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giovedì 24 maggio 2012

I'm here to serve and please you, Sir


Alle tredici e trenta ritorno nella mia magione agreste per pranzo, poiché la mia kajira m’ha avvisato d’avermi preparato qualcosa di fresco ed appetitoso: pasta fredda alle verdure dell’orto.
Sotto il portico la tavola è apparecchiata per uno, perché lei, la mia kajra, ha già pranzato per potermi servire con cura. Vino bianco gelato, pasta fredda, pane fresco, formaggio di pecora e olive taggiasche: mi serve a seno nudo, con addosso solamente un piccolo pareo bluette e bianco che le lascia scoperto un fianco e talvolta la fica. Mi sbottono la camicia e la tolgo e mi godo il calore dell’aria e le premure della mia kajira odorosa, che si dà un gran da fare e mentre mangio siede a tavola accanto a me, guardandomi, pronta a scattare e a servirmi ed io mi sento più ricco e potente di un sultano, di un imperatore, di un dio, di un tesoriere della Margherita.

Mangio a torso nudo, come un sexy bifolco. La guardo, con qulle piante dei piedi sporche, annerite di polvere e la pelle sudata e ricoperta di crema, che comincia ad abbronzarsi la mia kajira sudata, perché la mia kajira questa mattina ha balneato qui, inerbendosi anche un bel po’, tormentandosi pure la carne molliccia e salata, ascoltando incommestibili musiche arcane.
La mia kajira è un’autentica porca, perché parla poco, ma mi guarda con un sorrisino che da qualunque parte lo si prenda reca la scritta “ho voglia di cazzo” e questo mi piace, perché in questi momenti è dannatamente femmina e dannatamente animale. Siede con le gambe aperte, per mostrarmi la fica ed io mangio in silenzio, sbranando del pane, grugnendo nel piatto senza staccarle gli occhi dalla fessura esibita.

Verso la fine del fiero pasto comincia a far su una porra, perché la tradizione del Regno è caffè e poi porra e sia mai che la si rompa. Poi entra sculando laida e sciatta come una scrofa in calore e mi prepara il caffè e me lo porta e io lo sorbisco rumoroso, destando un suo sorriso marcato con morso di parte del labbro inferiore, perché io e lei se ci mettiamo piantiamo su un teatrino che non ce n’è per nessuno.
Caffè e rutto sonoro, poi mi tiro indietro dal tavolo trascinando la sedia e mi sbottono la cinta e faccio scendere la cerniera, che non è ancora scesa del tutto che la mia kajira s’è liberata del ridicolo pareo copriuncazzo ed è inginocchiata tra le mie gambe, intenta a far prendere aria al pitone.

Mi libera di scarpe, pantaloni e boxer e mentre io, il sultano, l’imperatore, il dio, il tesoriere accendo la porra, lei mi tira una pompa che vi garantisco è da nobel, perché la mia kajira si sta allenando a ingoiarmelo tutto, cosa che ritengo un insulto alla fisica, ma non ho alcuna intenzione dal dissuaderla a persistere.
Di tanto in tanto le passo la porra e lei tira veloce, restituisce e continua quel magistrale bocchino e golino, ed io rifletto sulla mia giornata e considero anche che da ieri sera non faccio che chiavare come un porco schifoso e me ne rallegro e mi compiaccio. Poi la porra finisce e con lei anche la mia voglia di resistere e così le schizzo in bocca tutto il nettare del dio, del sultano e dell’imperatore, ma non quello del tesoriere, perché la Skizza è la sacra kajira del sacro sultano, che i tesorieri vadano a zoccole e non rompano i coglioni.

Adoro la mia kajira.
Sa tirare fuori il peggio di me e ne gode, offrendomi in cambio il peggio di sé che tanto godere mi fa.
“Non chiedo che servirti e darti piacere, padrone” sussurra laida, sapendo che non ci crederò mai a quella presa per il culo geniale, ma sapendo anche che la cosa mi infoia e mi eccita al punto che, avvertendo che l’erezione persiste e si ingrossa nonostante il bocchino testè terminato, la piego sul tavolo ancora apparecchiato e la chiavo come un montone kazako, facendola schizzare come un cetaceo delle Azzorre.

Io adoro la mia kajira inerbita.
Ma tanto.

Lurido antiquariato colpevole


Termino la mia breve visita programmata e decido che, già che son qua, faccio una capatina nella bottega antiquaria dei miei stimatissimi amici Marito Bestia Renè e Donna Bestia Silvana, che tanto sono quattro passi.
Squisitamente cortesi come sempre, che piacere Tazio, che bella sorpresa, ieri sera un mortorio sai?, c’è ancora troppa paura, immagino di sì, ci vorrà un pochino ancora, almeno sino a quando le scosse forti non cessano, credo di sì, Silvana.

