gli anacoluti, poiché tutto è di una chiarezza cristallina.

Lunedì darò disposizione al commercialista affinché contatti il proprietario di casa per proporre una transazione sulla penale, considerato che ci sono entrato una volta con Max e che la polvere che c’era sta ancora nella medesima disposizione che aveva quando ho ricevuto le chiavi.

L’argomento Domi è archiviato. Ho un gatto vivo nello stomaco, ma ha ragione lei: si è trattata di una storiella scopaiola di due mesi, colpa mia che l’ho sopravvalutata. Ma adesso basta. Non basta dire basta al dolore, ma è sufficiente dire basta alle mortificazioni ed alle umiliazioni inflitte senza nessun motivo di sostanza. E’ l’ennesima farabutta presa per il culo, se non smetto di infilarmici, mi conviene incominciare a dire che mi piace, per salvare la faccia.

L’unica cosa di cui sono felice è di non aver fatto saltare l’appuntamento con la Nica per questo chiarimento.
E’ quanto.
Grazie di avermi convinto Fede.

Compleanno

Questo blog oggi compie un anno. Pensa te. Un anno. E’ la cosa più costante che ho fatto in tutta la mia vita. Ho scritto quasi 1.500 post, molti dei quali si perderanno perché il file xml che mi consente di esportare Splinder non viene pappato da Blogger. Ho totalizzato 25.018 visite uniche e i miei post sono stati letti 87.840 volte. Tutto ciò ha dell’incredibile. Non avete proprio niente da fare, eh.
Se scrivete Grancazzo Rampazzo in Google esco subito io. Ma anche con Tazio Bettina, Tazio Domi, Squaw Marina. Son soddisfazioni eh.
Già.

La stagnazione della tangenziale

Ho la sensazione che si sia arrivati ad un punto di stagnazione. Non ci sono più dovute evoluzioni rabbiose o dolenti o dialettiche. Tutto è stato fatto e ora tutto stagna. Forse anche l’essersi masturbati al telefono contribuisce a far stagnare. Ora non ci sono più passaggi fondamentali, tutto si racchiude attorno ad una necessità di tempo e all’incertezza dell’amarmi.
Per cui adesso è come dopo il funerale: passato l’isterismo delle cose da fare, arriva la depressione e la presa di coscienza del lutto. La situazione stagna, è così, è persino inutile parlarne. Essere mollati con riserva è una delle cose più schifose che esistano. Non ti consente di trovare la pace della disperazione, non ti concede nemmeno una dignitosa depressione.
E il cazzo torna a tirarmi e non riesco a darmi tregua.
Ci sono le puttane in tangenziale di sabato mattina?

Out of control

Sarà stata colpa della foto del blog. Non lo so. Ma mi ha preso una voglia di lei da far male. Asfissiante, soffocante, irrimandabile necessità di leccarla. Di assaporarla, di annusarla. Mi sono fatto una sega, ma non ha avuto nessun effetto lenitivo.
E allora l’ho chiamata.
E le ho sbrodolato, con la voce bruciata del mattino, le ho sbavato le mille voglie sozze di lei che ho.
La sentivo respirare intensamente, senza dire una parola. Le ho descritto dove erano le dita della mano destra, cosa toccavano, lo stato in cui era ciò che toccavano, dove si infilavano.
Le ho detto dove avrei voluto piantare il naso, cosa avrei voluto annusare, che odore volevo.
Senza pietà, senza pietose allusioni, senza eufemismi.
Crudamente fuori controllo.
Le ho grugnito quanto non riesca a togliermi dagli occhi di quando se la spalanca per farmela leccare, passandosi le mani sotto le cosce come un’attrice porno, sollevando i piedi in aria e poi le ho grugnito di cosa farei ai suoi piedi e dove mi infilerei il suo magnifico alluce e ho sentito un sospiro che conosco, che conosco molto bene.
E ho continuato. Continuato. Continuato.
E mentre le dicevo che progetti avrei su di lei e su quel dildo a due teste l’ho sentita sussurrare “vengo”.
E sono venuto anch’io in un rantolo isterico e l’ho sentita venire cantando, soave.

“Non ce la faccio più Domi a starti lontano”
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
“Devi darmi del tempo, Tazio, ti prego”

E ho pensato a quelle dita eleganti che ora sapevano di figa.
Spero che la Nica mi faccia molto male, stasera.

Il Pigmalione e la Squaw

Un’ora. Ci ho messo un’ora intera a depilarti completamente. E’ stato così intimo. Ed eccitante. Tendere la pelle e passare il rasoio vicino al clitoride. Dirti con estrema calma che avrei potuto recidertelo, se solo avessi voluto, e tu non avresti potuto impedirmelo. E ho goduto dei tuoi brividi. Ho goduto nel vedere con chiarezza che ti bagnavi. Certo, un po’ di scena ci voleva. TI voleva. La volevi anche se non lo sapevi. I guanti di lattice, ad esempio. Danno un’aria così chirurgica. Ma di una chirurgia messicana, di quella che si perpetua clandestinamente nei luridi retrobottega di Tijuana ad opera di medici a cui la licenza è stata tolta, medici che operano sporchi, fumando, ubriachi. E così io, fumato e bevuto, con l’accappatoio aperto ed il cazzo che penzola, ma con i guanti di lattice. E tu stai lì, gonfia di voglie sozze, legata alla sedia, a gambe aperte, spalancando ai miei occhi sconosciuti il tesoro, la dote, l’intimità preziosa che avresti dovuto serbare per donarla al tuo sposo come il bene supremo che nessun altro mai ha violato.
Al lume di candela ti depilo la fica. Legata alla sedia. Nuda. E tutte quelle che ci stanno leggendo, Marina, provano un sussulto e la voglia sozza di essere al tuo posto, lo sai?

I tuoi piedini piccoli, regolari, anonimi, dalle dita tutte simili e cilindriche, poggiano sul pavimento orribile della mia cucina di merda. Ti guardo, nuda e cruda, adesso ancor più impietosamente nuda, e ti trovo oscenamente attraente. Ti sei lavata con accuratezza quasi maniacale, sei inodore ed insapore, fastidiosamente pulita, ma io so che un corpo con queste forme, con questa pelle, con questi nei, ebbene, un corpo così può donare eccitazioni olfattive sublimi. La rotella ti dà sensazioni magnifiche. Sui capezzoli rosati, sul clitoride gonfio, sul perineo!, oh sì!, sulla fica rasata, per la prima volta in vita tua totalmente rasata, ti fa impazzire di sottilissimo dolore irrinunciabile, così come ti fa godere pervertita sull’ano leggermente estroflesso per la posizione che ti ho imposto legandoti, quasi ti invidio, piccola troia di merda, ma poi mi consolo, perché prestissimo toccherà a me, per mano di una depravata sozza puttana amorale par mio. Ti lecco e poi ti premo quell’acuminata ruota deliziosa, mentre la tua voce si fa quasi pianto, la bocca si deforma, gli occhi si chiudono stretti e ti chiedo se vuoi che smetta e mi dici di no, vuoi ancora, vuoi che ti rulli quelle punte ancora, ed io rullo, premendo, chiedendoti se è qui che le vuoi, oppure qui, oppure qui e tu singhiozzi con la testa reclinata all’indietro ed è un invito, un invito a misurare i tuoi limiti e, vedi Marina, è qui che si misura la presenza o l’assenza del Tocco Creativo, che è quella cosa che dovrebbe stare dentro alla tua lurida anima e che invece non c’è, schifosa troia senza talento.

Faccio gocciolare la cera bollente sul tuo pube liscissimo e emetti un gutturale urlo soffocato. Poi aspetto e con cura e precisione la stacco quand’è ben raffreddata. Ansimi, gonfia di voglia porca in viso e mi dici piangente che devi fare pipì. Fare pipì. Ti dissuado dall’usare forme verbali infantili, ti dissuado vigorosamente, percuotendoti le cosce e le mammelle sulle quali si erigono i piccoli ditali di carne, ti percuoto  facendoti sobbalzare e ringhiare di dolore, ti dissuado, invitandoti ad usare locuzioni verbali adulte, financo volgari, poiché è ammesso un ‘devo pisciare’, un ‘mi scappa la piscia’, un ‘devo urinare’, ma non è ammesso un ‘devo fare pipì’. E poi ti ordino di farla e ti concentri e la fai. Sgoccioli sul pavimento, sul bordo della sedia, lungo le cosce. La fica sbava lo zampillo dorato, si apre, si bagna, diventa lucida. Odore di urina, di gabinetto, di stalla, hai perduto tutto, sei entrata all’inferno, troia. Schiudo con la mano sinistra le labbra e rullo la rotella sulla tenerezza del foro uretrale e sobbalzi quasi sbavando, i capelli scomposti, gonfia, lurida, vogliosa, arrapata. Altra cera sui capezzoli. Altro rantolo. Altro rullo, altro pianto.

I tuoi piedi nudi nella pozza di piscia. Madre e moglie. Diventerai questo, troia. E alla sera racconterai fiabe dolcissime ai tuoi bambini, ricordando con la coda del cervello che hai goduto infinitamente a farti seviziare da un depravato molto più vecchio di te, in una notte d’inverno, senza che nessuno sapesse nulla, perduta nel posto segreto, perduta nel tempo segreto, sciogliendo la tua anima in una pozza di piscia.
Ti slego. Ti prendo in braccio, mi stringi, mi baci, mi vuoi e ti voglio. Tenendoti in braccio ti porto sul letto, abbandono l’accappatoio e premo il cazzo sulla fica rasata, strapazzata e infiammata e sento il tuo caldo e ti entro dentro, godendo di una frustata lungo la spina dorsale, te lo sbatto dentro e grugnisci lurida, con gli occhi chiusi e un piccolo sorriso laido e ti chiavo. Ti chiavo e mi piace, finalmente ti chiavo, ti monto, ti fotto, ti scopo e ti tieni alle lenzuola godendo, sbavando, spalancando le gambe come una consumata puttana e mi arrapi, diventi bella, sensuale, te lo sbatto profondo e spalanchi gli occhi e la bocca fa O, mentre prendi il Grancazzo nella figa piccina, nella figa bambina, ti metto su un fianco, ti metto di pancia, ti faccio salire e cavalchi al galoppo e ti tocchi e, vedi Marina, una speranza ce l’hai, perché adesso che ti guardo mentre galoppi selvaggia, impalata dal Cazzo Imperiale, ti muovi sensuale, sei sexy, sei porca, la sfiga è scomparsa, la bruttezza anche, e non vorrei esagerare, ma da come ti tocchi, da come galoppi, da come mi scopi l’uccello facendomi godere da porco, ebbene, da tutte queste cose mi sento di dire che forse, dico forse, un talento ce l’hai.

