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venerdì 8 maggio 2015

Il lunghissimo post del mattinale capovolgente che suggella l'imperiale immensità del Tazio Superstar

Olè, olè, olè e allora eccoti, Maggie delle mie seghe interminabili, eccoti che non mi deludi in questa tarda mattinata bella calda, eccoti vertiginosamente sandalata da minchiaiola scandalosa, unghie bianco perlato,  che esci dalla botteghetta e mi vieni incontro con la gonna al ginocchio carta da zucchero e la camicEtta bianca senza maniche sotto la quale si vede il reggiseno bianco importante di lavorazione, eccoti che mi sudi al bar sotto l’ombrellone e mi aloni appena di bagnato sensuale lo scollo sotto l’ascella ed eccoti che mi fai tirare anche il buco del culo al pensiero di leccarti sudata e di annusarti sotto le dita dei piedi.

“Quand’è che passi a Nizza” mi dice poco prima al telefono la MissMilly umorale che io, caparbio come un montone di marmo, ho richiamato. Ma come “Quand’è che passi a Nizza” stracazzo berbero, che va bene che la geografia è giurassica, ma a Nizza bisogna volerci venire perché non ci si passa per niuna ragione al mondo e faccio presente la cosa, così come sottolineo appena seccato che l’ultima volta non è che avessi ricevuto chissà quale incoraggiamento o segno di piacere nel sentirmi e lì mi becco del “Tazio sciocchino” che detto da quella voce sorridente e calda, maialescamente sussurrata, mi fa increspare il perineo come fosse un capezzolo e la cosa mi turba di piacere femminaschio.

E la Maggie intanto? Siede con l’occhiale da sole in Panavision Multisala incastonato nel cranio che mi ricorda Pamela Prati e chiacchiera fittafitta di argomenti di mio nullo interesse per i quali però, come sempre, fingo di provare un’attenzione pressoché accademica e la conversazione si snoda e io posso rimirare quei piedi scaldacazzi dalle belle dita lunghe e le belle unghie e perdermi a immaginare l’aroma sudato che a mio avviso deve essere molto maschio e, parallelamente, a visualizzare in diverse variazioni il suo pube, ora peloso, ora pelosissimo, ora glabro, ora strippato, ora qualsiasi cosa, ma sempre con la mia minchia di sopra, ma vi dirò che non avverto feeling, non sento trasporto, mi tratta proprio da conoscente, non apre, non lascia la mano, non ride, non concede, non.

Passa a Nizza, dice la Sublime Pervertita Patologica.
Ebbè certo, stupido me, come non averci pensato.
Seppur infastidito cerco di carpire informazioni su cosa, come, dove, chi, quando, perché e per come ella staziona colà e la  bella Padrona Porca e Depravata sorride morbida e mi lascia intuire solo poche, ma sentite, cosucce del tipo che in quel momento è in spiaggia con addosso un tanga ridottissimo che le contiene a malapena i peli e la mente mi si intasa di monumentali tette e superbe natiche, di nerissima villosa e carnosa fica puzzolente, ma non mi perdo d’animo e resisto, continuando a pressare l’indagine e scopro che sì, è lì a Nizza perché sta con un tizio francese, che lei non si prostituisce più da un bel pochetto, ma che sarebbe anche dispostissima a ricominciare datosi che la vita della mantenuta di ultra lusso la annoia mortalmente (potete bestemmiare liberamente, l’ho fatto anche io al telefono con lei, a raffica) e poi rimembriamo i bei lerci tempi andati, i clisteri di detersivo per i pavimenti, le bevute di piscia collettiva, la sua schiava nera, le mie sodomie a maschioni urlanti condotte come se il culo che stavo sfondando fosse il suo, Divina Dea, che mi affiancava mentre inculavo violento e lurido, spingendomi ad essere preciso nei dettagli e alla fine chiedo se, qualora dovesse succedere (e torno a dire “se”), una mia salita a Nizza, questa sia imprescindibilmente legata alla conoscenza obbligatoria del merlo francese e mi viene risposto con una molle risata pornografica che ovviamente no, che si tratterebbe di qualche giorno trascorso con “libertina discrezione” tra vecchi amici lontano da Nizza a rimembrare meglio i bei sudici tempi andati e la volete sapere una cosa amisgi?, mi ci ha quasi convinto a salire a Nizza al più presto, cazzo di quella merda vigliacca.