Poi Renè si scusa, in eccesso, ma deve andare che lo aspettano a Bologna, ed allora dico che stavo andando anche io e ci abbracciamo e ci salutiamo e ci promettiamo di vederci la settimana prossima, settimana prossima assolutamentissimamente sì, una cena, una pizza, quel che si vuole, ma vediamoci, ed esco salutando festoso.
E faccio cinquanta metri e mi fermo al caffè. Siedo fuori, Resto del Carlino, leggo, fumo e penso a quei piedi ingiustamente trattati le cui dita smaltate di rosso perlato facevano capolino dai sandali slingback blu petrolio e la pelle bianca come la gonna al ginocchio e la blusa blu scuro rimborsata in cintura da una cinta di bigiotteria color argento e gli occhiali ampi e il sorriso ingiallito e il caschetto nero e sento la cappella sgusciare dalla pelle del cazzo e guardo l’orologio e la chiamo.

“Sei sola?” chiedo diretto senza nessun convenevole.
“Sì. Vieni.” diretta, senza alcun convenevole, a riprova di un’istintiva e reciproca intesa criminale che non ha bisogno di accordi preliminari espliciti, né note, né istruzioni.

E la targhetta sulla porta si gira sul “Chiuso” e la serratura scrocchia due giri e nell’aria polverosa di antiquariato erotico una Donna Bestia ed un Granporco, nudi, iniziano a divorarsi i sessi su una scrivania vittoriana di radica e cuoio, mugolando sguaiati in atteggiamento osceno.
Succhia, troia, che nuda così qui in mezzo mi fai schiudere il buco del culo dalla voglia da bestia, succhia tutto, prendilo fino in gola, fammi capire e sentire quanto t’è mancato il mio cazzo. E lei succhia, guardandomi lurida con gli occhietti sozzi e felici, mi succhia i coglioni, mi infila la lingua nel culo e mi smeriglia nel contempo una sega sublime, lecca, sbava, grugnisce, aspira e morde, da quant’è immensa la voglia di cazzo straniero che ha. Poi la piego a novanta e le mangio il culo e la fica, godendo della sua pelle di vacca e poi senza riguardo la inculo, sortendo un urletto sorridente ed una gran quantità d’aria aspirata tra i denti della bocca cannibale, mentre assertiva trema sotto i colpi che le infliggo nel retto, colpi che le impongono di far salda la presa all’antico mobile, con quelle manine adulte ed adultere che stringono i bordi, dita ornate di anelli di finissimo gusto, tra cui è piacevole scorgere la fede nuziale.

Ficco e fotto, dalla fica al culo e dal culo alla fica, mentre la signora scomposta mi intima di non smettere mai, ma la raccomandazione è superflua, poiché godo talmente tanto a chiavarla che non smetterei nemmeno se cadesse il soffitto. Mi è gradita l’occasione per insignirla di titoli al merito, poiché ci tengo, mentre affondo nei suoi usatissimi orifizi slabbrati, ci tengo che sappia quanto sono onorato di fottere duro una Troia Puttana del suo lignaggio, ci tengo che sappia che avevo una voglia maiala di infilarglielo nel culo e lei, da Nobildonna elegante qual è, non esita a manifestarmi il gioioso entusiasmo che prova nell’essere fottuta nel culo da un Porco Culattone Maiale Frocio Schifoso e più lei mi insignisce e più io divarico quelle morbidissime e tremolanti chiappette biancastre ficcando a martello nel buco del culo arrossato e sfondato.

Odore di feci, fica, sudore e cappella si mescolano alla polvere antica ed ai profumi dei legni, in un’atmosfera sinistramente eccitante e stimolante. Giaccio di schiena sul cuoio della scrivania, mentre lei mi cavalca furiosa sbavando e approcciando al più gutturale, roco ed urlato degli orgasmi e la trovo sublime, stupenda e perfetta, così mirabilmente collocata nei suoi quarantacinque anni d’esperienza estrema e immorale, irraggiungibile, e le sborro gioioso in mezzo alle svuotate tettine rugosamente capezzolute, godendo del suo sorriso affilato di lussuria e sporcizia morale.
La adoro.

Ripreso il fiato non ci curiamo di rivestirci per il rito della sigaretta post coitum e lo facciamo così come siamo, nudi, lordi di sesso, odorosi l’uno dell’altra, componendo un sublime cammeo di decadenza ed amoralità.

“L’hai tradito” le dico godendo di dentro. Soffia il fumo e mi guarda sorridente.
“E’ stato stupendo” sussurra udibile appena.
“Lo rifaremo” sussurro, tentando di uguagliare il volume.
“Ne ho bisogno non sai quanto” sibila sensuale baciandomi un capezzolo.

