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sabato 14 gennaio 2012

Del

Donna Ignota che sosti sulla battigia e guardi mentre ti fotografo e sai che lo faccio perché necessito di materiale per la masturbazione solitaria e sguaiata e, nonostante ciò, oppure proprio per quello, posi assieme alla tua compare, posi ostentando, posi guardando in macchina e sfidandomi, posi poiché rientri in quella zona lecita in cui non fai nulla di male, poiché sei sulla spiaggia ed indossi un costume, così come previsto dalla regola che norma e regola la società civile di cui tu, Donna Ignota, fai parte  a buon titolo, mica come me che, come è noto, vivo al margine poiché colleziono materiale per la masturbazione solitaria e sguaiata e non importa, non conta, se nel mio gesto fotografico vi è la più trasparente e sincera delle denunzie di intenzione, no, non conta, perché ciò che conta è la zona franca e l’adesione alla regola, prescindendo dal fatto che ostenti e mostri e poco conta che mistifichi e getti menzogna sulla vera intenzione, trincerandoti dietro l’alibi della zona franca e della norma regolata, poco conta, poiché tu sei civile, sei urbana, sei morale, mentre io, povero seghetto di periferia, così cristallino ed inequivocabile, io sono il porco, il segaiolo, il maiale, il depravato, il pervertito e tu la persona per bene, Donna Ignota.

Guardo e fotografo le carni che solo il tuo sposo dovrebbe vedere e mi sento talebano e la cosa mi ingalla, mi arrapa, mi infoia e mi arrazza, perché tanto più restringo la regola che norma la concessione morale a mostrare, tanto più invoco la censura verso i tuoi costumi, tanto più il guardarti ti spoglia più nuda del nudo che sei e questa è la chiave di volta del sudicio morbo, che la Chiesa la sa, la sa eccome e la incide, la stringe, la pialla e la blinda, cosicché il polpaccio della perpetua divenga carne da sesso esplosivo, cosicché quella spalla divenga giustificazione all’ingroppo, cosicchè tutto diventi colpa, peccato, sudiciume e infinito piacere proibito, il migliore.

E tu lo sai, Donna Ignota, lo sai bene come funziona il meccanismo del sudicio morbo e vi aderisci, sguazzando di umori nel perimetro concesso, erigendo paratie d’alibi e membri maschili, ma io non ci sto, non mi omologo, non mi piego e non mi spezzo, non accetto di guardarti fintamente distratto per stamparti nel cerebro e poi schizzare con le tue forme a memoria, io invoco il coraggio e la chiarezza e, per questo, dopo averti fotografata senza alcun mistero celato, ti faccio due gesti, di cui l’uno riferisce al dopo, al tempo futuro, roteando orizzontale l’indice della mano destra, mentre l’altro indica la macchina fotografica e mima il gesto della masturbazione maschile, a sancire che le mie foto servono proprio per quello, senza margine d’errore, senza mistificazione, senza orpelli verbali, due gesti che stampano nero su bianco il più onesto dei dopo mi faccio una sega guardando le tue foto, netto, preciso, sinottico.

E spezzo il meccanismo del sudicio morbo e ti impallo che non sai più cosa dire, resti lì, come una carogna ammuffita, delusa che il porco laggiù abbia segato lo spazio all’ipotesi, la chiacchiera laida mormorata all’amica del cuore, perché sei morta, sappilo Donna Ignota, non c’è più margine, non c'è più regola che norma la regola, ma solo la verità, che ti riduce a starter per una sborrata che potrò ripetere migliaia di volte, con te o con altre e questo svilisce, distilla ed evapora il gas con il quale ti sollevavi da terra nello spazio concesso dalla norma che regola, perché qui non ci son regole, ma solo il tempo che passa e dopo essermelo menato ed averti usata ti guardo e lo faccio, senza paura, senza dispiacere, leggero, lo faccio.
Ti cancello.
E mi piace.

Amorazzi estivi

La signora Maccari, vedova di anni sessantasette, balnea al Bagno da Cesare dal 1960.
La signora Maccari arriva in spiaggia e si siede di fianco a Tazio, di anni ventotto.
La signora Maccari veste un casto costume intero stampato fleur ed è, ovviamente, scalza.
La signora Maccari ha una vaga somiglianza con Barbara Bush.
La signora Maccari, accavallando le gambe, inavvertitamente tocca col piede sinistro la gamba di Tazio.
La signora Maccari inizia a parlare del nulla con una perizia imbattibile.

Tazio non riesce ad andare oltre a quel contatto, deformando la realtà a suo uso e consumo.
Tazio pensa che quel contatto è lo stesso che potrebbe provare nell’intimità sessuale con la signora Maccari.
Tazio pensa che vorrebbe intensamente un’intimità sessuale con la signora Maccari, sin da quand’era adolescente.
Tazio le osserva le dita dei piedi e l’arco plantare ed in pochi secondi raggiunge una poderosa erezione.

La signora Maccari nota l’erezione di Tazio e ne risulta visibilmente imbarazzata.
Non eccitata, ma imbarazzata.

