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venerdì 15 maggio 2015

Maestà aiutatemi

Chiamo il Ruggi dalla mia supercar made in USA col proposito di ottenere un consiglio esperto, un conforto, ma al primo micro accenno mi placca.
“Fermo lì” – mi dice perentorio – “io parlo solo di meteo e di figa al telefono, per qualsiasi altra cosa: vis-a-vis”.
E così la settimana prossima sento che, tanto per cambiare, prenderò un aereo.
Anche se, in realtà, sarà l’aereo a prendere a bordo me, ma non si può essere così pignoli nella vita.
O forse sì.
Nella mente mi passa un”gnegnegnegne” di antica memoria skizziana, due fotogrammi chiave culei e, a quel punto, la necessità improrogabile di farmi una sega sboccia come un fiore di campo.
Accosto a destra ed espleto con soddisfazione, forse visto da signore in bici con ombrello.
Raffinatezze.

Il pranzo della merda

Che bel pranzo.
Un essere dalla testa rasata, grosso come due esseri dalla testa rasata, ingolla una minestra in brodo rovente senza nemmeno alzare gli occhi dal piatto. Un ex guascone ex simpatico e ex cazzaro dall’ex cuore buono, trasformatosi oggi in un odioso roditore bullo e cafone dal cuore di merda, pontifica in una lingua extraterrestre attorno a questioni di quattrini che (ma pensa un po’) sono anche (soprattutto aggiungerei a ragion veduta) i miei quattrini. Con una pseudo padronanza imprenditoriale, resa agghiacciante dalla oceanica ignoranza da ritardato al midollo, prospetta con sicumera grottesca scenari “astuti” che sono, a dir poco, di una assurdità apocalittica ed aggiunge, come non bastasse, dei “dranguill Taz dà ret al Costa” che mi mettono freddo alla schiena.
Siede di traverso, non mangia, martoria uno stuzzicadenti a bocca aperta guardandomi da faina drogata (secondo me ha pippato una riga di troppo) in attesa di un mio esteso consenso.

“Non lo so, ho bisogno di pensare” riesco a dire solamente.

Ma questo viene interpretato come un’esortazione a procedere nel convincimento e la dissennata litania si propaga ancora, mentre l’essere doppio mangia qualsiasi cosa, occhi fissi nel piatto, zero parole, atteggiandosi da duro ritardato (la parte uno gli richiede più impegno della due) che accompagna il “capo” a far visita allo “stronzo che crea casini”, come se io quella testa di cazzo rancida del Vosco non lo conoscessi bene.

“Supponiamo che io non ci stia” – azzardo a secco mentre il Chiar.mo Prof. Costa era all’apice dell’orgasmo dell’astuzia economico-finanziaria.
 “Come non gi shtai?” – chiede l’amadriade minchiocefala.  “Non ci sto vuole dire questo: non mi interessa lo sviluppo che prospetti, non intralcio di sicuro, ma voglio indietro la mia parte corretta opportunamente di alcuni fattori di cui si parlerà al momento opportuno. Ecco cosa vuole dire che io non ci sto.”

Panorama reattivo vasto: dalla pacca sulla spalla con sorrisone amicale, alla risata isterica, alla serietà improvvisa, all’incazzatura mal celata (momento in cui testa pelata alza gli occhi dalla quinta mela che mangiava per fissarmi afasico) alla minaccia neanche tanto velata, al rinfaccio, alla repentina alzata in piedi con lancio di luride banconote stropicciate sul tavolo (bastava pagasse il conto, mica occorreva facesse una OPA su BNP Paribas) e abbandono dell’allegro consesso con frasi da film:  “Bellomio te lo gonziglio da amigo di pensare acciò che avvuoi fare, fitati. Ci ai una zettiman che io me ne scendo quacchecionn ciù e quant tonn ci vediamo LAH’ a PRACA e non QUAH, che è LAH’ A PRAC che è il lavorare e  i solt che calcola che li facc io anche pettè, ricottatelo. Ci vediamo allo sposalizio dommani stammibbene.”
Molto Quentin Tarantino de noantri devo dire.
Poi parte con la Yukon guidata da due uomini con la testa rasata al posto di guida.

E lo sapevo io che era troppo bello, qui, perché potesse durare. Troppo.
Vabbè, calma. Che piove ed è un attimo scivolare.

Arrivano i mostri

E’ arrivato.
E’ arrivato col lacchè Vosco, con cui si alterna alla guida. E domani alle sedici parte per tornare nei paesi bassi. Me lo dice tra il rotto il cazzo e quello che ha i coglioni rotti con me. Poi comanda il pranzo, io, lui e il Vosco, ma non alla Solita. A una trattoria di Fecazzone che così si parla di “biznes”.
Mi sento male, ho orridi presagi.
Parto.