E la Maggie intanto?
Ella rotea alienata la caviglia destra, quella della gamba destra che scavalla la sinistra ed in tal senso mi parla di Renzi, di Civati, del jobs act, del Movimento a Cinque Stelle e io mi sento di aver voglia di infilarle il cazzo nell’appiccicoso buco del culo sudato stringendole stretti i fianchi come fosse una fattrice al parto, mentre il mio scroto viene farcito di questi interessantissimi discorsi di politicammerda e mi chiedo se può essere ancora plausibile ritenere di poterla chiavare, questa bella cavallona cougarona, avvertendo una sorta di crisi di nervi data dalla dissociazione progressiva tra il centro dei miei interessi carnali bestiali e la sconfinata prateria di cazzate che mi viene somministrata con tono monocorde, politicamente impegnato e noiosamente dissuadente e allora mi appello allo spirito del Taziosaurus Coitis che dorme in fondo alla caverna degli orrori e decido di capovolgere la situazione portandola sul crinale della rottura, sul pericoloso filo del rasoio dal quale ci si può fare soprattutto un bel taglione netto dei coglioni, ma sinceramente basta, non ne posso più di ascoltar di emorroidi gonfie e così attacco, secco, basso, di tackle, spiazzando, virando, avviando una strambata che manco Cino Ricci le ha mai viste così sapienti e le prendo la mano e le bacio le dita, gelandole sulla lingua il soliluquio dell’insussistenza, ricavandomi lo spazio per mormorarle lentamente e sensualmente, da Grandissimo Laido Figlio di Puttana Bastardo Falso Corrotto e Fariseo (quale solo io so deliziosamente essere) che provo una magnetica attrazione nei suoi confronti e che rimango estasiato ad ascoltarla e a guardarla, che anche se mi leggesse il bugiardino dell’Oki per ore lo troverei attraente e sensuale e tutto diventa diverso, si tinge di rossore e risate, di “ma dai scemo!” a segno di un apprezzamento vivace delle mie parole ed il tono scivola dapprima sullo scherzoso, ma poi io incalzo, rafficando una quantità di immani cazzate che nemmeno me le ricordo e delle quali io stesso mi stupisco di esserne fertile produttore, ma che piantano la bella Femmina lì, con gli occhi sorridenti e brillanti a farsi tormentare le dita dalle mie, divertita, interessata, lusingata di signorili apprezzamenti sul suo corpo e i suoi modi magnetici, e non mollo, cesello, intarsio, tornisco e raffino, smonto scene di sabatiadi passate e le rimonto con un raffinato tocco di regia consumata e finalmente, SI’!, finalmente si flirta! cazzo marcio di quella travona della Barbie frocissima, finalmente usciamo dallo schema e quella caviglia smette di roteare mentre lei mi ascolta sino all’ultima sillaba, ebbra delle bugie che da sempre vuole scolarsi avida e poi,  modulando la voce coi toni soavi del filarino, mi dice che la prendo in giro, che non si sente così sexy e bella e attraente e interessante e io mi addresso per il secondo giro, per la ripetizione, per la replica e giuro e spergiuro che PER ME è vero, minacciando di mettermi in ginocchio per essere creduto ed è fatta, fatta, fatta, fatta, finalmente la caldaia non è più in blocco, finalmente il concetto “Tazio Uomo Adulto Single piacere moltamente molto Margherita Donna  Adulta Single”, è chiaro, solido, divertente e flirtaiolo e si tramuta con uno schiocco di dita in cena, stasera, ore ventuno, dopo il suo yoga (va a yoga! Mi voglio ammazzare!) e io sarò un dio greco, bellissimo come solo un Uomo stupendo come il Tazio che vive col suo tempo e la performàns sa essere, corteggiante e intelligente, non frettoloso, perché no, non è stasera, noooooo, NOOOOOOOOOOOOOOO AMISGIIIIIIIIII, ma sarà DOMANI sera la sera in cui sferrerò l’attacco mortale liberando il Taziosaurus Trapanis, riportandola a cena di nuovo, ma senza gruppone questo sabato, in una nuova solitaria spericolata che, come da calendario delle convenzioni internazionali, può legalmente sfociare nella ficcagione selvatica passando dal via e ritirando anche la bella ventimila lire che nessuno può ostare nulla.