Non vi è nulla da dire.
Poche cose sono energeticamente rinfrancanti come un bagno di lordura morale.
Che carica che mi ha dato.

Serata


Sediamo al tavolino io, la Skizza, la Raffa, tale Sergio amico della Raffa e della Skizza, poi arriva una certa Silvia, sempre loro amica, poi suona il telefono, è il Ruggi, gli dico di raggiungermi, arriva, presentazioni, si chiacchiera, si trattiene giusto per un bicchiere perché deve andare a dormire presto che oggi è una giornata campale, poi entrano il Max e il Costa freschi di doccia, prendiamo un tavolino, attaccalo, il Costa bacia e saluta la Skizza, il passato è passato e lui è un Goodfella, raccontano la situazione come reporter di guerra, il Ruggi interviene con altri dettagli, altro giro dai, va bene, ma uno, occhei.
Serata solidale contro la paura, la preoccupazione e il dispiacere. Fanno bene queste serate.

Poi abbandoniamo il campo, tutti.
Passeggio con la Skizza avvolta in una lunga gonna fantasia ecru ed arancio scuro su fondo nero che la costringe a piccoli passi, un golfino nero con i bottoncini e le ballerine color oro. Ha i capelli raccolti in una codona e mi confessa di quanto sia stanca di sua madre e la capisco.
Attraversiamo la piazza, io c’ho la macchina davanti all’ufficio, ti accompagno che facciamo due passi Taz?, ma certo, poi ti porto alla macchina, va bene.

Ma io non ho voglia di mandarti a casa e così tiro dritto fino al parcheggio del Dix, che è fuori mano e poi non c’è nessuno a quest’ora e tu capisci e mi fermo e non occorre che ti dica niente che ti inarchi a ponte e te le togli e me le strofini calde e odorose sul naso e senza rendertene conto fai quello che si fa coi cani, a cui si fa sentire l’odore della preda o dell’ostaggio e loro cominciano a cercare ed in men che non si dica hai la gonnona arrotolata sui fianchi e sei seduta impalata che godi, cavalcando sensuale ed io ti impasto le natiche belle che mi fanno impazzire e tu respiri spettinandomi la nuca, sbattendo a fondo il bacino per sentirlo tutto di dentro e ti sbottono il golfino e sotto c’hai solo le tette ed i fari delle macchine tingono di luce i tuoi capezzoli e non t’importa se chi passa può vederti chiavare, anzi, ti piace quel rischio e mi dici con voce incerta che se non ci fosse l’arresto ti faresti chiavare anche in piazza e io sento le vene del cazzo che scoppiano perché mi piaci da pazzi, a culo nudo, a tette di fuori, in un parcheggio alla portata di tutti, mi piaci sfrontata, arrapata, allupata, svergognata e tu aggiungi “e puttana” ed io dico di sì, che mi piaci puttana da matti e tu impazzisci e cominci a sbattere forte e vieni cantando, la fronte piantata sulla mia spalla e io sento il tuo odore, l’odore del calore animale che l’abitacolo trattiene come un prezioso tesoro ed appena hai smesso di venire scivoli al posto e cominci a succhiarmi l'uccello, impartendomi un inutile ordine di venirti in bocca, che mi basta sentire il calore della tua lingua per riempirti la gola di schizzi che ingoi senza sprecarne una goccia.

Torniamo alla tua macchina.
C’è la gente di fuori, in strada.
E’ successo di nuovo.
Magnitudo 4.3 alle 23:40.

mercoledì 23 maggio 2012

Serpe schifosa


La troiamadre è rientrata alla base.
Ma vi rimane giusto il tempo di sciacquare i perizomi intrisi di sborra equina e poi fa prua per Roma, perché per artiste del suo calibro l’Emilia terremotata non si addice, no.
Ma io mi chiedo: ma che razza di famiglia dimmerda è? Papy vive coi cinesi da più di un anno e mi auguro anche che si sia trovato un’amante, che le cinesine ci sanno fare gran bene col sedere.
Mamy è arsa dal sacro fuoco dell’arte e, su questo assunto auto referenziale, impersona la più deleteria delle caricature radical chic: mai ferma, mai stabile, sempre in giro per corti e reami altrui a mischiarsi con la decadente borghesia incartapecorita, corrotta e spiantata, ma sempre sostenendo un ruolo “rivoluzionario”. Eccerto. E' cciovane.

Ma per l’amor di Iddio, ragazzi, ripigliatevi.
Oppure fate la straminchia merdosa che volete, ma lasciate in pace la Skizza.
E invece no.