“Mi scusi, signora, non ho modo di evitarla”
“Non ti preoccupare, Tazio, è la gioventù. Succede.”
“Lei ha dei piedi molto eccitanti, signora Maccari.”

“Vado a vedere se mia figlia ha bisogno.”
“Arrivederci signora”

Tazio, in modo discreto, con un dito esercita una pressione intermittente sulla parte inferiore del glande, sino ad eiaculare nel costume da bagno.
Tazio adora eiaculare a quel modo, circondato da donne la cui nudità è celata solo da pochi centimetri quadrati di tessuto variopinto.
Tazio, dopo aver eiaculato all’interno del proprio costume, seppur ancora abbondantemente eretto, si reca nell’acqua del mare per una nuotata.

Tazio vorrebbe fidanzarsi coi piedi della signora Maccari e, per questo, sarebbe disponibile a fidanzarsi anche con tutto il resto della signora Maccari.
Amorazzi estivi del 1999.

(Cir)convenzioni

T “Paola, mi fai vedere i piedi?”
P “I piedi? Cioè vuoi che mi tolga le Superga?”
T “Sì”
[Se le toglie]



P “E adesso? Sto così?”
T “Sì. Posso farmi una sega toccandoti i piedi?”
P “No. Toccandoli no. Guardandoli solo. Io non faccio le corna a Giancarlo.”
T “Ah, ok.”
[Sbottono, tiro fuori e comincio a farmi. Lei guarda la TV.]

Appunti disordinati e schizofrenici di un venerdì sera comune e, per questo, straordinario

E poi c’era questa tipa, l’Anto, che é alta un metro e ottantacinque ed è un’appassionata di sport e forma fisica che quando s’è tolta il golfino, che faceva un caldo sahariano in quella taverna, c’aveva le vene grosse sugli avambracci depilati e le puppole dei bicipiti e a me fa un sesso malandrino. E’ bionda a caschetto arruffato e due occhi che sembra la Camusso, di ghiaccio.

Saverio, il padrone di casa, è uno di quegli sfigatoni single imperiali tutto figa in odore di frociaggine inespressa, col maglioncino figa, la casina figa (casina, c’ha una casa pazzesca, altro che) tutta in ordine e i denti bianchissimi figa, magrissimo figa, abbronzatissimo figa, tintissimo figa, che tutte se lo coccolano e lui è cordialissimamente freddo e scostante e, insomma, a me mi sta sul culo, ma anche alla Anto ho capito.

La Lizzy, invece, è proprio fighina fighina, piccolina, scurina, morettina, capelli quasi a spazzola, occhi verdi e un sorriso che ti compra e mi piace una cifra, sarà anche che ieri sera c’aveva il vestitino fantasia anni settanta senza calze e questo le vale un nobel da solo. La Lizzy è la morosa di Andrea detto Endi, che assomiglia ad Alessandro Borghese ed è un cazzaro sfasciato molto, ma molto, simpatico.

La cumpa mi scatena l’amarcord.
C’avevo sedici anni quando mi sono ingroppato la Monica che era la bruttina della cumpa dell’epoca. Non se la filava nessuno perché era bruttella, grassottella e tutti temevano di essere presi per il culo. Ci ingroppammo in una vecchio ricovero attrezzi agricoli abbandonato, una domenica pomeriggio di giugno. Era pelosa scura folta e la figa sapeva di talco. Ho avuto la certezza di aver assaporato un quid in più, perché dai racconti dei miei amici che si facevano le fighefighe, queste bambolotte rognavano nell’intimità, facendo le preziosine.
La Monica invece si spogliò completamente nuda senza pensieri di sorta e ci masturbammo tutto il pomeriggio.
“Sai che te rispetto a Claudio ce l’hai grosso il doppio? E poi te vieni e ti ritorna duro subito, lui veniva una volta e poi ciao, se ne parla domani”.
Claudio era stato il suo fidanzato per un anno e aveva la patente. La Monica aveva delle bellissime tette grosse, perfette. E all’interno dei sandaletti con le roselline lasciava l’impronta scura di sudore del piede. Rimanemmo fidanzati segreti per ben un mese.

La Domi mi dice che, secondo lei e la Roby, la Anto è lesbica, che non la vedono mai e poi mai con un uomo. Poi mi dice che devo andarle proprio a genio perché la Anto è famosissima per le sue serate autistiche.  Le chiedo se era la Roby quella che si fece i due amici in campeggio e la Domi ride e mi dice di sì. Non avevo dubbi, la Roby ce l’ha scritto in faccia che è uccellaia pro. La Anto me la chiaverei, comunque, e se non sono proprio rincoglionito patocco, penso che anche lei mi chiaverebbe. Però è sicuro, quella è bisex.

Alla Monica piaceva da morire farsi leccare la figa e a me piaceva da morire leccare la figa, sicché facemmo con gran facilità una società al volo. I pompini lei, invece, li faceva dimmerda perché non sapeva dare una continuità ritmica. Si fermava, mollava lì l’uccello e mi accarezzava la pancia. Pessima. Di mano era migliore e così, dicendole che preferivo essere smanazzato, abbiamo superato l’ostacolo.