Linguaggio

“Allora ti volevo dare un salutino che stasera sei fuori per la pizza sbroccona e non ci vediamo” – esordisco io al telefono che ormai è sera.
“Oh, ma guarda che se te non hai impegni mi sa che ci possiamo vedere benissimo lo stesso anche stasera veh?” – risponde d’un fiato.
E no che non ce li ho io gli impegni, no.
“Ma a che ora pensavi di liberarti tu?” – chiedo non perfettamente convinto.
“Ma io dico che per l’una son bella che a casa, considerando che sto andando in là adesso. E poi, porta pazienza, son poi libera di dire che vado via quando voglio eh”.
E porto pazienza e l’una va bene, sì.
“L’una è buona, mi metto in pigiama e ci vediamo da te allora”
Lei ride e dice ok.

Sono ore poco vocate all’intimità notturna segreta: stasera l’addio al nubilato, domani sera cena very relax passatempo per lo sposo teso come un osso (assenti la sposa e i testimoni) e sabato c’è il matrimonio. Poi da domenica tutto dovrebbe ritornare sul binario.

***

“Ma sì, ma ho capito” – mi dice quando, pigiamati entrambi, ci troviamo sulla gradineria notturna rurale intima e segreta e io faccio il ragionamento dei giorni difficili – “però con un minimo, voglio dire, per esempio, domani sera dopo la cena ci si può vedere, stasera ci siam visti, nel senso che volendo anche sabato di riffa o di raffa ‘na cannetta al matrimonio nascosti da qualche parte ce la faremo o niente?” e ride come una scema.
“Una tossica drogata sto diventando, sto” - aggiunge divertita, con quella scivolata modenese inevitabile per chi sta con un modenese.

“La cannetta al matrimonio ce la facciamo sì e anche più di una, ma solo se sarai senza mutande” – aggiungo io ridendo, rendendomi conto che è la prima battuta a sfondo sessuale che le faccio e lei replica rapida “Ahbeh, sai che problema, vorrà dire che o vengo via direttamente senza, o andrò in bagno a togliermele!” –  e si ride moltissimo, complice protagonista la cannabis che aspiriamo con applicazione. Che robe strane.

Son lì che penso, smontando il filtrino dal cannino morto, quando l’Anto mi viene addosso e mi spiaccica nell’angolo tra la porta e il muro che la tiene su.
E ha una lingua grossa e morbidissima, guizzante, dolcissima, piacevole e la slinguo abbracciandola, senza palparla, solo slinguandola e stringendola, accarezzandola più dolce che son capace, non prendendo iniziative, lasciando che sia lei a guidare come vuole, dove vuole e quanto vuole. E ci slinguiamo le gole per un bel po’.

Poi il distacco.
“Cosa c’hai messo dentro stasera?” – mi chiede ridendo, con gli angoli della bocca bagnati di saliva e arrossati dalla mia barba, come succedeva alle festine delle scuole medie.
“La lingua” rispondo riavvicinandomi e ricominciando senza cannibalismo.

Bello.
Questo coso strano è davvero molto bello.
Drammaticamente bello.
Torno a casa nella notte fondissima guidando in pigiama una poderosa FIAT Punto bianca, auto americana top class, dopo aver “limonato” e basta con la ragazza di un amico e, non solo non c’è stato alcun coinvolgimento/epilogo genitale di qualsivoglia natura, non solo non avverto il benché minimo senso di colpa per l’amico, ma mi sento contento, felice e (incomprensibilmente) sereno.

Notti emiliane magiche che neanche al Campo Volo, ragazùa.
Questa roba qua a Praga non ce l’hanno mica eh.
No, non ce l’hanno.

Però, al di là di tutto, una gran sega me la devo fisiologicamente fare.
Più d’una anche, forse, mi sa.
Ha!

giovedì 14 maggio 2015

Notti emiliane

 Ieri notte 

“Mi sta sul cazzo anche a me” – commenta la Anto riferendosi alla morosa di Zack – “con quei modi da “signorinetta per bene”…”
Siamo lì seduti in seguito alla frettolosa liquidazione serale del povero Altrui da parte della Donna Altrui, la quale si è, in seguito, affrettata a darmene uozzappica notizia. Ci troviamo al solito posto, in gradinata rurale notturna, a sparlare da comari, lei in pigiamino grigio e felpa col cappuccio, io in pantaloni del pigiama blu e t-shirt, mutandoprivo, perché se devo andare vestito come andrei a dormire, le mutande non ci sono mai.