E a Nizza?
A Nizza c’è la Padrona che m’Attizza, che aspetta che il TazioPornoDimmerda si dia da fare per procurarle l’occasione utile a cornificare con soddisfazione uterina devastante il francese agiato, per umiliarlo con lo sviluppo carbonaro di blasfeme ghiottonerie sessuali depravate coperte dalla cifra di “libertina discrezione” che, in Italia come in Francia, non vuol dire un cazzo se non “vieni su, porcoddio, che ho bisogno sanguinario di megaminchia di grosso calibro e di uno spostato mentale che la sappia usare bene come solo tu sai fare, perchè ho bisogno di fare la sozza come piace a me e anche a te”.

Non male il risvolto di questo disinvolto mattinale, non male, non male.
Si incomincia a giocare con le cose vere, bene, bene, bene.
Grandissimo Tazio, superberrimo.
As always.






Il fandango finto della Minchia Bufalera

Oh Emy, Emy, Emy, Emy, mormoro mantrico mentre le tue manine zozze armeggiano con lo splendore zoologico della mia Minchia Bufalera che fa aria di bufera. Emy, Emy, Emy, Emy, vieni qui piccola stupenda perfetta troiona dalle silenti voglie che voglio allungarti nella fica, come ai tempi dorati, tutta la mazza marmorea che si intosta tornendosi di impressionanti vene gonfie mentre annuso la tua asettica pelle bianca di donna bianca sintetica bisognosa di cazzo venoso e cappella violacea e lascia che strusci, prema, strizzi e cerchi in quella improbabile posizione il buco della fica che d’improvviso infilzo, travolto dal bollore interno e la tua bocca fa “oh” come i bambini di quel deficiente di Povia, mentre chirurgico spingo lentamente la mia sonda maxi all’interno dei tuoi teneri genitali alla ricerca della pietra ficoscopàle.

Che bella cenetta imbastita in due e due quattro, che bei temi sozzi, che bel piedino sulla mia pelle sotto il tavolo e cristissimo, Emiliana Gran Puttana, ma che voglia di grancazzo mi c’hai? Pari forse alla voglia che la mia Minchia Bufalera ha della tua fica di cera bianca? Nel parcheggio ci arrotoliamo come bisce nella macchina aziendale, la tua, che pare essere più comoda anche se più comoda non è, ma a noi checciffrega, noi siam elastici e arrapati e lecchiamo ciò che va leccato, piantiamo ciò che va piantato e denudiamo ciò che va denudato, cioè tutto e chiaviamo.

O Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, che splendore sei, nuda, mentre galoppi selvaggia sulla Extramazza che ti fa male quando preme di dentro in fondo, ma ti piace eccome quel malino sporcaccino, però io vis-a-vis un po’ di conversazione pornografica la voglio, che fa parte del mio background, del mio tempo, della mia performàns e scopro incredulo che non prendi il cazzo da Natale, scopro che le orgette casalinghe non sono (ahitè) più pervenute, scopro (sbattendotelo dentro come l’onda quando il cielo è scuro) che hai tanta voglia di farlo con una donna mulatta, scopro che l’idea del fiume porcone con alcuni sconosciuti porci nudi che se lo menano guardandoci chiavare ti piace da impazzire, scopro che nel culo al massimo un ditino e neanche sempre e scopro che, come già diffusamente detto, sei un bluff alimentato dalla tua lucida ultracoscienza di essere strafiga e, per questo, non ti dai nemmeno la pena sbattona di uscire da un qualche cliché standard (l’orgetta, la donna, l’esibizionismo) che detto nel momento in cui sei ripiena di cazzo come una faraona farcita di cazzo, assumono una valenza noiosa mortale, sopportabile solo poiché un corpo così si fatica a trovarlo a Hollywood e allora o ben che così o ben che un cazzo e io, che agisco sotto i comandi tirannici della Minchia Bufalera dico che ben venga la ultrafiga non talentuosa, che tanto è solo per stasera e del doman non v’è certezza.

Sborro ringhiando sui capezzolini duri e increspati, mentre dita perfettamente curate spalmano il nettare del dio cazzo su tutta la superficie della semisfera perfetta.

“Siamo due pazzi! Ma ti rendi conto che l’abbiamo fatto in macchina nel parcheggio?” gorgogli soddisfatta della tua “prodezza” da “pazza” (yawn) ed io mi affretto a puntualizzare che saremmo stati più pazzi se l’avessimo fatto in macchina in mezzo alla strada e tu ridi e ci rivestiamo, per poi dedicare quell’insopportabile mezz’ora ai baci e agli abbracci romantici che a me, scusate, fanno sboccare.