“L’hai mai preso nel culo?” ti chiedo insolente e mi rispondi di sì. Ti faccio smontare, ti accucci in ginocchio, sei brava, capisci, sei reattiva, ti spalanchi il culetto con le mani piccine e il tuo ano arrossato si schiude di buio e ti inculo senza cura, facendoti urlare di gola e poi mugolare di piacere e dolore nel culo, affondando rapido la verga nelle tue bollenti budella merdose e ti rassicuro, te lo dico, ti dico che farò di te una gran troia e con sollievo mi dici di sì, che lo vuoi, stringendo il buco del culo, strozzandomi il cazzo e più stringi più ti inculo, più strozzi e più affondo con forza e mi piace incularti e ti piace che ti inculi e capisci che se stringi il buco del culo io ti inculo con forza e godi maiala a farti spaccare il culo dal mio cazzo di marmo e ti sborro nel culo ringhiando e tu stringi e capisci e sorridi e mi inciti, pronunciando adorante il mio nome, mentre abuso del tuo ano merdoso, fottendo come una bestia e tu spiaccichi la faccia da troia sul cuscino, tra bava, sudore e capelli e sorridi estasiata sentendomi schizzare.

“Secchio e stracci sono nello sgabuzzino. Vai a lavare in cucina e poi vattene.”
E tu esegui, diligente, nuda, umile. Mi piaci, ti terrò. Ti farò diventare la troia che vuoi essere.
Non sarai una grafica mai, ma farò di te qualcosa di simile, farò di te una fica.
Te ne vai e, andandotene, mi ringrazi.
Brava.
Molto brava, Squaw Marina.
Molto.

venerdì 27 gennaio 2012

Interferenze

Mi è appena venuta in mente una cosa che riguarda la Vale.
Nei momenti d’oro con la Vale si faceva del sesso di altissima qualità devo proprio dirlo. Godevamo come due Bambi Culattoni e ci buttavamo giù delle signore chiavate da premio nobel.
Una sera (ripeto che andavo d’accordissimo e d’amorissimo) al termine di una sudata epica, io le dissi: “Se tra di noi dovesse finire e per qualche motivo ci dovessimo lasciare, sono convinto che continueremmo a vederci per scopare” e lei sorrise e disse “Facciamo un patto allora. Se ci dovessimo lasciare e anche se dovessimo metterci con altri, io e te continueremo a scopare in segreto” e ci facemmo un taglietto sul polpastrello dell’indice siglando questa immane cazzata col sangue.
Perché immane cazzata? Intanto perché non s’è mai verificata, com’è ovvio che sia. Secondariamente perché quello che facevamo noi a letto non era sesso puro, ma era inquinato dall’amore.
Quindi se sottrai l’amore dal mix ti rimane in mano una cosa strazzonata che non desta nessun interesse.

Il sesso migliore, quello perfetto, perfetto per un sessuomane intendo, perfetto per me quindi, è il sesso privo di sentimento superiore all’amicizia. Certo, vi è da discutere se esistano sentimenti superiori all’amicizia, è vero, però passatemela, amicizia < amore.

Negli anni di gioventù avevo una scopamica con la quale ci facevamo delle trombate di soddisfazione siderale per entrambi. Garage, scantinati, camporella, soffitta, nel capanno degli attrezzi di suo padre.
Era perfetto. Era implicitamente sancito che ciò che ci facevamo era per una soddisfazione genitale.
Lei era carina e io bellissimo, ma se anche fossimo stati due cessi, ci andava bene uguale.
Era un chiavare animale, basico, istintivo. Senza pudori, né remore, senza spiegazioni, né giudizi.
Si godeva, punto.
Noi sì che potevamo prometterci che avremmo chiavato tutta la vita.
Lì sì che la promessa avrebbe funzionato alla grande.

L’amore interferisce.
Interferisce con la serenità, l’esistenza, i rapporti, il sesso, i soldi, la creatività, la spontaneità, la salute.
E finchè l’interferenza è positiva, siam tutti contenti.
Ma valutato dove va a interferire, se interferisce negativamente è come il cancro.
E qualche volta ci scappa il morto.
E io lo so bene.

Staseraorenovepuntuale

Come vestirà il dottor Tazierk stasera? Cosa indosserà per vivisezionare la sua cavia, all’interno del laboratorio di anatomia psicopatologica? Il dottor Tazierk aspetterà la piccola roditrice vestendo solo un accappatoio nero, dal quale farà capolino il suo enorme pene dal glande nudo. Sedurrà di seduzione animale, ormonale, la sua cavia peruviana per poi convincerla a lasciarsi guidare nel viaggio del Magnifico Dolore. La immobilizzerà al tavolo operatorio della sua cucina e odorerà quei genitali gonfi di pervertiti desideri. Forse la depilerà completamente, in un rituale dai sapori dell’orrido misterioso. Sicuramente le somministrerà molti dolorosi ed umilianti clisteri caldi.
E poi darà sfogo alle sue fantasie più turpi, che culmineranno nel coito anale, nella dilatazione estrema di quegli orifizi  ritenuti, sin lì, inviolabili.

Autentico relax disimpegnato, insomma.

E poi

E poi c'è stato il terremoto.
No, qua no, mi pare evidente, cazzo.

Presagio

“Ci sono stata malissimo tutta la notte, non puoi dirmi che non mi credi, non puoi, non puoi, con te sono sempre stata sincera, perché dovrei mentirti, ma non ti rendi conto che sto male?, ma per quale motivo dovrei mentirti, credi che questo per me sia un gioco?, credi che io non lo capisca che ti faccio soffrire?, credi che non mi renda conto che questa è una situazione davvero pesantissima per entrambi e vorrei veramente che tu mi credessi uuUUOOOoooauuu eaaAAaaaa iuUouououuUUUuooooo ioOOOOooooiiiiai eeaaAAAaaaaaAAAAaaa uuuuoooOOOOooooooooououuuuu ioooOOaaaaaa aaaeeeeeEEEeeeeeeaeeae ioiooiuuUUuuuuiiooooo uaaaAAaaaaaa muuuuuuuUUOOOUUUuu uuuuoooOOOOooooooooououuuuu eaaAAaaaa iuUouououuUUUuoooo ooiooiuuUUuuuuiio.”

E guardo la Betta che c’ha proprio un gran bel culo, cazzomerda. E penso che son qui a sentirmi parlare nell’orecchio anziché sfruttare questo magico momento di totale vuotezza dello studio, vuotezza nella quale potrei dedicarmi a infilarle la lingua nel buco del culo facendola godere come una Saraga dell’Antartico. E la collezione Harmony non molla, loquacissima, animata, ansiosa e raggiungo la Betta che sta mettendo dell’acqua nella cassettina di vetro dell’erba (non quell’erba, proprio l’erba del prato) e le accarezzo il culo, leggero, godendo della curva della natica ‘zdora e lei mi guarda e sorride e io faccio segno con l’indice verso il telefono e lei mima con la bocca un “E’ LEI?” e io dico di sì e lai fa “OH” che quella O a me mi fa venire in mente che vorrei infilarglielo in bocca fino ai coglioni e lei mi fa capire che si sta spostando per darmi la privacy e io faccio di no con la testa, con gli occhi supplici da shar pei e la prendo per mano e lei mi fa una carezza e io le cingo i fianchi e ogni tanto intervengo con qualche frase e lei mi guarda sorridente e io le agguanto una tetta e la palpo, cristo che zinna, e lei fa la faccia finta stupita e sorridente e poi finalmente, grazie a dio, un evento nel mondo di là induce la frase “scusa devo staccare adesso ti chiamo dopo”, ok ciao, chiudo e spengo che già che c’ho la Betta a portata di zampa, mi appropinquo, la stringo e le lecco il palato molle, ricevendo da lei una carezza linguale alle tonsille.

Poi le lecco lento il collo e lei mormora “Cosa voleva” e io raggiungo la clavicola leccando cagnetto e rispondo “farsi il bidet alla coscienza” e lei ride molle e sensuale, mentre infilo le mani sotto la maglia marrone dall’ampio scollo rotondo e le tocco la morbida pancia nuda e l’ombelico e lei mi succhia il collo e il lobo e c’ho un Capitello Dorico di Monolitico Marmo di Carrara che spinge nelle mutande perché vuole fare bella mostra di sé e la slinguo duro di nuovo, mentre le mani corrono sui fianchi nudi sotto la maglia, la schiena così profondamente solcata, carne, carne, carne, carne, calda, calda, calda, quand’ecco che sento una mano che mi stringe gentile il pacco, dapprima i coglioni, dappoi la Verga Rampazza dalla ceppa alla cappella, constatando che no, che Pipino non è un soprannome adeguato per me, magari Pipone o Pitone o Bestione o Autotreno o Condominio a Sei Piani, ma non Pipino, tantomeno il Breve e c’ho le mani ammutinate che vanno senza controllo su quelle Poppe Imperiali che mai tette mi misero tanto sturbo ed arrazzo e allora palpo, palpo, palpo e poi corro di dietro a cercare il gancetto da espugnare e la mano sozzetta mi palpa il cazzo decisa e i respiri si fanno bovini, le nari soffiano roventi getti di fiato rumoroso, e sono al gancetto quando l’aria si spezza e la Betta si desta e mi dice “NO”. Sussulto e la guardo e decisa e serissima mi dice “Qui no Tazio, lo sai che non mi va”. Cazzo, Bettina. Le faccio vedere la sagoma della Minchia Trattrice e mi dice che lo sa,  che lei è zuppa fradicia, ma in ufficio no e, anzi, già che ci siamo, evitiamo anche di lasciarci andare, perché poi non siam mica ragazzini che si accontentano e allora, siccome qui no, meglio evitare.

Tento di dire che di venerdì pomeriggio non c’è mai nessuno, ma la Betta è peggio della Tatcher, se ha detto no è no. Cosa c’è di difficile da capire in un no? Niente, in effetti. E mentre stiamo dibattendo l’accordo, la serratura della porta scrocchia.
E’ il Costa! Yuppi! L’allegro Guascone di ritorno da Roma che invece di andare a casa a lucidare il cannone per stasera ha fatto un’improvvisata! Il Costa! Yuhuhu! Manco non se lo sentisse il presagio, quella strega seSuale. Ed allora dai racconta Costa, che non me ne frega un cazzo di meno e che vorrei chiarire i dettagli con Madre Coraggio, perché se qui no e manco approccini o è no definitivo, cassazione per sempre, o avrà un piano B. Un’ora di entusiastico Costa romano, non l’ho mai visto così attivo ed entusiasta, non l’ho mai sentito parlare così tanto, cazzo Costa levati dalle ghiandole che devo parlare con Manolesta, e finalmente il Costa lascia la piazza per andare nel suo ufficio “a vedere”.

Mi avvicino a Manola e le sussurro “mi stai dicendo niente tra noi mai più zero fine finita parentesi chiusa è stato breve ma intenso ma adesso ho bisogno di stare sola a riflettere?”.
“No, dico solo qua no” – “E dove allora?” – “Te lo dico lunedì nel tuo ufficio”.
Che è insonorizzato e lei lo sa.
Minchiaoh, per restare in tema.
Manola è una molto pratica, date retta a me.
Ha!