“Allora? Ti sei trovata un lavoro?” esordisce che non ha nemmeno appoggiato le valige.
“No” risponde la Skizza, che fa male a risponderle, perché quella gode a trascinarla nella tana del lupo per seviziarla.
“Figuriamoci. Sarei svenuta se avessi sentito un ‘sì’. Ma hai cercato almeno?“ con aria indispettita e schifata.
E la Skizza cambia stanza, perché la Skizza non cerca la rissa. O meglio, bramerebbe quella fisica, con la quale spettinarle il culo a calci, ma dato che non è possibile, resiste verso quella verbale, perché l’ha capita gran bene, ha capito alla perfezione che quella si diverte.

“Io esco” dice la Skizza, al limite dell’umana sopportazione, dopo non aver ricevuto nemmeno non dico un “hai avuto paura?”, ma nemmeno un “come stai?”.
“Non prendere la macchina che potrebbe servirmi” gracchia imperiosa la troiamadre.
“Non preoccuparti, non ne ho bisogno, me ne hanno prestata una” le risponde sibilando di fiele la Skizza, a due millimetri dalla faccia.
“Ah!” – sbotta la granputtanadimmerda – “posso facilmente immaginare il come mai di tanta generosità… Generosità con chi sa essere ben generosa, immagino…” ghigna velenosa e cattiva.

Ed in questi casi, quando si tira la corda a mille, quando si spacca per il gusto di sentire i cocci sul pavimento, spesso esce la verità. Già. E la verità è uscita dalla bocca della Skizza. Già.

“Sei una serpe schifosa, mamma. Vergognati.”
Nessuna replica.
Almeno quello, cazzomerda.

Lentamente


L’intensità delle scosse sta diminuendo e il tempo tra loro lentamente aumentando.
Io non sono un cazzo di nessuno, ma mi dà l’impressione che non sia male.
D’accordo, ogni tanto ne arriva una che andresti a vomitare il cuore dal cagone che ti viene, però anche alla vomitata estemporanea si comincia a farci l’abitudine e lentamente si ritorna al quotidiano.
E anche se sembra una cosa brutta è, invece, una cosa giusta.

Ieri pomeriggio mi sono scorrazzato la Skizza in giro per la pianura padana ed è stato un bene.
Intanto ha visto cose nuove, che non era mai stata in uno studio di ripresa serio. E poi si è rilassata.
Abbiamo chiacchierato moltissimo in macchina, di mille cose. Ci siamo fermati in un posto sperduto dove un ragazzo ed una ragazza hanno aperto una cicchetteria e abbiamo cenato lì, molto easy, molto cazzomenefrega, che è uno stile che ci accomuna parecchio, a me e alla Skizza. Poi siamo tornati indietro pian pianino e siamo andati a casa. E fortunatamente, stanotte non abbiamo sentito ballare. E abbiamo anche dormito.

“Dì a tua madre che qui c’è da cagarsi addosso di brutto, che rimanga pure al lago a vita” le propongo.
“Troppo tardi” – mi dice – “ domani [oggi] ritorna. Ma mi ha anche detto che venerdì mattina riparte e va a Roma, che una sua amica inaugura una galleria” e questa è una buona notizia, sì.

A casa, alle undici di sera, abbiamo aperto una bottiglia di Chardonnay gelato. E ce la siamo seccata con calma, ubriacandoci lentamente, mollemente. Ho anche girato un cannino leggero, che era da sabato che si faceva gli astenuti. E poi le ho tolto le ballerine e le ho annusato i piedi. E ci siamo arrapati tutti e due.
Perché se a me manda fuori di testa annusare il suo puzzo animale, a lei manda fuori di testa farsi annusare quando sa di puzzare animale. E abbiamo scopato molto, che anche quello era da sabato che non si faceva più.

Sono contento di stare con la Skizza.
Sono contento di esserle vicino come necessita.
Mi fa star bene.

martedì 22 maggio 2012

Verifica scientifica delle lesioni


“Betta scusa, ma l’altra notte ti son ballate anche le poppe?”
“A non so, è ballato tutto, altro che le poppe”
“No, non scherzare, cerca di ricordarti bene. Perché se ti sembra di sì sarei più tranquillo se potessi dare un’occhiata per verificare che non ci siano lesioni strutturali”
“Un’occhiata eh? Solo un’occhiata? E se trovi le lesioni cosa fai? Le sfolli?”
“No, intervengo spruzzando un liquido che rinsalda le eventuali fratture”
“Mo sarai siocco…”
“Mo sé”

Umberto, non mollare mai


Palazzolo, Tradate, Senago, Thiene, San Giovanni Lupatoto, Cantù, Meda.
Non mollare, Umberto, avanti tutta, avanti così.