***
Torno a casa e uozzappo. Ma non alla Squinzy, alla Betta.
“Dormi?”.
No, non dorme. E’ sul divano in pigiama che non riesce a prendere sonno, brutto periodo, ma è stata felicissima di vedermi di sfuggita e di sapere che esisto ancora. Lavorare lavora a singhiozzo, l’hanno messa in cassa integrazione, il bimbone sta bene, va a scuola, è bravo, il cornuto è insopportabile, fatti forza Bettina, per forza Tazio.
“Pensi che ci incontreremo?” chiedo io speranzoso come uno scolaretto, ma un sorriso emoticons di modello base precede un “perché no, un caffè ce lo possiamo prendere” che suona tanto come “vediamoci pure, ma non credere di ricominciare da dove hai lasciato”.

E a furia di dai e dai, ‘sto concetto che mi arriva da più parti comincia ad avermi convinto.

Io il mio regno l’ho perso per sempre.
Mi rimangono solo degli anonimi villaggi di cui poco me ne fotte e poco me n'è sempre fottuto.
Va così.
Meglio farsene una ragione.
E riflettere.
Ci sta.



giovedì 7 maggio 2015

Felicità insana

E oggi sono contento.
E’ stata una ventiquattrore dimmerda, ma sono contento di essere riuscito a infilarmi sull’ultimo  volo della notte per Milano e di scrivervi adesso dalla mia provvisoria lussuosa magione del capoluogo di provincia taziale, seduto al tavolo della cucina, completamente nudo e anche un parecchiamente voglioso di porcherie adulte.

Praga, porca troia.
All’aeroporto, l’altra notte, viene a prendermi la mia “assistente” con una macchina a  noleggio e, solerte come solo certe donne sanno essere (rumene o meno non conta un cazzo, vorrei sottolinearlo sette volte) mi comunica durante il tragitto (l’ottimizzazione dei tempi, anzitutto) che si licenzia e va a Brno da un’amica che lavora in un bordello dove cercano una barista e lei ci va. Per cui, seppur stanco dal viaggio, una volta a casa rilevo chiavi della medesima, chiavi dell’ufficio e una busta con i soldi calcolati come residuo del netto mensile depurato dalle ‘giornate’ lavorate. NON faccio il signore che sono e mi forzo a farmi restituire sino all’ultima corona, perché mi pare già un dono pagare quelle relative alle ‘giornate’ lavorate. Poi la vedo imbracciare una borsona e andarsene quasi senza un saluto.  Mi piacciono queste donne decise, puttanissima la grandissima troia, chissà che deragli il treno e muoia solo tu.

Trascorro una nottata disturbatissima dai rumori della strada e dal turbinio dei miei coglioni e mi sveglio all’alba, pronto per andare a “lavorare” alcuni dettagli all’Humble Brothel and Hotel.

***
Non sopporto più il Costa. Nella maniera più assoluta. La compagnia degli amici suoi gumba lo rende molesto, aggressivo, trasformato. Ma ve lo ricordate quel bambolotto di pezza di un tempo? Non c’è più e al suo posto deambula un piccolo ceffo sbruffone e peloso, sovente puzzolente di sudore d’ascella stantio, perfettamente amalgamato nel peggio del peggio, sguazzante senza rimorsi né sensibilità, burino allo schifo, predisposto alla violenza e al sopruso, novello mandriano di vacche umane, provvisto di standard di trattamento interpersonale assai al di sotto della media in circolazione nei bassifondi.

Per cui: rapido svolgimento delle operazioni, Internet, biglietto aereo per il terzultimo posto libero, restituzione auto dimmerda all’aeroporto dimmerda, ritorno a Milano. E vi dirò una cosa stravolgente: seppure Malpensa sia a Varese, l’idea di essere arrivato a Milano mi ha dato sollievo. Fatevi due conti attorno al mio stato d’animo.

E ora sono qui, al calduccio di un sole che Dio ha voluto far uscire dopo un periodo di piogge incessanti, a scappellarmi e rincappellarmi il cazzo mentre vi scrivo, pensando ad alcune necessità fondamentali della Uoma Tazioa che vive nel suo luogo col suo tempo e la performàns: una epilazione totale che mi renda un liscio giocattolo sessuale irresistibile ambosessi, una ricongiunzione con gli Amici della Sega sulle ripe odorose del fiume sozzone, con i quali godere nudi del primo sole sfregandoci i maschi sessi duri, grugnendo osceni sino a ricoprirci reciprocamente di delizioso sperma, contattare la Maggie per arpionarla con un invito a cena che vada aprendo (o chiudendo) il protocollo d’intesa, verificare l’avanzamento del trasloco, chiamare la Emy che è giovedì e lei non è più a Zena, rivedere la Lidia per affari personali e (perché no?) per violentarla come necessita, o forse anche qualcosina in più.