P.S. Continua a volermi bene Redda…

Commiato

A mezzogiorno in punto, entra nel mio ufficio una ragazza brutta, sfigata e senza talento che ha la capacità di mettermelo dritto di marmo in dieci secondi. Mi si avvicina con un sorrisino da timida servetta delle suore e mi dice “Tazio io vado, volevo salutarti e ringraziarti di tutto perché…” e la blocco con un segno di stop con la mano. Sento la bestia di dentro che mi dice “era ora che ‘sta quarantena finisse”.
Prendo un post it e le scrivo il mio indirizzo e il numero del mio cellulare.
Glielo do e mentre lo legge le dico “Stasera alle nove, puntuale”.
Diventa rossa come un peperone mi fa segno di sì con la testa.
“Puntuale” torno a dirle.
E torna a farmi segno di sì con la testa e poi va, col suo sfigatissimo zaino sulle spalle.
Stasera si mangia carne viva.

Ordine e disciplina

Questa mattina, nonostante una luna che levati, mi sono imposto di organizzarmi il week end che deve essere assolutamente molto, ma molto, genitale.
Ed allora ho chiamato la Nica, perché era la cosa più giusta da fare, anche perché la Nica è la più prossima figa di troia in cui infilare il naso. Sono stato cordiale, forzandomi, ho fatto scivolare tra le parole una “stanchezza lavorativa” che smussa le incertezze, una “necessità di evasione” che apre l’orizzonte ed ho poi premuto i due tre bottoni che so che danno una risposta positiva in quella donna meravigliosa e stupenda.
Ed è fatta: domani sera ci vediamo, entrambi non lavati come sudiciamente concordato con sozzi mormorii ghiotti, e non vediamo l’ora di vederci, come esplicitamente detto al termine della pornografica telefonata.
Ho una voglia insana di essere in balia della Nica sporca.
Non so cosa mi succederà, quando le metterò in mano la rotella dei ravioli.
Non so cosa le succederà, quando riuscirò a liberarmi dai legacci.
Sono a dir poco entusiasta.

Tenerezze

Era ovvio che fosse così. Telefonare ad una donna alle 19:30 per chiederle se esce è da idioti: anche se non ha nulla da fare ti dirà di no per (giusto) orgoglio, a meno che tu non adduca complicatissime spiegazioni che motivano sostanziosamente il perché ti sei ridotto a quell’ora e io, sinceramente, non avevo cazzi di inventarmi complicatissime spiegazioni. E così mi sono bruciato la Nica alle 19:30 che aveva già un impegno. Poi ho chiamato la Ale, che invece è risultata felicissima di sentirmi. Alla Ale non pesa se la chiamo alle 19:30 per uscire. No. Non le pesa, ma non esce. Perché è già uscita. E’ su un rombante fuoristrada direzione la montagna innevata con manzo di turno. Che dispiacere Tazio, che dispiacere Ale. Ma ci vediamo lunedì. Oh sì, lunedì, lunedì. Che si va a cena. E ci mancherebbe, divertiti intanto, anche tu, bacio, bacio.
La Squaw no. Deve passare il periodo. Da sabato è chiamabile.
Restava la Giuliana al Flamingo.
E poi le troie. Quelle a pagamento, intendo, per distinguerle dalle altre.

Prendo il telefonino.
Chiamo la Domi.
Ciao, ciao, come stai?, insomma, tu?, insomma, senti Domi come procede?, voglio dire, si schiarisce qualcosa?, fammi il punto, niente Tazio, niente di che, sempre uguale, capisco Domi, è terribile quando niente si muove, è vero Tazio, sai cosa Domi?, dimmi Tazio, io penso, Domi, che tu ti ritenga molto furba ad aver messo in piedi una storia che neanche con un analista di Quantico, Virginia, si riesce a darle una parvenza di verità e, siccome io non sono un fesso, volevo dirti che di tutte ‘ste menate che mi propini io non credo a un cazzo di niente, perché secondo me la verità tu a me non la dici, per tenerti aperte tutte le porte del mondo in caso di retromarcia, ma ti vorrei avvisare che mi hai rotto i coglioni, oltre ad avermi rovinato la vita, e mi hai anche parecchio nauseato, primo perché pensi di poterla dare a bere a uno che c’ha dodici anni più di te e che ha all’attivo più di duecentosettanta troie chiavate, conosciute, ascoltate e in un caso anche sposate, secondo perché le tue parole puzzano di merda lontano sedici chilometri anche per un nerd che è andato in figa una volta sola con sua cugina troia ninfomane. Ecco, Domi, qualcosa si è mosso, vedi?, non bisogna mai disperare.

"Io non ti amo Tazio".
Bene, Domi. Questo è intelligibile. Allora vai dritta a farti fare nel culo, che sei una patetica puttana del cazzo ed io un patetico rincoglionito che mi inculo la vita per una schifosa da quattro soldi.
Ed anche questo è intelligibile.

Chiudo e spengo il telefono.
Whisky doppio. Giù di un fiato.
Whisky doppio. Giù di un fiato.
Whisky doppio. Giù di un fiato.
Trentacinque gocce di Minias.
Whisky doppio. Mezzo giù di un fiato.
Minias tracannato, cicchetta.
Altro mezzo.
Spegnere cicchetta.

Click spento.
Click acceso.
Sei e dieci.
Bon jour.

giovedì 26 gennaio 2012

Memoria isolata

Sono le diciotto e zero sette e fra ventitre minuti la Betta lascerà la nave.
Verrà qui a buttare dentro la testa e a dire ciao.
Io le dirò ciao.
Alla fine, quello che è successo ieri pomeriggio rimarrà una memoria isolata di ieri pomeriggio.

La voce di merda

Certo che forse ci vuole anche un po’ di volontà perché le cose funzionino, dico io. Faccio un esempio. Compero i miei giocattoli da un tizio e una tizia, sposati, che li tengono a casa. C’hanno di tutto. Tu suoni, sali, a qualsiasi ora se li conosci (per questo ieri sera dicevo che non era impossibile procurarsi la rotella anche se erano le otto), poi giri per casa e c’hanno il finimondo. Lui è frocio marcio, un pompinaro compulsivo, fisicamente molto magro, sexy. Lei una donna normalissima, che una volta aveva un negozio di ottica, vendeva occhiali. Poi è fallita e con il Giulivo Culandro si è messa a fare ‘sta roba. E lei lo sa che a lui piace il cazzo, ma stanno assieme lo stesso e vanno d’accordo, si vogliono bene, ed è incredibile come la cosa più normale avvenga in casa di gente fuori come un’antenna.

Il che mi deprime ancor di più, perché io mi reputerei un po’ più normale di quelli, poi non so, magari non è così. Sta di fatto che a me ‘sta cosa di stare con ch amo non riesce. Poi, mentre ero uscito per comperare la rotella, per darmi tregua un attimo, pensavo alla Betta. Ho dei momenti in cui acquisto una prospettiva di analisi che definirei arcana e penso come un’educanda. Ma il quesito rimane. Come può una donna sposata, mamma di un bambino piccolo, slinguarsi con me? Come fa? Assurdo quesito da parte mia vero? Siamo al delirio vero?
Può essere.

Poi penso alla Domi (strano vero?) ed al torrente di ipotesi e considerazioni che facciamo e dico ma che cazzo le passa per quella fottuta testa di cazzomerda? Ha ragione la Ale: manca solo che mi dica “ti lascio perché ti amo troppo” e siamo a posto. Non ci capisco un cazzo di un cazzo di un cazzo.

Kappa poi fa la “conta delle figurine” e mi attribuisce i seguenti pseudo trofei: la Betta, la Squaw, la Ale, la Nica e la Sami. E mi fa pensare ad una cosa, semplice e agghiacciante.
Mi fa pensare che adesso ho la rotella, la Squaw, la Nica disponibile, l’eventualità di una capatina alla Casa, ma ho anche la sozza Giuliana al Flamingo. Ho tante opportunità in cui poter infilare il cazzo in uno sfintere appiccicoso, ma mentre ci penso sento, da un lontano angolino in fondo in fondo, una voce che dice: “Tanto stasera ti bombi di Minias e chiudi baracca alle dieci”.
E mi girano i coglioni a mille.
Perché quella voce ha un sacco di probabilità di avere ragione.

Rotella di Wartenberg

La possiedo.


Divinità

Dovevo divagare. E poi se divago penso meglio. E allora mi sono imbattuto in questo che ha captato tutta la mia attenzione. Guardatelo tutto e se potete mettete l’audio.




Cominciamo con le considerazioni.
La prima è che lei, a mio personale gusto, è una figa stratosferica: a partire da quei capezzoli, a finire su quel culo a chiappa lunga, passando per una faccia da pervertita troia inglese cattiva che mi fa impazzire.
La seconda è che lui ha un cazzo da segno della croce. A vedere quel cazzo di profilo mi scatta il riflesso di inginocchiarmi con la bocca aperta. Lo vorrei sentire fino in gola. E tutto quanto nel culo.
Mi manda in delirio quel cazzo.
Ferme le premesse, vorrei aggiungere che se io trovo una che mi fa quello che lei ha fatto a lui, pianto la canadese nel suo giardino e vivo là per sempre.
Deve essere stato di un godimento pazzesco con quel frustino, da impazzire. E quelle sberle vere, forti, una cosa stupenda. Un vero talento. Favolosa. La parte in cui se lo schiaccia tra le gambe e gli passa le dita sulla cappella è entusiasmante. Anche se avrei reso perfetto il tutto con una punta dell’indice che preme e fa aprire bene il buchino. E poi alla fine, sono sicuro che le unghie hanno fatto la loro parte.
Una delizia, ne avrei voglia anche subito. Che meraviglia.

PICCOLI APPUNTI
1.    Comperare rotellina coi denti
2.    Telefonare alla Nica

Visual

Vigliacco come solo io so essere quand’è il momento, mi premuro di arrivare in ufficio in ritardo per evitare il caffè intimo del mattino. Voglio studiare in terza persona la situazione e così varco la soglia alle nove e ventidue. Disinvolto, svolazzante di cappotto, butto la testa dentro dalla Betta e soave dico ciao.
Capelli raccolti in una riccissima e nerissima coda indomita, camicia bianca col collo tirato su, golfino di angoretta grigio antracite corto strizzatutto, pantaloni di lana Tasmania fumo di Londra a sigaretta, calze color carne, ballerine di camoscio nere. Che figa.
Gira lenta la testa e dispiega un sorriso luminoso come una Supernova, dicendomi ciao.
Faccio scivolare lo sguardo dai capelli ai piedi e dai piedi ai capelli e lei sorridente, con gorgheggio di pacata  risata, mi chiede che c’è. Le sorrido, le soffio un bacio e svolazzo via.
Poi incrocio una giovane donna brutta, sfigata e senza talento che esce dal bagno.
La blocco per un braccio e le chiedo scortese “E’ domani l’ultimo?” e lei, abbassando lo sguardo, fa di sì con la testa. Mi chiedo perché quello sgorbio peloso mi arrapi così tanto.
Entro in ufficio, appoggio la borsa, mi tolgo il cappotto mi piazzo al mio tavolo e mi viene in mente una canzone di un cantante che mi sta particolarmente sui coglioni.
E’ questa.