“E taci che ci siam liberati della Emy” – incalzo da troia nella certezza di trovare terreno fertile, seppur non standomi minimamente sui coglioni la Emy, ad eccezione di quando cavalca sbattendo forte, impalata dal mio bell’albero della cucCagna. Più che rompicoglioni la trovo di una piattezza intellettuale soporifera, ecco.
“Dio la Emy, non me ne parlare che l’avrei ammazzata, miss Stoccazzo, con tutte ‘ste moine… sei figa sì, sei figa, abbiam capito, ma adesso basta, che non ce ne incula un cazzo a nessuno che sei figa…”.
Sì, non ce ne incula un cazzo per dire, comunque. A me, ad esempio, me ne incula eccome. Ed anche a te, visto che citi il dettaglio e ti incanni abbestia anche adesso.

Cannetta.
Involontariamente un po’ più carica.
Ci incannelliamo pesti io e la Anto, eh.
Lei è un’ottima compagna di fumate, perché non va in paranoia, è tranquilla, ciarliera il giusto, mai sopra le righe anche quando è fatta dura, insomma, è una grande compagnia cannaiola.

“Aveva voglia di scopare, stasera.” – sentenzia gelando un momentino l’aria.
Segue breve pausa.
“E tu?” – chiedo per sapere come avesse gestito – “ebeh se son qua con te, io no evidentemente” e sorride sensuale guardandomi con gli occhietti piccoli e i capelli arruffati.
“Intendevo dire cosa gli hai detto” – preciso da sciocchina – “gli ho detto che ero stanca, ma tanto a lui faccio un piacere perché lo sai lui dov’è adesso no?” – mi chiede prima di tironare fonda.
Sì che lo so, ma la mia testa fa segno di no.

“Lui è tra le cosce di una qualsiasi delle puttanelle russe di merda là vicino alla fabbricona… mo sì che lo sai, nden, lo san tutti che c’ha quel vizietto” – e io taccio.

Già. Va sempre che un po’ tutti sanno un po’ tutto un po’ di tutti.
Chissà cosa saprà lei di me.

 “Ma senti” – chiedo io, bimba falsa e farisea dal lungo clitoride ipertrofico – “ma come fai ad andare a letto con uno che sai che va a puttane?”.
“Ci vado quando non posso evitare e basta. Prendo precauzioni comunque.”
 “Detta così non suona da vita di coppia felice”
“No, infatti, per niente. Ma penso che…”
e io non indago su dove stanno andando a spaziare quegli occhietti fumati. Non indago.

Silenzio.
Cannetta, passaggio.
Silenzio.
Notte emiliana nera, rurale, intima, segreta, cannaiola, intristita e un po’ rabbiosa.
Mi spiace.
Mi spiace, ma non indago.
No.

martedì 12 maggio 2015

La solitudine solitaria dell'Uomo solo

Alla fine delle fini, l’Uomo diviene solo.
Solo, alieno dal gruppone ruttaiolo che si sbrega di numeri lesbo, travoni, mignotte in sala, alcol, sudore e canne di basso livello qualitativo.
Solo senza dare un avviso, un segnale, garantendo subdolamente la sua presenza come assolutamente certa sino alla fine, evaporando sin dall’inizio.
Egli scompare. Nel nulla.
Irrintracciabile al cellulare, introvabile a casa sulla piazza maestra, introvabile a casa nel capoluogo di provincia, dissolto, scomparso, smaterializzato, magnete attrattivo di vaffanculotestadicazzostronzo e di bestemmie e maledizioni, ma nonostante ciò, egli non è e non sarà.

Perché l’Uomo deve essere solo.

L’Uomo cura i dettagli, cambia persino auto all’autonoleggio nella tarda mattinata (era dovuto, ma nella scena complessiva mi appariva bello e calzante usare il dettaglio), prendendo il possesso di una prestigiosa, elegante e lussuosissima FIAT Punto bianca, auto americana blasonatissima, degna del suo rango di Uomo in Dissolvenza.
Nessun indizio, nessuna traccia, nulla. Solo.

Anche la Donna Altrui che lo redarguisce con un “Ma dai, vacci, guarda che io stasera esco con le ragazze eh” come a dire “non pensare che ci sarò per te” non immagina della smolecolarizzazione dell’Uomo che si dissolverà in iperfantastiliardi di particelle subatomiche che si dissolveranno e saranno qui, in nessun dove ed in ogni dove. La Donna Altrui che lo redarguisce lo fa infantilmente, sperando in cuor suo che, a un tratto della prima notte, un messaggio dica “vediamoci” essendo sin d'ora pronta a dire sì, ma non stasera, no, non questa notte di antimateria.

Stanotte l’Uomo scompare. Da solo.

E l’Uomo scompare annidandosi in buchi neri di profondità incommensurabili, dove spazio e tempo assumono significati relativi che travalicano la scienza, persino quella di Antonino Zichichi. L’Uomo scompare affidandosi ala maestria di una famosissima Maga che sa far scomparire moltissime cose, anche di grandissime dimensioni.
Egli le telefona a pomeriggio ottenendo il suo benevolo appoggio alla smaterializzazione antimaterica.