Tante cose, tutte belle, tutte entusiasmanti, tutte di elevata matrice culturale, tutte mature e traccianti il profilo di elevata ed affidabile serietà che è la mia cifra distintiva di stupendo maschio pansessuale dagli appetiti voraci ed insaziabili, oscillante tra le necessità di donna intime nella erotica Tazia a quelle del maschio alfa Taziosaurus Cazzis, in un turbine ormonale piacevolmente tumultuoso che mi fa svettare la Minchia Randazza da sotto il tavolo, Minchia che mi parla attraverso le goccioline limpide che trasudano dal sensuale foro uretrale, implorandomi un masochistico “strozzami fino a farmi vomitare” ed io credo che sì, amisgi, credo che la accontenterò con furore belluino, non tanto per sedare la necessità istintiva, ma piuttosto per alimentarla a dismisura raffinandola lungo profili parossistici e sofisticatamente depravati, divenendo nuovamente il Gran Pezzo di Porco Duro e Crudo che la cupa Praga, debbo ammetterlo, ha temporaneamente depresso.

E ora, grandissima sega.




martedì 5 maggio 2015

Vita che va e vita che viene

Ebbene sì.
E che diamine di fatica riuscire a sedersi e a sintetizzare i fatti, i punti, gli eventi, le sfumature, le attese, le pulsioni e le vittorie di questi ultimi convulsi giorni così intensi e così forieri di mille spunti di riflessione e di mille atteggiamenti da interpretare e di mille emozioni da riclassificare e una vita da rimodulare, partendo anche dalle graditissime nuove abitudini consolidatesi immediatamente come se fossero antichissime le loro araldiche radici: gli amici, i ritrovi, i convivi, le dame, l’arme e gli onor.

Sabato Taziale all’insegna dell’Amarcord, seduto centralmente al bar Centrale a tessere scene mentali lesbo butch aventi come protagonista l’affascinante, tendinea, elegante, mascolina ed altissima proprietaria Raffaella detta Raffa, tessitura interrotta a più riprese dalla comparsa di figure del passato che si sono susseguite come attori nell’atto finale di una commedia in scena per l’ennesima serata: la Giulia trafelata di male esistenziale che perfettamente si ricolloca in quella nicchia in cui è la lana che copre, ma è la penna che svela, tristemente affettuosa come se ci fossimo visti il dì prima, la Emy così bella così gambestupende e così pulita che mi bacia facendo aderire le sue morbide labbra buccali alle mie, fresca d’allegria, sgravata da zavorre dell’assurdo (il Loca, per sempre), generosa del suo nuovo numero di telefono e disponibile alla pizza ignorante che tante ve n’è da raccontarsi, la Schizza turbinante ed annoiatamente seria che, abrogando il ciao iniziale in maniera molto kewl, ma anche molto giracollions da parte mia, esordisce con un “Ma tu non eri a Praga?” e poi diviene vortice d’azione mentre ancora stavo formulando la battuta di risposta, poiché la attendevano in- seconda-fila-scappo-ciao, la Betta lontana che sgrana sorridente occhi segreti tra sacchetti di sedani e marmocchio e marito e amici e tra di noi gli sguardi e i sorrisi e la malinconia che mi morde il cuore e mi fa scolare altri due Campari a suggello dell’imperituro impegno a ricontattarla assolutamente, non per fini sessuali, ma per il piacere di un abbraccio di cui sento di avere bisogno. Specie da lei.

E segue poi il pranzo maschiale del sabato alla Solita, col Sa-aaarti, Zack, Umbe, Virus-Ceccherini ad esclusione di Max, assente per motivi giustificati dal turbinio di fioristi e tulle e banchi, posti, menu, vestiti, sarto e ogni cazzo di diavoleria asciuga quattrini consumata a sacrificio del viaggio di nozze che alle ore tredici e diciassette, mentre il Sa-aaarti mi aggiorna sui puttanali di tale “Lanapoletana” esercitante nelle PEEP di Sguazzalara dopo il ponte sul fiume sulla destra, prendo l’irrevocabile decisione di regalare il volo nuziale a titolo personale a Max e Mammelluta Signora, individuando quella soluzione di viaggio a Los Roques confacente alle attese di due che si sposano per l’unica volta della loro vita (mi auguro con calore) o per tutte le mattine della medesima (e me lo auguro con calore ancor superiore ed una piccola morte di dentro, da qualche parte).