Limbo

Non lo so se vi è mai capitato. A me è già la seconda volta che capita, nella vita. C’è un momento della giornata particolare, che è il risveglio. Mi dà sempre sollievo il risveglio, perché la parte più difficile e preoccupante della giornata è risolta: la notte. Mi siedo sul bordo del letto, con il mio pigiamino ancora caldo, faccio l’appello di tutte le facoltà motorie, poi apro la tapparella della finestra.
Sul comodino c’è il telefono, che ha fatto la nanna spento di fianco a me.
Ecco, in quel momento il mondo è lontanissimo, non c’è niente che possa farmi del male e vorrei tantissimo rimanere seduto sul bordo del letto con il mio pigiamino per tutta la giornata, avvolto nel conforto della dimenticanza. Tutto è lontano, niente può raggiungermi, nessuno si ricorda che esisto e anche se si ricorda non può interagire con me.
Limbo.
Pace.
Quiete.
Guardo fuori e tutto si sveglia, ma questo non implica che io debba partecipare al risveglio, io basta che sto qui e non accendo il telefono, perché se lo accendo entrano qui dentro i mostri della realtà e io voglio solo stare qui, al caldino, col pigiamino, seduto sul morbido, a guardare fuori.
Ma poi mi scuoto, lo so che devo e allora con grande sforzo premo quel bottone e lui si illumina, felice di vedermi, ciao telefono, ciao Tazio.
Pausa.
Non respiro nemmeno.
Pausa.
Non ci sono messaggi e non ci sono chiamate.
E’ un buon inizio.
Caffè, adesso.

Ricetta della Felicità (dosi per una persona)

Farsi una doccia calda, indossare il pigiama, aprire il frigo, sbocconcellare del formaggio bevendo un avanzo ossidato di succo di ananas, versarsi un whisky doppio, berlo guardando RAI News-Nuzzi-Sky TG 24-CNN, controllare l’ora e vedere che sono le ventidue e dieci, versarsi un altro whisky doppio, berlo, spegnere il telefono, prendere una tazzina del caffè, sgocciolarci trenta gocce di Minias, tracannarle, finire il whisky facendosi l’ultima cicca e poi fare prua rapida verso il letto perché la felicità piomba all’improvviso.
Click, spento.
Click, acceso.
Sono le sei e trenta.
Bon jour.

mercoledì 25 gennaio 2012

Ipotesi creative

Bene.
E’ successo di tutto oggi: terremoti, pianti torrenziali, carnosi baci con la lingua.
Vorrei dire al destino che io sarei a posto così, che non si disturbasse a volermi allietare la serata.

Anche se, volendo leggere i segni, il karma, la rava e la fava, dovrei navigare sulle onde di vibrazione e telefonare alla Squaw Marina, farla venire a casa mia con mezzi propri, farla spogliare nuda, metterla prima ai fornelli a cucinarmi un pasto decente, poi spedirla a pulirmi a fondo il bagno ed al termine delle sue incombenze, legarla e immobilizzarla per poterle passare sulle zone più molli la rotellina con le punte, quella che sembra un taglia pasta, ma che invece non è, portandola a mille esasperati orgasmi, dolorosamente deliziosi, per poi piantarglielo nel culo sino a scoparle lo stomaco, come si sarebbe ampiamente meritata, giunti a quel punto.

Non è una brutta ipotesi, eh.
Filo elettrico, candele e dutch tape ce li ho.
Manca la rotellina.
Ma non è impossibile da reperire, no, anzi.
Vi farò sapere.


Si fa buio

Si fa buio e la Ale mi ha chiamato. Per accertarsi che non mi fossi suicidato, penso. Mi ha fatto le coccoline allegre al telefono e poi si è informata sui miei programmi serali. Si è informata che non contemplassero il suicidio, credo. Le ho detto che sarei andato a troie e ha riso. Perché pensava sparassi una cazzata, ma siccome io ci tengo alle rare cose serie che dico, mi sono preoccupato di farle sapere che era vero.
Mi ha raccomandato di usare sempre il guanto, “anche se ti fai fare di bocca”.
Massì Ale, mica è la prima volta che vado a troie.
“Mi vuoi bene anche se vado a troie?” – “Ma sarai scemo?” e ride.
Oh, a me la Ale mi è simpatica, cosa devo dirvi?

NOTA:
Questo è quanto stavo scrivendo per postarlo e poi ho letto il commento di Lolita, che è donna di cervello fine e funzionante assai. La Lola scrive:
“Non puoi ricercare nelle donne che ti trombi una sorta di mamma protettiva, tipo quella roba che pensi di vedere nella aledellapale che prima ce l'hai fatta odiare e puff, sorpresa, appena ti lasci con la domi è diventata all'improvviso una gran bella persona e che strano che prima non te n'eri accorto.”

Hai ragione da venderne.
E sai qual è il guaio grosso? Che pur vedendo che hai ragione, la trova simpatica davvero.
Sono un dissociato mentale.

Emozione

Come uno zombie mi muovo lungo il corridoio. Mi trascino, strascico.
Ho la coscienza lercia, dovevo fare cento cose e invece non ne ho fatta una. Esco dallo stanzone e vado sul micro terrazzo. Non c’è nessuno in ufficio oggi. I guasconi sono in ripresa, Matt è da un cliente, la Patty è ammalata. Siamo io, la Greta, la Squaw, la Betta e la Giogia.
Cosa aspetta N a parlare a quella troia?

Mi accendo la cannetta.
Fa schifo la vista da qui. Questo palazzo crolla, a momenti. Poi con la botta di oggi, sai che salute?
I motori del clima fanno un casino che sembra di essere nella galleria del vento.

La Nica stasera è occupata. Dice domani sera. Ma domani sera io voglio andare al Flamingo.
Voglio capire ‘sta Giuliana se ci è o se ci fa. Se mi fa, più che altro.

Stasera andrò a troie.
Magari riesco a beccare la Sami. Magari ha un’amica. O un amico con un petardo di cioccolata così da allungarmi nel culo.
Oppure potrei andare alla Casa.
L’idea mi attira anche, ma sento di aver bisogno di sudiciume di basso profilo. Roba gretta insomma.

Ho il morale sotto i tacchi e forse la cannetta è troppo leggera.
D’altronde non è che posso spaccarmi di giorno. Vanno leggere di giorno. Tantissime e leggerissime.
Butto e rientro, che fa un freddo di merda all’ombra.
Mi trascino sino all’ufficio della Betta.
“Ohilà” mi dice con aria preoccupata e ansiosa.
“Ciao Betta” dico sedendomi davanti a lei.
“Lo vuoi un caffè Tazietto?” mi chiede.
“No Betta ma ti accompagno” che se mi fumo l’erbetta e poi prendo il caffè sono proprio un cazzone avariato.
C’è calma.
La Betta profuma di profumo da donna.
Beve il caffè, dice delle cose, rispondo alla carlona.

Poi fa per andare e io le tengo la mano.
Mi guarda.
La guardo.
Mi si avvicina e mi fa una carezza. Ha gli occhi preoccupati.
Le bacio la mano della carezza e la tengo premuta sulla guancia.
Poi la abbraccio.
E lei mi stringe.
E a me comincia a venire duro.
Le accarezzo la schiena. Mi accarezza la schiena.
Poi mi stacca guardandosi indietro, per controllare che nessuno fosse in corridoio.
Ha il terrore, ha.

Allora la prendo per mano e la porto dentro al mio ufficio e chiudo la porta.
“Va male?” mi chiede sempre con gli occhi preoccupati.
“Va di merda” le dico.
Mi avvicino, le metto le mani sui fianchi e la bacio.
Bacetto sulle labbra uno.
Bacetto sulle labbra due.
Pausa.
Mi guarda.
La guardo.
Bacetto sulle labbra tre.
Poi si verifica il fenomeno mani.
Quando sbacetti una donna appoggiandole le mani sui fianchi e questa si fa sbacettare, ma tiene le mani lungo i fianchi non sta succedendo niente. Ma se la donna ti appoggia le mani sugli avambracci, allora succede qualcosa.
Bacetto morbido sulle labbra quattro.
Bacetto molto morbido sulle labbra schiuse cinque.
Bacio con fugace comparsa della lingua.
E’ lingua.
E’ abbraccio.
Tette premute.
Lingua in bocca. Calda, grossa, liscia, bagnata.
Mano che mi accarezza la schiena, teste inclinate.
Bocche aperte, serrate, molta lingua calda, grossa, dura, morbida, bagnata.
Cazzo duro premuto, tette gonfie premute.
Getti di fiato bollente e rumoroso che dalle narici colpiscono le rispettive pelli.
Profumo di fiato, sapore di saliva, forme del corpo nuove, vicine, attaccate, promettenti paradisi esclusivi.

Stop.
“Tazio, fermo, fermiamoci, fermati, è pericoloso” sussurrato sensualmente in corrispondenza di un distacco garbato con ripresa della coscienza civile della donna che induce il risveglio a cui io obbedisco senza fare il coglione peloso, perché non mi va di fare il coglione peloso, perché quel bacio è stato la cosa più bella di tutta la giornata e quindi, da altro tipo di coglione, il coglione depresso, le dico grazie.

“Grazie?” mi dice rossa, con un sorrisino, sistemandosi i capelli dietro all’orecchio.
“Sì. Grazie di avermi baciato Betta”
Sorride in widescreen, mi accarezza una guancia e mi dice.
“Passa tutto Tazietto, passa tutto. Vedrai, non buttarti giù, stai tranquillo, si sistema tutto”
E poi va.
Ritorna al dovere.

Io e la Betta ci siamo baciati in bocca.
Sono stordito.
E non è la cannetta.

Tremarone

Se sento un altro che mi chiede se ho sentito il terremoto, gli strappo le orecchie.

Ri Drin Drin

Ri drin drin
E ma che bella giornata. Alla faccia delle mie regolette del cazzo.
“Ciao”
“Ciao”

E poi silenzio. Io odio chi ti chiama per stare in silenzio. E’ una cosa assurda, allucinante.
“Cosa vuoi dirmi Domi?”
“No niente è che prima veramente non ce la facevo a parlare, scusami ancora”
“Sì, sì, l’avevo capito, nessun problema”

Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio.
“Domi, mi sembra assurda ‘sta cosa. Stiamo qui al telefono e non diciamo niente, è frustrante.”
“Hai ragione, sì, scusami, ciao, scusa, ciao”
“Ciao”


C’è un medico che legge?

Drin drin

“Ciao come stai?”
“Ciao, insomma, tu?”
“Insomma. Ti avevo mandato un messaggino stanotte, forse non lo hai visto…”

L’ho visto, l’ho visto. C’avevo un banano d’avorio commovente tra le mani e me lo hai rammollito.
Speravo glissassi e capissi, ma invece vedo che no. E allora avanti.

Sì l’ho visto.”
“Ah. Allora vuol dire che sei incazzato con me…”
“Incazzato non è la parola esatta, Domi. Sono a pezzi, psicologicamente e anche fisicamente. E poi sono anche molto disorientato e ansioso, ma questa è una faccenda che me la devo sbrigare da solo.”
“Io volevo dirti che mi dispiace da morire Tà, che ci sto malissimo anche io, ecco volevo che tu lo sapessi che nemmeno per me è facile questa cosa e…”

E giù a singhiozzare.
Ecco.