“Ade devo nascondermi, mi ospiti solo per stanotte?”
“Cazzo Cicci, sei nellammerda?”
“Più o meno”
“Dammi qualche ora cicciamore, che ci pensa la sia Ade al suo cicciammore”


E, amisgi, la sia Ade ci ha pensato lei. Sì. Perché Ella tutto può.
E l’Uomo alle ventuno esatte scompare sotto l’incantesimo adeliano dell'antimateria.
Pfffffsssgggghhhhhhhhhppffffff…
Ha!

Azzurro notturno

Grilli e scalini, pigiami e infradito, cannette e sussurri, segreti rurali, notti rituali.
“Ma come non vai senza dir niente a nessuno?” [all’addio al celibato]
“Non vado perché non me ne fotte un cazzo di un festino come quello. Voi lo fate l’addio al nubilato alla Nadia?” – “Sì, ma si farà una pizza sbroccona, niente di trascendentale, lei non è il tipo” – “E quando lo fate?” – “Giovedì sera” – “E ma che brutta scelta, il giovedì è calcetto” e lei ride sgomitandomi lieve.

“Azzurro?” chiedo accarezzandole l’alluce così vicino e così lontano.
“Bah ce l’avevo in casa e ho pensato ti piacesse, ma se vuoi lo tolgo” – “Ci mancherebbe, mi piace, mi piace soprattutto il pensiero, grazie” e si sorride vicini vicini, accoccolati sugli scalini, ad ascoltare i grillini (non QUEI grillini, quelli veri, quelli seri).

“Cannino?” – “Oh yes, ma così divento una punkabbestia sempre fatta, sai che mi è passata a pomeriggio quella di ieri sera?” – “E’ perché è buona e sana” – e lei - “Viva viva la Maria Luana” e la appiccia.
“E se lo viene a sapere?” – chiedo da bambina col pisello – “Cosa? Delle cannette o che ci vediamo?”

Ed entra liscio un concetto semplice alla cui distorta vestizione sdoganante lavoravo da oggi e che sollievo! è accettato con semplicità, senza false lenti filtro, con consapevolezza adulta e senza inutili blocchi in dogana. Noi ci vediamo e lo sappiamo, non è che ci vediamo a nostra insaputa. Eh sì. Ci vediamo, di notte, segretamente. Ci facciamo le canne proibite e ci confidiamo le cose anche intime e ne siamo consci. Noi ci vediamo, ci stiamo vedendo, segretamente, privatamente, personalmente, isolatamente, probabilmente anche propedeuticamente.

“Tutte e due, cannette e incontri” – dico soffiando e passando. Silenzio. “Non dici niente?” – chiedo alternandomi al mio turno – “Cosa vuoi che dica? Vuoi sentirmi dire ‘evitiamo di sputtanare i cazzi nostri’ ?”.
“No, per carità. Niente, non devi dire niente. Nient’altro che niente.”
I cazzi nostri.
Non m’è sfuggito, no.

“Sbloccherai mai il  numero alla Maggie?” – mi chiede soffiando sulla brace. “La Maggie è totalmente al di fuori dei miei interessi in questo momento, ergo non me ne sbatte un cazzo della Maggie né ora né mai più” e sento una testa che si gira e occhi che ridono.

“Dovrei venire anche io in pigiama qui, la notte” – aggiungo dopo un bel po’.
“Una specie di pigiama party?” – chiede sorridendo mentre ammazza il cannino salvando il filtrino.
“Una specie” – aggiungo appoggiandomi alla porta e passandole il braccio sulle spalle per tirarla accoccolata vicina a me.

“Freddo?” – “No.”

E i grilli grillano, le unghie azzurrano, le cannine muoiono e le persone tacciono.
E tutto ciò, oltre ad essere sereno è anche molto bello.
Molto.

lunedì 11 maggio 2015

Linee guida del lunedì

Oggi

Bonsgiur, che bel risveglio,il risveglio con le finestre che danno sulla piazza maestra di Taziopoli.
Che bel brulichio, che bella vista, che belle tope anche. Ruspanti, anche le più sofisticate. Tutte così seSuali con quei culi e quelle mammellone, che meraviglia.
Ho trascorso una notte descisamente insonne nella quale ho terminato la sistemazione dell’appartamento, ho colorato una parete di viola, ho scritto come un novello Salgari tutte le faccende del week end, di cui vi do una rapida guida alla lettura, considerando che sono tante e lunghe, ossia sono due cose che apparentemente non vi piacciono, considerando il nullo numero di commenti.