In alto a sinistra nella piazza, simbolo della mia sgangherata vita, mi salutano scrostate le finestre a gelosia dell’appartamento della defunta signora Reguzzoni che ho strappato agli eredi dopo interminabili trattative condotte anche dall’estero tramite il mio agente immobiliare preferito (i più attenti si ricorderanno un accenno in tale senso, qualche tempo fa) e che ora è formalmente mio, mio e solo mio e che attende alcuni piccoli lavori di sistemazione e l’entrata del mio misero mobilio attualmente parcheggiato nell’umido e disonesto garage del Costa, con il Divindivano in cerca di autore, la libreria di design smaniosa di librare, più una lampada Arco Flos che, cazzomerda, oggi posso permettermi nella versione originale con blocchetto di cemento e vaffanculo tutto, che sono i dettagli che rendono la vita meritevole d’essere vissuta.

E segue poi il Convivio del Sabato Serale lungo il fiume a mangiar del pesce, con la Maggie molto casgiual in ballerine nere decalzate e jeans di morbido twill cinese nella nuance del turquoise che così bene definisce le forme della corposa cula a pecorinabile chiappa lunga da femmina MILF, e nelle mie nari si materializza l’afrore delle navi della compagnia delle Indie che trasportano distillato di sudore erotico di piedi di femmina sessuale e carne e pelle e dita odorose da leccare e, con stratagemmi linguistici di facilità deliziosa, che suscitano l’ilarità del gruppone, strappo, sgarbisco e rapino a volto scoperto un numero di cellulare che sancisce il taglio del nastro della Grande Opera di traforo della sua sorca bisognosa di trivella intarsiata di vene cazzee, il cui progetto è già pronto ed attende solo il cartello di cantiere recante il nome del committente e del direttore dei lavori.

Vita che va e vita che viene, con in tasca un biglietto aereo che a tardo pomeriggio mi ricondurrà a Praga per una capatina brevissima che tornerà a materializzarmi ai tavolini del Centrale non più tardi di giovedì a metà pomeriggio e, a ben vedere, questa soluzione di up and down like a yoyo è la più intelligente e furba e utile e sana e rinfrancante e basta.

Vita che va e vita che viene e il Mattinale della Domenica Taziale vede la Lidia davanti a me separata solo da un bicchiere di Campari tra i festosi tavolini lesbici e poi, non chiedetemi come e non chiedetemi soprattutto il perché, nella scena successiva che doveva essere fatta di due innocue  “fette di prosciutto da me” mi ritrovo nudo e durissimo, aggrovigliato al suo violento corpicino nudo e liscissimo ad assaggiare, godendo da bestia,  il succo acidulo della sua fica perfettamente depilata e gonfia di sozze voglie depravate a trascorrere ore, interminabili ore a chiavare e a ficcare come non ficcavo e chiavavo da tempo, senza lesinare la componente accesamente violenta a quel corpo a corpo interminabile in cui persino polsiere sadomaso e manette sono comparse a sostenere il malato livello e a generare bave ringhianti che hanno reso la demoniaca monta belluina un pezzo di particolare identità espressiva che non rimpiango né rinnego, ma non per questo ritengo ve ne sarà una ripetizione prossima nel tempo.

Vita che va e vita che viene e il culo generoso della Barbarella, giovanissima camerierina new entry della Solita, fuso in quelle leggins color antracite riaccende i miei motori a turboelicacazzea e mi spinge, senza alcuna prova sostenibile da qualunque barlume di logica, ad interpretare in quel bagliore dei suoi nerissimi occhi l’invito ad osare, ad avanzare guerriero verso il processo di fusione del mio volto nel suo spacco culeo paradisiaco e questo essere arrapato selvaggiamente, sempre e costantemente, mi induce a pensare che sarà l’aria, o forse l’acqua, o forse il circolo spiralato della vita a riportarmi ad essere ciò che sono, con le malinconie, le gioie, le soddisfazioni e le delusioni di una vita adesiva che va e che viene e che quando si stacca fa male, ma quando si riposiziona più aderente di prima assume il senso compiuto di ciò che senso non ha e, proprio per questo, va chiamata vita.