Allora io mi chiedo una serie di cose, perché davvero non ci capisco un cazzo. Una mi ama, poi a Natale non le manco più, perché la presso sotto un profilo sessuale e questo la soffoca. Poi va a Roma, torna, mi vede dopo qualche giorno che è tornata e mi molla perché non sa se mi ama. Io prendo le chiappe e mi tolgo dalle ghiandole, poi questa mi manda un messaggino a cui non rispondo e allora alza il telefono e mi dice che le spiace da morire e che ci sta malissimo. E mi singhiozza nell’orecchio.
Cosa cerca? Cosa vuole? Chiediglielo, mi dico.
E glielo chiedo.

“Domi, ascolta, non piangere e ascoltami. Mi hai chiamato per dirmi che ci stai male? Vuoi la mia benedizione e che ti dica che non devi starci male e che hai fatto bene a mollarmi? Ti rendi conto che è una cosa strana, vero?”
“Ma nooooo, non è per quello e che ci sto davvero male, devi credermi veramente”
con la vocina strozzatissima.
“Ti credo, è che c’è un problema. Io sto andando fuori di testa e temo di non riuscire a fornirti della comprensione affinché tu stia meno male, lo capisci vero? Sono indaffarato a lottare con la piovra gigante che mi hai mollato addosso, capisci la situazione?”

Singhiozzi strappa cuore.
Dopo un bel minuto di pianto dolente, mi dice “Tà ti richiamo dopo, adesso non ce la faccio, scusami, scusa” e in un singhiozzone da scannatoio chiude.

Bella giornata oggi.
C’è un bel sole e fa anche meno freddo.
Anche se è mercoledì, a mezzogiorno vado a farmi due seppioline in umido, quasi quasi.

Le regolette dell'uomo disorientato e ansioso

E’ essenziale, per l’uomo disorientato, costellare la giornata di piccoli riferimenti, possibilmente piacevoli, che gli rendano evidente il trascorrere del tempo. Perché l’uomo disorientato, specie nella versione ansiosa, ha un solo interesse: che il tempo passi. E’ essenziale che i piccoli riferimenti debbano essere, per l’appunto, piccoli. Questo perché egli, l’uomo disorientato in versione ansiosa, deve far passare il tempo e controllare l’ansia e l’ansia, si sa, va troppo d’accordo con i grandi eventi che la ingigantiscono a dismisura.

Quindi piccole cose, ma tante. Come con l’ulcera, che si deve mangiare poco e spesso.
L’uomo disorientato in versione ansiosa deve dedicarsi al sesso, primo perché il sesso è una panacea per tutti i mali, ma specificamente nei casi di disorientamento ansioso costituisce una sorta di guida col pilota automatico: è il cazzo che comanda e che infonde sensazioni piacevoli e l’uomo disorientato in versione ansiosa si fida del suo cazzo.

Per cui, questa mattina andrò a prendere un caffè dalla Nica, sperando di poter cucire una serata con lei.
E questo è il primo piccolo riferimento. Il pensiero di essere sodomizzato dal suo incantevole piede mi rende elettrico. Il secondo piccolo riferimento piacevole della giornata sarà approfittare a piene mani del mood della Betta, così empaticamente preoccupata del mio malessere, così materna, così figa e così immutatamente Troia. Credo che se non infilo il punto in questo limbo speciale, non lo infilo più. In fin dei conti lei necessita di un alibi forte che spersonalizzi le concessioni che mi farà vestendole di carità cristiana e io necessito di ciucciarle i capezzoli mentre smanazzo nella sua carne pelosa.

Due cardini, una giornata.
Ecco come l’uomo disorientato e ansioso affronta la vita che gli è scivolata per errore nella latrina turca ai confini col Kurdistan. Cose semplici, piccole, a portata di mano. Con grande calma e movimenti lenti.
E adesso vado a farmi la sega che qualcuno ha insolentemente interrotto ieri sera.
Focalizzo la mente su quei piedi.
Mi vorrà poco a venire.

The Yankee Doodle

Ve lo dico subito, non è successo niente di niente.
E’ successa una serata piacevole qualsiasi, con una ragazza di 45 anni, la Chris, che è intelligente, interessante, simpatica, ospitale e cammina scalza per casa come tutte le americane.
Abbiamo cenato, abbiamo chiacchierato, ci siamo fatti una (1) cannina leggera in tre e abbiamo parlato di moltissime cose. Poi a mezzanotte meno un quarto abbiamo levato le tende.

La Chris e la Ale non sono mai state a letto assieme e questo getta ancora una volta la luce sulla credibilità della Ade, valendomi anche una benevola tiratina d’orecchie sulla via del ritorno: “Ma dimmi che hai sempre creduto a tutto quello che ti ha detto quella… ma non hai mai pensato che è una bugiarda patologica che fonda l’intera esistenza sulla menzogna?”.
Già, ci ho mai pensato?
E adesso penso anche che tu, Ale, delle gran balle a tuo marito gliene devi aver raccontate prima che ti sgamasse mandandoti affanculo, ma mi fermo qui, perché a me sta bene così.

E a mezzanotte esatta ti bacio in piazza, dove hai la macchina, perché non puoi fare tardi e io non indago. Mi dici che stasera, mercoledì sera, sei fuori a cena con un amico e io capisco che ci andrai a letto e non indago, anche perché non me ne frega di meno e se sentimento deve muovermi è eccitazione.

Poi continuo la passeggiata, lunghina e ossigenante e arrivo a casa.
Niente panico, tutto a posto. Salgo, mi spoglio, mi infilo il pigiama e decido di tirarmi una sega pensando alla Chris. E avevo già un bel pupazzone duro e dritto tra le mani quando un sms è entrato nel culo del mio telefonino.

“Sei sveglio?”
No.
Se fossi sveglio non mi sarei mai e poi mai ridotto come mi sono ridotto in questi giorni, Domi.

Spengo il telefono e vado a letto.
Non mi tira neanche più.

martedì 24 gennaio 2012

Amo il mio mondo d'ammmmore

Voi mi amate e io vi amo, amo Trainer e lui mi ama, la Ale mi ama e io la amo e amerò la Chris che mi amerà e amerà la Ale che la ama. La Betta mi ama, mi scrive le mail, mi chiede come va oggi, le rispondo che va benissimo, perché sono affumicato come un salmone norvegese e sono così pacifico che vorrei scrivere quella bella, ma soprattutto nuova, frase del latte e della beatitudine senza caglio, che il caglio fa acidità e stasera ho un summit con la yankee e non vorrei averci la fiatella indecorosa, voi mi capirete. Il mondo ruota attorno a un grande nucleo di fiori infuocati che è l’amore e io, con qualche piccolissimo artifizio tecnico, mi ci trovo dentro e mi sento bene, davvero bene, che quasi quasi la devo ringraziare la Domi per avermi dato l’opportunità di amare così tanto e di roteare tra i bellissimi fiori infuocati, tutto pieno di sentimento d’amore che poi guardo le Ultrazinne della Betta e penso che non ho più niente da perdere e che se domani sono meno stonato e più presente, io domani me la ingroppo la Betta, perché anche lei, come la Ale, ha la sindrome della mamma che chiude un occhio, perché il povero Tazio c’ha un periodaccio di merda, è confuso, bisogna capirlo e dargli dell’ammmmore ed è tutto vero, è esattamente così, devo avere una vagonata d’amore anche dalla Betta e dalle sue Sorellone, sì.

Quella troia di merda in odore di santità, che secondo me ci mena per il culo tutti a palo, quando dissi che sabato sera non sarei mai e poi mai andato alla festa, pur non volendomi tra i coglioni ha recitato la parte della delusa e dispiaciuta: “Oh… ma era per stare assieme se no noi quand’è che ci vediamo….?”
Brutta troia di merda.
Altro che tieniamo il contatto.
Vaffanculo, troia di merda.

American style

Mi ha chiamato la Ale. Raggiante mi dice che è tornata la Chris (Christine: un’americana palestrata mooooooooooooooooooooolto amica della Ale, ne ho scritto quest’estate mi pare) e che stasera ci ha invitati a casa sua.  Indago su quel “ci”, ma la Ale, che è donna pratica e sportiva, taglia corto e dice che ci ha invitati perché lei le ha detto di me e la Chris ha detto “invitalo!!!!”. Indago su quel “le ho detto di te”, ma la Ale, che è donna pratica e sportiva, taglia corto e dice che le ha detto che sono un figo strappamutanda “pieno di grosse sorprese”. E poi si fa una risatona.  Che signora che è la Ale.
E insomma sono invitato dalla Ale a casa della Chris.
“Dai Taz, roba very easy, pizza take away, erba buona e coccole dalle ziette”.Mi viene freddo alla schiena.
E quindi ho accettato.
Cazzo c’ho da fare?

Il nemico numero uno

Comincia a diventare frequente. Il mio nemico numero uno comincia a lavorarmi ai fianchi.
Devo controllare gli attacchi di ansia perché non è che posso farmi dodici canne di giorno, poiché su presuppone che io debba anche lavorare qualcosa. Se prendo Mr. X mi stende, considerando poi che c’è il resto, già a bordo. Farmi una sega aiuta, ristabilisce, ma per poco. E così il quadro si complica, perché non mi posso ammazzare di seghe e canne e poi capitolare su Mr. X. E finire addormentato.
Alla sera è più gestibile, anche perché se crollo chi se ne frega.
Ma di giorno sarebbe una disdetta.
Tornerei nelle condizioni di un anno e mezzo fa, strafatto di gocce e di canne e di whisky e siccome c’ho patito un bel po’ a rimettermi in piedi, non gradirei ripiombarci.
Prima mi si era strozzato il fiato e ho avuto l’impressione che il cuore non battesse più.
Poi ho preso e adesso sto bene.
Spero di starci per tutto il pomeriggio, adesso.
Vaffanculo.

Nausea

Complicato. Prima guardavo fuori dalla finestra e mi è balzato un pensiero alla mente.
“Anche questa volta niente agrumi invasati” mi sono detto a conclusione di circonvoluzioni mentali paranoidi.
Il che implica niente casa, niente Domiziopoli, niente tentativo di cambiare aria.
Perché l’istinto di queste ore è esattamente legato alla parola niente.
Ed è dannatamente sbagliato, perché uno coi coglioni meno belli dei miei, ma più massicci, se ne fotterebbe e direbbe che la casa gli piace, ha voglia di agrumi, la città è bellissima e l’aria è buona.
Questo significa solo una cosa: la mia motivazione di base nel voler cambiare aria, casa e limoni era una derivata seconda della Domi. Non era, in altre parole, un vero cambiamento, ma una propaggine conseguente al vero cambiamento che per me era solo la Domi.
Non prendo decisioni, non le voglio prendere, non ancora.
Ma questa riflessione mi ha nauseato.