Venerdì.
Una serata che più incazzato di così non poteva portarmi ad essere:  Spiegatemelo bene voi, perché io non ci capisco veramente un gran cazzo, ed era ovvio che necessitassi di un piccolo sfogo fisico che lenisse i dolori genitali: La bagascia termica.

Sabato.
Al classico mezzogiorno maschiale grandi preparativi per la maialata dell’addio al celibato: Il prandiale del sabato maschiale e taziale, mentre un piccolo, ma gradevole e stranissimo incidente ha caratterizzato il tardo pomeriggio del serale griglieo maxiale: Sabato sera grigliale alla cauntri aus maxiale.

Domenica.
Giornata di ramazza e spazza a pulire, sistemare, riassettare, combinare, lavatriciare per prendere possesso diretto della postazione d’eccellenza sulla piazza maestra di Taziopoli, con un annesso inaspettato, dolcissimo e pericolosissimamente meditativo tardo dopo cena: E se io partissi tu me lo offrissi?

Ecco qua, tutto allineato e usabile.
Baci in tutte le molli parti sensibili.

E se io partissi tu me lo ‘offrissi’?

Domenica sera, dopocena

Una domenica campale, passata a smobilitare il mobilio approssimativamente giunto in casa, componendo angoli tv, collegando cavi, avvitando letti, pulendo libri, armadi, comodini, cazzi e, soprattutto, mazzi vari.
Ore 20:00 paninetto misto aria giù al Centrale, che la Raffa è frocia e me lo ha anche confermato qualcun altro, mentre altri ancora dicono che è mezza e mezza, cosa che mi metterebbe in overbooking volentieri, perché la tecno-cougar è assai appetitosa ed inquietante, anche se tutti concordano che è tempo perso.

Poi su a casa, preparare il letto fresco, doccia depolverizzante e, alla volta delle ventidue e zerotre mi scappa un uozzappo, ma non alla Skizza, ma alla Anto.
Uozzappo da amicommerda, ben cosciente che il Sa-aaarti (che fa l’autista di quei furgononi col tetto alto e le ruote doppie dietro) a quell’ora della domenica è in fase di riposo/preparazione perché parte alla volta delle ventitre e qualcosa.

“Dormi?” esordisco in punta di tasti della graziosa applicazione.
“No! Stavo guardando Report” e segue un faccino sorridente.

La Anto, dovete sapere, è una trentacinquenne che vive ancora con la mamma e il babbo, è tristemente disoccupata causa licenziamento dalla fabbricona dove lavorava come amministrativa e ora trascorre le sue giornate a far da badante ai suoi (simpaticissimi, peraltro) genitori, sperando che Gesù Bambino le porti anticipatamente un lavoro.

“Report. Da ammazzarsi dall’ottimismo” ricamo con garbo.
“Infatti!” risponde con faccina sorridente con bocca aperta.
“Te la butto lì” chioso con simpatia fratellonza “ma se io venissi lì tu me lo offrissi un caffè? O sei troppo stanca? Guarda che si può rimandare eh, ci mancherebbe.”
Pausa, pausa, scribble, scribble.
“Se non ti fa schifo che sono in pigiama volentierissimo!”

***

I grilli.
Non li ascoltavo da una vita, sono bellissimi. Seduti su tre scalini di pietra di una vecchia casa con cortile rurale, un uomo e una ragazza chiacchierano sottovoce, dopo aver bevuto un caffè di sopra ed aver reso onore ai simpatici vegliardi.
La ragazza indossa un pigiamino a fiori rosa su fondo azzurro, leggero, i cui pantaloni arrivano sino a metà polpaccio, calza delle infradito di gomma color azzurro cielo con suola color azzurro cielo e bianca e si copre le spalle con una felpa grigia col cappuccio.

La ragazza non è bella, non lungo i parametri della figheria riconosciuta a livello europeo. Lei rappresenta l’assoluta gradevole normalità, tinta di una somiglianza non vaga con Debora Villa prima che diventasse anoressica e marcatamente figa aggressive, up-to-date. megakewl.
I due siedono, chiacchierano, lei tenta di affrontare l’argomento “amica deficiente” ma lui non ha cazzi, lui invece si gira una cannina chiedendone il permesso e resta stupito di come lei ne richieda un tiro con totale naturalezza, “Ma tu non eri una non fumatrice?” – “Di sigarette sì, ma a una cannetta tranquilla non dico mai di no, è che il Sa-aaarti mi rompe i coglioni”.

Eccerto. Il puttaniere inverecondo rompe i coglioni alla santa donna per un cannino.
Mi sembra equo ed equilibrato. E’ moralmente giusto.
E i due chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano, anche un po’ lubrificati dall’erbetta pazzescapazzeschissima, ma anche perché ce n’avevano da dirsi, negli effetti, a livello generale.

E i grilli grillano che è un piacere autentico e la ragazza chiede all’uomo se ce n’ha ancora da girare che era buonissima e l’uomo, pacatamente, risponde incominciando a preparare, mentre la donna si abbraccia le ginocchia e lo guarda di traverso col capo appoggiato alle ginocchia stesse.

“Stai bene coi capelli raccolti” - egli dice rollando esperto lo spinuzzo – “sì, sto bene come mia nonna Abelarda, ma son troppo comodi” – replica l’insoddisfatta ragazza.
E i grilli grillano, gli spini spinano, le chiacchiere chiacchierano e l’uomo, ben sciolto dalle fumigazioni si spinge a dire ciò che pensava sin lì ma non aveva il coraggio di dire, ovvero “Che bei piedi che hai, non te li avevo mai visti”, affermazione che scivola molle e che porta come risultato una verticalizzazione con spread delle dita e nessun commento di ritorno.

Fumagione, passagione e poi l’uomo richiede un parere all’amica: “Secondo te” – egli inizia con aria impegnata – “è da considerarsi un gesto intimo se un uomo ti tocca le dita dei piedi?”
 “In che senso ‘intimo’?” – chiede lei accingendosi al tirino – “nel senso di valenza erotica e/o sessuale” – risponde lui riprendendo il cannino – “boh, non credo” – dice lei appena pensierosa – “sei un feticista?” – chiede intelligentemente – “Sì, molto” – risponde egli affogato di verità – “E allora me lo devi dire tu che valenza erotica ha per te toccare le dita dei piedi di una donna” – incalza lei ben lucida relativamente alla logica della discussione di spessore – “Per me ha un’alta valenza erotica” – risponde lui passando il cadaverino ormai morente – “Ecco” – dice lei aspirando con un occhio semichiuso, mentre lui approfondisce – “Quindi se io te le toccassi, sapendo tu che per me il gesto ha una valenza erotica, ti infastidirebbe?” – “Credo proprio di no” - e poi squilla in una risata – “D’altra parte, dopo aver visto il tuo pisello duro ieri, credo di non sapere di cosa stiamo parlando”

E l’uomo ride e poi si fa serio e poi tocca, sotto lo sguardo molle e sorridente di lei che continua a guardarlo di traverso con la testa sulle ginocchia abbracciate.

Null’altro.
Nient’altro.
Un rilievo sull’ora tarda dopo un silenzioso periodo di carezze fetish a quelle lisce dita calde, un bacio della buona notte ed un ritorno a casa voglioso e necessitante di abbondantissima masturbazione e di iperattività notturna che aiutasse a porre un filo conduttore a sensazioni imprecise ed agitanti, miste al terrore di essere a un passo dal baratro devastante, miste alla magia dei grilli e di un’intimità dolce, inattesa ed intensissima.

Ditemi che non mi sto ficcando nei guai.

Sabato sera grigliale alla cauntri aus maxiale



Sabato tardo pomeriggio / sera

Partecipo con vigore sin dal pomeriggio, portando con l’Umbe e il camioncino del Max il carico della legna da ardere. Perché le sabatiadi maxee, al momento, prescindono dalla presenza dei due futuri spozzi, già in tutt’altre faccende affacendati.
E così lo scettro del comando viene impugnato dall’Antonella, executive chef, che comanda i materiali al Sa-aaarti, spacciatore ufficiale di carne e verdure e vini e, questo sabato, schiavizza anche due commis de rang addetti alla legna: me e l’Umbe.

E, appena guadagnata una distanza lontana da orecchie indiscrete la Anto, molto diretta e già abbondantemente informata, mi chiede sottovoce “Ma che cazzo è successo ieri sera?”.
Spiego molle, dapprima svagato, scazzato, disturbato, poi innervosito, poi vengo interrotto con quesiti pertinenti che mi appaiono impertinenti e insisto con vigore, poi inizio a sentire l’incazzatura, poi libero lo sfogo, poi mi incazzo veramente e, come spesso avviene, incazzandomi veramente mi diventa duro l’uccello e, ebbene sì, lì, davanti all’Antonella, Mastro Tarello si è imbufalito con me, premendo visibilmente attraverso i pantaloni da jogging grigi senza lasciare nulla, ma proprio nulla all’immaginazione, agevolando enormemente l’Antonella sulla comprensione precisa delle mie inusuali misure che non l’hanno lasciata totalmente indifferente, considerando che ha sì retto la conversazione con coerenza, ma con l’occhio che scappava continuamente sul pezzo, sinché mi sono sentito obbligato a scusarmi spiegando il fenomeno e lei, con un malcelato sorriso, mi ha pregato di non scusarmi affatto che se mi succede mi succede, e sì che mi succede, e se ti succede ebeh, ebeh sì mi succede e poi d’un tratto comincia a sventolarsi col grembiule ridendo, rossa in viso, dicendo “che caldo che m’è venuto!”.