Extra moenia

La Squallida Squaw Marina viene nel mio ufficio per dirmi che per lei il 27 è l’ultimo giorno di stage e mi lascia della roba da firmare, che gliel’ha detto Matt. Dico ok, mettila lì, poi lei si gira e io ho un impulso e la chiamo indietro.
“Dammi il tuo cellulare” le dico aprendo la rubrica del mio.
E lei mi detta, seria.
“Io e te abbiamo un sospeso. La settimana prossima ti chiamo”
Scuote la testa in segno di sì.
La settimana prossima lei non è più la mia stagista, io non sono più il suo tutor, ma siamo entrambi abbondantemente maggiorenni.

Un’improvvisa voglia di sudiciume.
Ora è passata.

La memoria dell'anima

Un magnifico cappotto doppio petto, sfiancato, con la cintura, sette ottavi, coi bottoni grandissimi, rivestiti, color cammello. Vestito stampato a fantasia ottica nei toni del verde, maniche lunghe, scollo tondo. Collant grigio scuro, scarpe buffe, di quelle che sembrano solo il piede di uno stivale che finisce alla caviglia, con il tacco carenato, molto top model russa, molto carine. Capelli raccolti, trucco leggero, che bella.
Che bella.

Abbiamo cenato. Mi sono sporto in avanti e le ho chiesto della sua separazione. Mi ha detto che è evoluta in divorzio. Le ho chiesto del figlio, mi ha risposto che è un casino, sancendo la fine dell’argomento. Io ho colto e non ho approfondito. Mi ha, allora, chiesto della Domi. Ha voluto che raccontassi, mi ha ascoltato. Le ho detto tutto, mentre lei mangiava piccoli bocconi ascoltandomi, con gli occhietti intelligenti stupendi, castano scuro. Insomma, alla fine la Ale sapeva tutto. Abbiamo bevuto moltissimo, ci siamo rilassati entrambi. Le ho chiesto cosa ne pensasse della mia storia, mi ha risposto che non ne pensava niente, che lei non ha ricette d’amore, che della storia non gliene frega niente, che lei odia queste storie del cazzo, ma invece vorrebbe che smettessi rapidamente di soffrirne, in qualsiasi modo, o con la Domi di nuovo, o senza la Domi.

Ho pagato e siamo usciti. Lei ha tirato fuori dalla borsa una cannetta già fatta, l’ha accesa e me l’ha passata. E’ stato curioso fumare una canna con Audrey Hepburn. Le assomigliava parecchio, sì. Che bella.
Abbiamo passeggiato, fumando. Poi si è fermata, all’improvviso, sotto il portico. Teneva la canna con la sinistra e, dicendo a voce bassissima “vieni qui” mi ha tirato a sé e mi ha baciato. Baciandomi ha preso la mia mano destra e l’ha guidata tra le punte del bordo del cappotto e poi sotto ancora, a sollevare il vestito e poi ancora più profondamente a incontrare della pelle calda casuale e poi, alla fine, sino ad appoggiarla sulla figa pelata, liscia, calda.

Un tuffo al cuore.
L’ho palpata inclemente, frugando, capendo che indossava quei collant con le aperture rotonde, che scoprono il culo, il pube e disegnano ovali nudi sulla pelle delle anche. In mezzo alla via. Attaccati l’uno all’altra. La Ale tirava delle boccate e me le soffiava in bocca, mentre io le donavo le più amorevoli delle carezze intime. Fumo di fumo e lingua di donna. Carne tenera nella mano, freddo cane sulle guance.
Non era solo lingua, fumo e figa, ma era Donna, Mamma, Amore, non so in quale forma, non so di quale persistenza, ma mi sono sentito anestetizzato, sciolto, rilassato.

Poi eravamo sul letto. Lei seduta sul mio grembo, impalata sul mio cazzo che sentivo di una durezza quasi dolorante, movimenti lentissimi, occhi negli occhi. Tirava una boccata di fumo di fumo lei, poi mi faceva tirare una boccata di fumo di fumo a me. Lentezza, carne, calore, nervi che si stendono, benessere, bellezza, sensualità, lentezza. Scopare fumando una canna, mi mancava.
Mi ha alleggerito, snellito, sgravato.

“Perché lo fai Ale?”
“Faccio cosa?” risponde lenta, fumata, aspirando.
“Perché provi a salvarmi la vita?” chiedo lento, fumato.
“Perché non ho niente di più bello da fare” risponde ridendo.

La tiro a me. La abbraccio forte, mi abbraccia forte. Ci incastriamo, aderiamo, ci baciamo, ci avvinghiamo come scimmiette siamesi. La sbatto fortissimo e lei mugola, canta, sbava, ansima, suda, gode, sorride, stringe e bacia. La sbatto. Forte. Fortissimo. E lei gode serena.

E godendo illumina una stretta frazione di tempo nella quale mi vedo da fuori, sul letto, con la Ale nuda su di me, avvinghiata, stupenda e perfetta  e mi dico che questo fotogramma deve avere la gloria della memoria dell’anima.
Sì, deve averla.
Per sempre.

lunedì 23 gennaio 2012

Checcoglione

Tra un po’ me la batto. Vado a casa, mi faccio una doccia, mi cambio fresco di bucato, mi appiccio una porretta, mi rilasso e vado a cena con la Ale.
Bello a piedi, senza rischi per nessuno, sereno e invisibile.
Mangio delle cose con lei e poi finiremo, ovviamente, a chiavare a casa mia.
Lo so che mi sputerete in faccia per quanto sto per scrivere. Lo so e farete bene.
Ma l’idea di trombare, stasera proprio non mi ispira.
Mi direte che sono uno sterminato coglione, perché tutto il casino, qui, si basa sulla inesauribile voglia di chiavare e, ora che ho la partner giusta e non ho più vincoli, mi passa la voglia.
Mi credete che queste considerazioni mi deprimono?
C’ho il morale davvero sotto i tacchi.

Per rispondere un po' a quasi tutti, ma anche a me

Giornata dimmerda, non c’è che dire.
Che poi sono anche un po’ ingiusto a dire dimmerda, perché una persona stamattina ce l’ha messa tutta per farmi ridere e la stessa persona stasera mi fa compagnia, quindi dimmerda oggettivamente non è.
Forse soggettivamente è dimmerda, ma oggettivamente no.
Poi a me mi scappa pure il pensierino filosofico sulle troie (perché la Ale è una grandissima, enorme, siderale, ciclosincrotronica, stimabilissima Troia) e su quelle “perbene”, ed ancora una volta verifico che esce più del bene da quelle che sono conclamate donnacce che da quelle che sarebbero angeli del focolare in pectore.
Ma non ne veniamo fuori da ‘sto fronte, per cui fine.

Solidifico i pensieri che mi avete stimolato oggi e provo a sparpagliare qualche reazione qui e lì.
Sono un pirla.
Ecco, potrei chiudere così che sarebbe più che esaustiva la cosa.
Sono un pirla, un sognatore, un coglione affetto da distonia percettiva della realtà, un malato di adattamento della realtà ai propri sogni, un forzatore di segni e segnali. La cosa che più di tutte mi lascia qui come il pirla che sono è che nessuno di voi si sarebbe comportato come me, che nessuno di voi (non so verificarlo, ma lo sento) avrebbe mai creduto a quello che ho creduto io e avrebbe interpretato le cose come le ho interpretate io.
C’è poco da fare amici miei, io so tirar di cazzo, ma non so fiutare il vero. Io fiuto quel che mi piacerebbe fosse vero e siccome ci spero da così tanto tempo, finisco per fiutare una merda e percepire mughetto.

Vorrei tornare sulle Troie per un attimo. Perché anche su questo fronte ho un embrione di idea, ma è ancora fumosa. Io ho voluto, ma gliene voglio ancora, un bene pazzesco alla Ade. Si è tinto tante di quelle volte di amore intensissimo che non lo immaginate. Poi si è stinto ed è restato il bene. Poi si è tinto di nuovo. Ora è molto stinto, ma la vita è una giostra, gira, gira, la Ade tornerà un giorno, io lo so.
Perché dico questo? Perché io con la Ade non mi sono mai sbagliato.
Perché la Ade è pessima, ma la Ade è chiara. Trasparente, diretta, inequivocabile. Io l’ho sempre capita.
Ho i mezzi per capire quel tipo di donna.

Dove finisco a culo per terra? Quando mi prende la fibrillazione di voler dare una spugnata energica al passato e cominciare una vita nuova, normale, come quella delle persone normali.
E lì sbrocco e divento pirla. Un pirla paradossale.
Io mi sono innamorato davvero della Domi, ve lo giuro. E’ per questo che soffro come una merda, adesso.
Ma non riesco a non pensare che si è trattato di un incidente, come quando si scende a ficcanasare in panificio e ci si sporca di farina. Mica si è fornai, perché ci si è semplicemente sporcati di farina.

Quello che voglio dire, con questo sconclusionato interventino che più che altro voleva essere il modo per tornare a ringraziarvi tutti, è che io nel forno del fornaio, non dovrei andare a ficcanasare, perché quel che c’è la dentro, non fa per me.
Non è la Domi cruda non so cosa il tipo di donna che fa per me, la mezza mela di Aldo, Giovanni e Giacomo. Non posso farmi tentare dall’idea che sia salvifica la giovane donna non corrotta, perché non è vero che lo è, perché non è quella la via, il metodo, la strada, la maniera.

E’ per questo che sono un pirla. Perché applico una metodologia indiscriminata nell’individuazione della potenziale madredeimieifigli. Guardate come è nata la cosa con la Domi. L’ho puntata perché è figa e me la sono fatta piacere a cannone per il resto, perché era pulita, sana, giovane, diversa e l’ho mentalmente plasmata, adattata, ho chiuso gli occhi quando qualcosa non andava e li ho spalancati per ingrandire dettagli infimi. Ma non funziona così, non può. E infatti non può.
Non si può cercare l’amore con il metodo con cui si cerca la figa. Non si può puntare, agganciare e invece di scopare sostituire la fase con “dai conosciamoci che così mi innamoro un bel po’ e tu anche”, no.
 Non funziona così.

Sono cose che faccio inconsciamente, ma  devo starci attento, devo.
Ne va della mia pelle.
Pelle di pirla.

Ipotesi Betta

Ne ho parlato con la Betta, a pausa pranzo. Mi ha ascoltato serissima e poi ha sentenziato, masticando il tramezzino. Sentenza senza appello.
“C’è un altro di mezzo”.

Le dico che è una cosa che ci si pensa subito, mica non mi era venuto in mente anche a me. E’ che mi sembra stranissimo, cioè non ce la vedo, non ce la vedo proprio. Vorrebbe dire che si fa delle storie clandestine. Lei. No. Io non ce la vedo. E poi quando? Siamo praticamente sempre assieme. No, non credo ci sia un altro.
“C’è un altro” risentenzia senza appello e poi aggiunge “Non dubito che sia come dici tu, mica voglio dire male della ragazza, sei tu che la conosci, ma questi guizzi improvvisi, specie nelle acque chete, dipendono al 99,9% dal fatto che l’acqua cheta ha preso una sbandata forte per un altro che le dà il coraggio di incendiarsi”.

Certo che se avesse ragione la Betta ci sarebbe da ammazzarla a bastonate. Perché significherebbe che mi ha inondato di una massa smisurata di bugie dette con una consunzione che nemmeno un attrice di teatro arriverebbe a tanto eh. No, non ci voglio pensare che abbia caricato tutto sto bordello perché c’è un altro.

Però è stata a Roma tre giorni. E ha allungato volutamente di un quarto. E poi il concistoro con le amiche. E poi la serata di temporeggiamento e poi la necessità di scatenare l’armageddon. Che, a ben vedere, lo avrebbe anche scatenato sabato sera stesso se avessi detto di sì. Fila eh.

Vede il tizio a Roma, decide, si consulta con le amiche che le danno man forte, lei non è una leonessa e cerca di temporeggiare, ma poi ci pensa e vorrebbe anticipare i tempi, via il dente, via il dolore, ma io non ci sto. Serata preparatoria allora, prove del discorso, perché filava come un siluro quel discorso, tecnicamente perfetto, liscio come una foca.

Non so a cosa cazzo pensare.

Block

Ho telefonato a Max. Ho bloccato tutti i lavori laggiù. E’ vero, ho detto che non prendevo decisioni, ma fermare tutto è non prendere decisioni. Limbo. Congelamento. E poi, quando sono meno stordito, decido.
Non mi passa più questo pomeriggio dimmerda.

Tide

Ore 08:45 di stamattina

“Ti ha detto così?”
“Sì”
“Non ci posso credere, ne esistono ancora. Non ti ha detto anche ‘ti mollo per non rovinare la nostra bellissima amicizia’ ?”
“No”
“Si sarà dimenticata. C’era scritto anche quello nel fustino del Tide”


Il fustino del Tide!
E’ riuscita a farmi ridere, maledetta lei. Il Tide. Ma è un modo di dire pleistocenico! Rido. Ride e mi dice che sua nonna lo diceva sempre in corrispondenza delle cazzate. Sì, sì, lo so. Anche la mia.
Che bella che è la Ale quando ride. Molto bella. Cioè lo è sempre stata bella, mica lo è diventata adesso.
E’ che quando frequentava quella cerebrolesa infettiva era sempre imbronciata e incazzata.

“Cosa devo fare secondo te?”
“La cosa forse più difficile: niente. Te la dico dritta Taz, una che ti dice così è già oltre Parigi da un pezzo e non torna indietro e poi ti voglio chiedere una cosa, Ciccio: tu la vuoi veramente indietro una così?”


E che ne so io. Adesso non so niente. Troppo difficile questa.

Poi le racconto del casino delle case, di quella al Miramonti, di quella nella Brughiera e di quella appena presa di là. Mi guarda incredula e ride. Mi fa giurare che è vero e io giuro. Ride con la mano davanti alla bocca. Mi sento un bambino coglione. Siamo seduti a cavalcioni di una panchetta in palestra, uno di fronte all’altra e lei mi tiene le mani. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e ho scelto lei, anche se non ci conosciamo così tanto. O forse proprio per quello.

“Senti Taz, pianta giù e tira dritto. Pianta giù e non ci pensare. Non pensare alle case, le risolvi ‘ste cose, non è importante quello, son cazzate. Pianta giù e tira dritto. Vuoi essere mio moroso? Io non ti amo, il sesso non mi basta mai, mi piacciono i giochetti, esco spesso senza mutande sotto i collant, ma anche senza niente sotto in generale e non sono gelosa. Sono perfetta. Mi vuoi? Dai Taz…diventa mio moroso… ridi… non te la prendere… ridi un po’...” e mi abbraccia.

“Sei anche parecchio figa” le dico sorridendo.
“E sono anche una bella figona” aggiunge seria stringendomi le mani, ma poi ride.
“Dove andiamo a cena stasera Taz?”
“All’Osteria Quellanuova, ti va?”
“Ottimo. Alle otto e mezza lì?”
“Sì”
“Sono contenta che tu sia venuto a sfogarti da me Taz, davvero. Tu sei una persona che vale e io ci sarò sempre per te, sai? Hai capito? Hai capito? Chi non ti apprezza non capisce un cazzo, ‘scolta la Ale”
e mi bacia e mi abbraccia. Lusinghiero, ma mi sorge spontaneo il quesito di che cazzo ne sa lei che sono una persona che vale, ma mi fa piacere lo stesso e mi godo le lusinghe.

La lascio continuare a lavare il tappeto di gomma della palestra, con le sue leggins nere al polpaccio e i piedi nudi. La Ale Mamma Chioccia mi lascia stranito, ma mi fa sentire meno solo.

Rimango immobile col cervello.
Immobile.
Se sto immobile non mi fa male niente.
Almeno credo.




domenica 22 gennaio 2012

Venticinque minuti

Freddo polare, arrivo che lei è già lì. Espressione dolente, segni di sofferenza sul volto teso. Mi siedo accanto a lei. Mi guarda imbarazzata e poi mi chiede di poter parlare per prima. Permesso accordato.

Tutto in un fiato.
Concetto semplice.
Inattaccabile.

Si tratta di una situazione che ha radici natalizie. E’ da quel momento, un mese fa, che la Domi sente con crescita progressiva che se non ci sono non le manco. Il culmine ha iniziato il suo rush domenica scorsa, quando le ho chiesto il giochino dei collant senza mutande. Ha provato fastidio. Ha provato il desiderio di essere altrove. Poi è partita per Roma e non le sono mancato, mai. Anzi. Al punto di aver forzatamente aggiunto un giorno non richiesto alla permanenza. Al punto di essere venuta a sapere di dover uscire con le amiche e di non aver provato nessun disagio nel sapere che non mi avrebbe visto dopo una settimana, ma al contrario ha provato il sollievo di vedere le amiche. E a quel punto ha colto la palla al balzo, ma se ne scusa eh, se ne scusa tantissimo. La festina di laurea era per diluirmi nell’eventualità che io avessi insistito per vederla. Un mese di decadimento progressivo, durante il quale ha realizzato che forse dipende da valori diversi e passioni diverse: per lei il sesso non ha l’importanza che ha per me, ad esempio. E si rende conto di essere inadeguata alle mie esigenze e questo la mette a disagio. Poi ancora: io sono monopolizzante e lei ha tanti amici e dirmi che non ci vediamo per vedere gli amici la mette a disagio, ma d’altra parte non vederli mai la mette a disagio con loro. Perché lo vengo a sapere solo ora? Ma mentre formulo la domanda mentale lei mi dà la risposta e si scusa per non avermene parlato prima, ma data la delicatezza della cosa, dato che si parla dei miei sentimenti che rispetta e vuole trattare coi guanti bianchi, desiderava essere certa di ciò che provava e ora, purtroppo, lo è e, pur avendo sbagliato le mosse, è lì a parlarmene. Si affretta ad aggiungere che potrebbe essere un periodo di scoglionamento dovuto al lavoro e in questo senso mi implora con garbo e accorata cortesia di affrontare in maniera adulta la cosa, di non scomparire nel nulla incazzato, di mantenere il contatto, per aiutarla a capire, per cercare di capire meglio cosa le stia succedendo, per capire se mi ama o no. Ah.

Tutto in venti minuti. Venti minuti di mio assoluto silenzio e di suo assoluto concitato monologo con lo sguardo fisso a una fontana di pietra davanti a noi. Al termine, silenzio collettivo.
Cinque minuti di silenzio collettivo in cui lei non mi ha chiesto niente ed io non avevo niente da dire.

Mi sono alzato col mio bel magone peloso in gola e ho detto solo: “Se non c’è altro io andrei allora.”
Non ho ottenuto nessuna risposta e, quindi, sono andato.
Svoltando ho visto che piangeva, ancora seduta sulla panchina.
Mi ha sbrecciato il cuore vederla piangere, ma non sono tornato là.
Era l’ultima cosa che le serviva, che io tornassi là.
Per cui sono andato alla macchina
E lì ho pianto anche io, con tutta la discrezione e la dignità di cui sono stato capace.
Era un gran pezzo che non piangevo, ma lo so fare ancora.

Questa è una gran brutta botta.
La peggiore da tempo.
La peggiore.

Tempo di chiarimenti e di decisioni da prendere

Bene.
Il week end della bestia è pressoché terminato. Inutile girarci intorno o ammantare di chiavi di lettura mitiganti, perché era esattamente quello di cui avevo bisogno: donne sessualmente disinvolte e dall’appetito vorace. Patologicamente vorace, in un caso, ma d’altra parte la Nica è affetta esattamente dalla mia stessa patologia, l’ipersessualità.

Cosa rimane ora? I cocci, inutile girarci intorno. Abbiamo spaccato tutto, abbiamo frantumato qualsiasi cosa fosse stata impalcata sino a giovedì.
Per cui ora, con l’età e l’esperienza che mi ritrovo, direi con rara finezza manieristica che è troppo tardi per rimettere la merda nel culo del cavallo.
E quindi, su quei cocci, occorre ragionare in maniera sensata.
E occorre che mi ponga dei quesiti. Seri.
Il tempo di Hello Kitty è passato.

Prima domanda: mi sento in colpa?
Sì, mi sento in colpa. Mi sento in colpa di aver accettato di provare a diventare il Tazio che non sono: fedele, moderato, addirittura anelante la monogamia. E’ stato un errore colossale, specie considerando che la Domi è straordinariamente figa ed è tutto quello che si vuole, ma le manca la marcia in più a letto, che è la marcia più importante, più importante per me. Ed io questo lo sapevo. E sapevo benissimo che non mi sarebbe potuto bastare, ma ho accettato ugualmente il tentativo pur di non perderla. E invece queste cose non tengono, perché l’agguato è dietro l’angolo, basta un nulla che si reagisce per ciò che si è e non per ciò che si vorrebbe essere. Quindi questa è la mia colpa. Non le scopate, ma questa.

Seconda domanda: cosa non va nella Domi?
Non lo so con esattezza. Ma qualcosa c’è. C’è ed è evidente, perché alla luce del giorno, in questa mattina in cui, libero da istinti impellenti, posso pensare con minor incazzatura al suo atteggiamento, mi sento sempre meno spinto a pensare a leggerezze ed egoismi, ma piuttosto ad una sorta di esigenza di non vedermi. La stanchezza ingestibile (era venuta a casa da Roma in tre ore di treno, mica da Los Angeles in quattordici eh) la cena con le amiche (cielo! Che smemorata!), la festa di laurea (mi conosce abbastanza per sapere che non ci sarei mai andato), insomma una ridda di tante piccole “scuse” che mi avrebbero quasi matematicamente tenuto lontano, ma avrebbero altrettanto matematicamente indotto un’attenzione ad un atteggiamento palesemente anomalo.
E oggi pretendo la resa dei conti, su questo.