E’ la primavera, suggerisco io e lei ne conviene, non senza gettare un’ultima occhiata al mio femore di dinosauro sempre più duro a causa dell’esibizionistica situazione che ha indotto il viraggio dell’erezione da tecnica (mi tira perché incazzandomi stringo le chiappe) a motivazional-erotica.
E ho provato una fortissima voglia di chiavarmela alla pecora sulla tavola, abbassandole quei pinocchietti elasticizzati di tristissimo colore isabellino, denudandole le terga tonde e generose e probabilmente candide, per farle assaggiare nella fica bagnata, gonfia, schiusa e calda la qualità superiore della Carne di Cazzo Crudo di Gran Porco IGP, allevato solo a seghe e succo di fica, culo, ascelle e piedi sudati di femmina in ovulazione.

Cristo Santo.
Meglio che me ne vada all’estero, sì.
Alla svelta.

Qui sta diventando ingestibile e pericolosissimo tutto.

Il prandiale del sabato maschiale taziale

 Sabato mezzogiorno

Formazione: io a capo tavola e dalla mia destra a seguire: il Max-libero-ma-poi-deve-andare-velocemente, Virus-Ceccherini, l’Umbe, Zack, il Sa-aaarti.
“T’ha spompato per benino” mi dice il Virus lento e riverente affrontando una coscia di galletto che gli unge le mani.
“Non c’è male” rispondo io con pacatezza, combattendo il senso di vomito.
Nessuno sapeva della serata al restorant de clas con quella, grazie a dio.
Altrimenti sarei stato ucciso di interrogatorio.
Si pranza, si rutta, si parla di sesso anale e poi il Max abbandona il fine desco e allora giù di riunione carbonara.
“Oh ragass, muoversi adesso.” dice il reverendo Sa-aaarti concitato.
Si è entrati nell’argomento “addio al celibato di Max”.
A parte il fatto che mi scomporrei assai di più per essere invitato all’addio al nubilato della Nadia (vi confesso) e che mi sentirei anche di reggere in contemporanea lei e un tre-quattro delle sue amichette, la faccenda adesso è agli sgoccioli.
La maialata, che è in progetto dall’età minoica, ormai non ha più margine. Martedì sera è la data, decisa e inalienabile ed è per questo che si lavora sui dettagli.
Inutile dirvi che non ci andrò, rendendomi irreperibile all’ultimo minuto, anche se nessuno sa nulla.
Ciò che invece mi ha fatto piacere è che il Max sia stato ultrafelice del mio regalo-viaggiodinoche.
“Non dovevi, cazzo” mi dice commosso in separata sede quando arrivo.
“Massì che dovevo, perché volevo e potevo” rispondo “vorrà dire che mi ripagherai con una vostra foto nudi sulla meravigliosa spiaggia roquera” e lì si ride, ma intanto speriamo che mi prenda in parola.

Tanto io all’addio al celibato non ci vado.

La bagascia termica

Venerdì notte / Sabato mattina

Che bell’oggetto, l’iPhone. Mi ha consentito di bloccare l’utente Maggie e di percorrere in assoluta tranquillità la misera tratta stradale di meno di quaranta chilometri che separano il restorant de clas dalle Terme.
In fin dei conti, essendo terminata la cena della preconoscenza alle precoci ore ventidue e trentasette minuti, rimaneva del tempo per concedersi una piccola distrazione medicamentosa dalla seccatura dianzi vissuta.

E allora alle Terme, deciso, si va.
Le Terme, sublime luogo di mens sana in corpore sano per qualsiasi categoria di umano le frequenti: dall’ottuagenario alla ricerca di benefici alla prostata, all’appena più che quarantenne alla ricerca di benefici alla prostata, magari più immediati e magari anche parecchio dissociati dal complesso tema della termalità collinare oggi.

***

Al banco d’acciaio e pelle scamosciata marrone, mentre le lucine disco sfarfallano e Sylvester cinguetta You make me feel mighty real,  si siede accanto a me la Femmina SeSuale, piaZere SCimona, piacere Tazio, ma che bell’accento italiano, amica bagascia ultra cinquantenne abbronzata come un Ringo al cioccolato e plissettata come un ippopotamo, col taglio frisè biondo platino tardi anni ottanta. Ah! sei di Lugo, ma accidenti che meraviglia! e dimmi, bagascia ultra cinquantenne di Lugo, come fai a sopravvivere con la concorrenza sovietica quasi prepuberale che riempie ogni spazio intermolecolare del circondario? Mo perché io sono italiana e ci so fare anche del gran bene e allora mi hai convinto, amica bagasciona, parliamo di soldi senza vergogna che non vedo l’ora di infilarti il naso nel buco del culo ricco di ghiandole ferormoniche e così ne parliamo, pattuiamo durata, richiesta, performance, no amica bagascia, non c’arrivo manco se rompo il maialino e allora dimmi tu Tazio e il Tazio dice: tutto scoperto, clistere, faccia, ingoio, piedi, primo e secondo canale, sport acquatici, overnight tranquillo in alberghetto a mio carico, mille pezzi secchi e poi procurami della botta che voglio che ci divertiamo abbestia e lei aggiunge due pezzi e accetta dicendomi che la botta ce l’ha già seco e allora via verso l’alberghetto lurido e disonesto.