Terza domanda: sono innamorato della Domi?
La risposta onesta, sincera, adulta è che non lo so. Ma non perché sono incazzato o chissà che cosa. Ma perché faccio un’analisi precisa della situazione. La stimo, mi piace, è intelligente, dolce, graziosa, la adoro, ma tutte queste cose rimangono frammenti isolati, manca una amalgama che vada costituendo un rapporto d’amore vero. Ho sempre la sensazione che dietro a certi silenzi o a certi sguardi si celi una sconfinata prateria di sua esclusiva proprietà il cui accesso non mi è consentito. Mancano dei pezzi e questo, unitamente alle innaturali aspettative che ha su di me, non mi consente di rilassarmi. Forse questo, dopo due mesi, era il momento adatto ad un’evoluzione, uno scatto in avanti, un rinsaldamento fatto di fiducia e maggior conoscenza, perché io e lei non è che abbiamo solo ficcato, ma ci siamo confrontati, raccontati di tutto, misurati su tutto. E quindi mi attendevo quel passo in più, quello sblocco, quel riposizionamento più indulgente ed invece è successo il contrario, è successa una fuga repentina ciascuno nella sua tana, con un raffreddamento del nucleo del reattore. Perché di questo si è trattato.
E l’acqua sul nucleo non sono stato io a gettarla, devo tenerlo bene a mente.

Quarta domanda: è l’inizio della fine?
Ci sono fortissime probabilità, sì. Devo dirmelo, anche se questa cosa non mi piace proprio per niente. Ci sono fortissime probabilità in quanto nessuno dei due si è stracciato le vesti per cercare di affrontare assieme questo mistero di cui solo lei è a conoscenza. Ciascuno ha avuto ben presente i blocchi che l’altro ha e ciascuno ha desistito prima ancora di provarci. Ci sono fortissime probabilità perché io ho il viscerale rifiuto verso atteggiamenti da sedicenne e non sono disponibile a questo tipo di cose, io ho quarantadue anni e pretendo che una trentenne con disagi o crisi decida di parlarmi subito, anziché nascondersi dietro a cazzate stagne alla “non ci vediamo perché mia mamma non vuole” senza appello e senza replica.
Ci sono fortissime probabilità perché io non sono più disponibile ad essere un altro e ad essere accettato solo se divento un altro. Perché se è così, ci si deve trovare un altro.
Lo dico su di me, ma è una riflessione che vale anche per me su di lei.

Quinta domanda: che grado di verità le riserverò?
Non sono certo il tipo che si fa la scopata illecita e poi corre dalla morosa a vuotare il sacco per sciacquarsi la coscienza, promettendo dolente ed in lacrime ciò che non potrà (e non vorrà) mantenere.
Le riserverò l’assoluta verità su come vivo il nostro rapporto, sulle aree gelide, le praterie inviolabili e l’assenza di progresso e la tiepida passione. Avrà tutta la verità in merito a ciò che penso relativamente al suo atteggiamento. Per il resto, per le verità per lei dolenti su ciò che è successo in queste ultime due notti, non ritengo di doverle dire nulla, poiché non sono state notti guidate dalla Domi, ma guidate da quel Tazio che ho dissennatamente disconosciuto in nome di un Tazio che non esiste e mai esisterà.
Sono, in altre parole crude e chiare, affari miei e solo miei.
Rimane inteso che se la linea con cui lei deciderà di condurre il nostro imminente confronto è basata esclusivamente sulla pruriginosa necessità di sapere cosa ho fatto in queste due notti, io glielo dirò, motivando con precisione il perché, rinforzando il concetto che ho commesso il dissennato errore di creare un Tazio inesistente che venerdì mattina è morto ed in suo luogo c’è il Tazio vero che non ha più nessuna intenzione di nascondersi e di raccontare di essere qualcun altro.
Ma se la linea sarà questa, credo che il confronto andrà diretto in cassazione, per me.

Sì, ci sono fortissime possibilità che finisca.
Ma io non sono mai scappato davanti alle cose orribili e non scapperò nemmeno di fronte a questa.

Quattordici e trenta al parco, solita panchina.
Ha risposto con un laconico “ok”.
E’ tempo di chiarimenti e nessuno ne verrà fuori indenne.

Todo cambia

La Ale ha interrotto brutalmente i rapporti con la Ade. Non è più fitness manager al relais-relax-resort.
Anche la Giulia se ne è andata e lo sapevo da ieri. E’ rimasta solo la Ila. Ma la Ale crede che sarà questione di poco. La Ade è impazzita completamente, dice. Si crede Anna Wintour, dice. Dispotica, delirante, cattiva, sferzante, mortificante. E dice che quel posto non solo non decolla, ma rischia addirittura di chiudere, a suo avviso. Il catering con cui aveva siglato l’accordo le ha detto che prova un forte disagio a mandare gente e cibo e a riportare a casa tutto intatto e gettarlo. Anche se è pagato. E quindi se entro la fine di gennaio non succede qualcosa, loro danno forfait. Questo ha generato le ire funeste della Ade, ma sia io che la Ale troviamo che la cosa faccia onore al catering, specie considerando la quantità di famiglie al di sotto della soglia della povertà. Gettare camioncini di cibo. Immorale.
Non ha una sola prenotazione per la notte. Non l’ha mai avuta. Quando Ruggero le ha consigliato di contattarmi per una campagna pubblicitaria lei ha risposto che io sono un incapace e che la vera attrattiva del resort è lei e che questo basta e avanza come pubblicità.

Questo spiega perché non mi risponde al telefono, credo. Ma la Ale dice che no, che è perché le piace rimbalzare la gente, perché la dà senso di potere. Lo fa sistematicamente con tutti. E’ da pidocchi rispondere subito al telefono. Vuol dire che sei uno qualsiasi.

Fine dell’amoroso rapporto simbiotico? Assolutamente sì. Dopo la terza crisi non rimaneva che quello.
Mi venivano duemila domande da serva da farle, ma invece ho preferito fargliene una sola.
“Mi fai una sega mentre parliamo?” e lei comincia a farmela.
“Sai cosa mi fa impazzire di te Taz?”
“No, cosa?”
“Tu dici delle cose, io non so, sarà come le dici, sarà come ti vengono in mente, ma ci sono delle cose che dici, come questa, che mi fanno sentire un brivido che mi corre lungo la schiena e sento la voglia di sbroccare…”
“Di sbroccare?”
chiedo godendo della salda presa e di quell’indice che mi accarezza la cappella quando arriva su.
“Di fare la maiala”
mi sussurra ridendo e baciandomi.

Ma tu sei una maiala Ale. Sei una troia di proporzioni endemiche. Sei una cazzaiola compulsiva.
E questo è, a dir poco, estasiante.

***

Ti vengo tra i piedi mentre continui a vibrarti la tenera e bellissima figa.
Sono quasi le due.
Mi dici che sarebbe meglio che tu rientrassi, perché domattina dalle nove sei con tuo figlio. Non indago.
Ci rivestiamo e scendiamo assieme. Ci baciamo a lungo mentre le macchine si scaldano.
Poi scompariamo entrambi nella notte.

Cazzo.
Mi prende la Ale, mi prende un bel po’.
Che bellissima serata. E che figa siderale.
E pensare che non ci sopportavamo.

Todo cambia.

Saggezza

Venti e trenta, puntuale come la morte. Suono.
“Chi è” – “Tazio” – “Vieni su che sto finendo?”, ronzio, stlac, stlac, apro, entro, salgo.
Scale, pianerottolo, porta aperta. Entro.
“Permesso”.
“Vieni, vieni” da un lontano non so dove dietro alla porta semiaperta del corridoio.
Getto gli occhi sul divano. Un vibratore rosa, le scarpe inanimate crollate sul pavimento assieme all’ectoplasma di un paio di collant grigi.
E arriva.
Vestaglia di seta color magnolia, che su una pelle abbronzata come se fossimo ai Caraibi in agosto fa un effetto esplosivo. Cascata di lucidissimi capelli neri, lisci, lunghi.
Scalza, smalto nero, deliziosamente volgare. Lo adoro. E’ bellissima.
Tenta una spiegazione sorridente mentre si avvicina per baciarmi di benvenuto, ma è troppo tardi, scatta la presa del Taziao Costrictor.
Saggia, saggissima Alessandra. Adoro lo stratagemma volto ad ottimizzare tempi.

Che corpo. Tornito da ore e ore di allenamento in palestra nelle più svariate discipline, compresa la disciplina di prendere più minchie che può, anche contemporaneamente. Ha quella vena addominale che mi fa letteralmente andare giù di testa. E a trentasette anni addominali scolpiti così, ma anche in generale, muscoli scolpiti così non sono da tutte, anche a parità di ore di palestra. Poi ha quelle piccole tette con quei piccoli capezzoli scurissimi che mi fanno impazzire. Dure, sode, chiodate. Stupende. E adoro entusiasticamente quelle due mezzelune più chiare sotto le natiche, perché quello è il posto che sfugge sempre alla lampada ed al sole e io sono felice che sfugga, perché mi seduce da impazzire.

La faccio confessare, voglio sapere come mai quel vibratore sul divano e lei, a un millimetro dalla mia bocca, sorridente di duro cazzo saldamente conficcato nella figa, con quella corona di candidi denti perfetti mugola che le era venuta voglia a pomeriggio. Le sussurro che le vorrei scopare l’utero e lei mi dice che crede che io lo stia già facendo, a giudicare da quanto in gola si sente il mio cazzo.

Mancavano pochi minuti alle ventitre quando la morissima Alessandra mi rende noto che se volevamo mangiare una pizza a domicilio avevamo solo pochi minuti per ordinarla, poiché la pizzeria accetta le comande “solo” fino alle ventitre. E lei telefona dal letto, nuda, mentre io lecco la pelle di velluto, due margherite, mentre io la masturbo e lei apre troiescamente per agevolarmi, due Becks Next, mentre le lecco l’ombelico. “Sai cosa mi piacerebbe?” le chiedo ingroppandola su un fianco. “Cosa?” mi chiede masturbandomi il cazzo che le avevo appoggiato sullo spacco del culo. “Che andassi ad aprire al garzone nuda mentre io spio dalla porta socchiusa”. Che bel sorriso lurido, che meraviglia. “Mmmh… non è che se lo faccio poi facciamo raffreddare le pizze?” mi chiede segandomi piano con un sorriso.
Prometto che no e lei accetta.

Un evergreen, un must, forse anche scontato, trito, visto, rivisto, pensato e ripensato, fatto e rifatto, ma è sempre un delizioso tuffo al cuore. Poveri garzoni della pizza. Ragazzi che studiano, che hanno fiducia nel futuro, che si fanno il culo onestamente e devono anche subire la sollecitazione inguinale di una stupenda cavalla in calore, molto esibizionista, che gli compare nuda alla porta dicendo “Scusa, stavamo scopando” con voce esile e recitata timidezza. “Si figuri” dice il congeltato nerd davvero imbarazzatissimo che, mentre la Ale temporeggia volutamente nella ricerca dei contanti, non sa dove guardare. Surreale. Divino.

“Sei stata stupenda” e lei mi regala un altro sorriso meraviglioso.
Non l’avevo mai vista sorridere così bene e tanto come ieri sera. Glielo dico. Mi torna a sorridere.
“Nel casino totale della mia vita è un periodo discreto e poi sono felice che sei qui” e sorride baciandomi.

Mangiamo a letto, nudi, tanto lei non dorme lì. Non indago.
Fumiamo una grossa canna, poi scopiamo ancora. E ancora. E ancora. E ancora.
E mi dimentico di avere in tasca la pastiglietta blu.
La ridò a N lunedì.

Mi prende la Alessandra.
Mi prende molto.