Che bella suineria senza fronzoli, cazzommerda.
Dritti al dunque, ben infarinati e ben disinibiti, così mi piace, così mi voleva, amica bagascia di Lugo senza freni d’alcun genere, che delizioso risveglio familiare con te, vacca nuda che sembri morta spiaggiata di pancia e la filippina in camera che ci prega di rimuovere velocemente i culi dalla stanza.
Ore dieci.
Sgommare, amica bagascia, che ho un pranzo importante a cui non rinuncerei mai.
Sì, certo, lasciami il numero, certo.
Che tanto non ti richiamerò mai.

Spiegatemelo bene voi, perché io non ci capisco veramente un gran cazzo

Venerdì sera.

Arriva l’ora X, ci troviamo direttamente al restorànt de clas individuato dal Tazietti, io sono bello molto più di Adone, lei è giù da guerra che rimango con la mandibola pendula, ci sediamo, ha-ha-ha, he-he-he, clima rilassato, caldo, flirt che continua signorile e persino d’altri tempi, con un Tazio Cavaliere che mi mancava solo il cavallo animale a far compagnia a quello dei pantaloni e una Maggie Gran Dama che sensuale tinge di sfumature accattivanti la conversazione. Poi antipasto delizioso, si cena all’aperto, ma in un angolo intimo, bevendo Vedova, si affronta il meraviglioso primo, si chiacchiera morbidi, poi lei si accende la trentaseiesima sigaretta sotto il bersò e, mentre io le carezzo le dita in segno di disarmata devozione, l’Avvocatessa si fa seria e procede monocorde alla lettura della scrittura privata tra le parti alla quale io avrei dovuto apporre la mia firma. Inenarrabili punti intervallati da incisi interminabili in cui viene ribadito un concetto cardine affiancato da una complessa ontologia tassonomica di sottoconcetti paracardinizi, riassumibili (in molto meno dei trentatre minuti che l’Avvocatessa ha impegnato) in un: tutta questa corte mi imbarazza e non la capisco, io non ci sono abituata, non vorrei che ti fossi messo in testa cose affrettate, sei interessante, sì lo ammetto, ma dobbiamo conoscerci mooooolto bene e per conoscere moooooolto bene una persona io ci metto tanto, tanto, tanto, tempo.

Tempismo e location perfetti, with compliments. 
E’ così che funziona, infatti: si flirta, si accetta la cena importante (non era certo una pizza ignorante, credetemi), ci si va tirate come una scalda cazzi da premier league, si sorseggia champagne al lumino di candela sotto il bersò, avvolti dalla nube tabagica e poi, d’improvviso, senza alcun motivo, si strizzano nervosamente gli occhietti incorniciati dalle borse nicotiniche per procedere solerti a congelare tutto con un manualetto triste di regole per il disuso fondate sulla lenta conoscenza reciproca, che hanno un effetto dirompente sul mio scroto che deflagra e le dico, con un sorriso plastico vicino alla paralisi da ischemia cerebrale, che mi trovo d’accordo come nemmeno si immagina e che, proprio per il mio assoluto ed incondizionato allineamento alla questione così opportunamente, elegantemente e cordialmente  introdotta, propongo di interrompere la cena in quel momento preciso ed esatto, sbattendocene del secondo, proprio per non affastellare in troppo breve tempo la conoscenza, disintegrando (come giustamente segnalato) l’imbarazzante, inusuale ed incomprensibile flirt, per riposizionare i nostro probabile quasi rapporto lungo più chiare “Norme transitorie in materia di rapporti interpersonali” e la aiuto velocissimo ad indossare l’elegante giacca color corda e mi reco a razzo alla cassa a saldare il conto, lasciandola come una minchia di sale a pormi ridicoli e falsi quesiti del tipo “Mi spieghi perché ti sei incazzato adesso?” come a dire “mi spieghi come mai, tra I TUOI trentaduemila atteggiamenti incomprensibili e stupidi ora c’è ANCHE l’incazzatura?”

Gradirei un vostro commento per comprendere.
Ho finito i vaffanculo e anche tutte le bestemmie multilingua che conosco a menadito.
Pazzesco.