Tornando indietro ho iniziato a masturbarmi in macchina e la Domi si è eccitata. Ci siamo infilati in una stradina di campagna e abbiamo scopato come due forsennati. La Mini è scomodissima per scopare. Era meglio se andavamo via col mio ferro.

La Monica non aveva dei bei piedi, ma io glieli leccai lo stesso, però lei temeva il solletico e così dovetti smettere di leccarglieli.
La Domi era senza smalto, ieri sera, però aveva il perizoma e gliel’ho messo dentro spostandolo appena, che a lei piace e anche a me piace quando il perizoma umido mi sfrega sulla pelle del pisello.
La Anto deve avere un culo d’acciaio e deve essere uno spettacolo nuda, con tutti quei muscoli.
Che bella la vita della cumpa, però.
Secondo me la Anto si depila.
Ho voglia di menarmelo.

venerdì 13 gennaio 2012

Quiete

La settimana è finita.
Apro le finestre e cambio l’aria, disperdendo l’odore sublime di figa sudata.
Mi piace cambiare l’aria quando non c’è più nessuno il venerdì sera.

Lunedì qui sarà un campo di battaglia, non voglio nemmeno pensarci. Cioè, un po’ ci penso perché ci saranno chiappe, passere e tette nude di là. Un primaveraestate beccato da N last minute. Ma vieni.
Poi ci saranno i Guasconi con i primi master da smazzare e sarà il delirio.
Poi verranno quei due ragazzi del web, l’accatiemmellarobarragrafico e il programmatore.
Matt dice che sono in gamba e noi siamo deboli sul web. Stiamo a vedere.
Poi verrà quella account in cerca d’autore che a parole promette decinaia di centinaia di migliaia di clienti in entrata e io sono troppo vecchio per credere alle favole. Il cliente è come la figa: avete mai conosciuto qualcuno che vi ha portato una figa dicendovi “Tò scopala?”.

Mi piace pensare al lunedì avendo due giorni di niente davanti. E’ confortevole. Immagino il Tazio del lunedì sempre fresco e aggressivo, ma invece il lunedì sono una merda, come tutti.
Però c’è lavoro e non mi lamento. Finché dura.
Lunedì sera appuntamento dal commercialista per le firmagioni, le caparragioni e le chiavagioni.
E ciò è bello.
Molto bello.
Domiziopolese. Micacà.

Stasera siamo da un’amico della Domi che fa la tagliata per tutta la cumpa. Bene. Molto bene.
Farò il simpa della cumpa, stasse, che mi cimbra bene e ‘sto sciallato a palo.
Però torno a dormire a Taziopoli perché bisogna, sottolineo bisogna, mantenere le aree di competenza.
Perché siam moros e c’abbiam ciascun la cas, mic dobbiam far marit e mogl, no?

Andandosene la Bettina mi ha baciato amicale per dirmi buona domenica.
Avvicinando la guancia alla sua le ho messo la mano sul fianco.
Grasso, caldo, sodo, corposo.
Che imbirillamento che mi fa venire la Salumaia Sesuale.

La Squaw Marina, invece, non mi ha ancora fatto del buono. Strano, cazzo.
A fine mese finisce lo stage.
Vediamo come se la gioca.
Secondo me non vede l’ora di prendere il volo.
E anche io non vedo l’ora che lo prenda.

Bene.
A domattina amisgi, buona serata.

Lezioni di vita in un interno


[Grazie Giò]


Siamo nudi e incastrati l’uno nell’altra. Respiri e io respiro il tuo respiro. Sono pazzo di te, annientato, sedotto alla disperazione dalla tua sessualità e dalla tua sensualità.
Al punto che vorrei essere te e avere il tuo corpo.

Ti scopo lentamente, baciandoti, dicendoti che ti amo, perché è vero, io ti amo.
Però non riesco a trattenermi e ti sussurro all’orecchio che cosa vorrei e tu mi ascolti grattandomi con le dita la nuca, allacciata a me, che mi muovo dentro di te lento. Ti dico che vorrei vederti scopare con un altro davanti a me, tu e lui soli, su un letto, mentre io siedo accanto guardandoti, cercando i tuoi occhi che godono, ascoltando ogni tuo sospiro, guardando ogni millimetro del tuo corpo che gode sotto i colpi di uno sconosciuto e tu rantoli, stringendomi, e mi chiedi se lo vorrei davvero o se è solo una fantasia ed io ti dico di sì, che mi piacerebbe davvero e mi stringi e mi chiedi qual è, di tutto questo, la cosa che mi fa godere e io non te lo so dire, non lo so davvero, non lo so.

Mi baci. E respiri affannosa. Poi silenzio e continuiamo lenti e mi graffi leggera la schiena. Mi chiedi ansimante se mi masturberei, su quella sedia, ma io ti rispondo di no, ti dico che vorrei restare vestito a guardare e che, una volta che l’uomo ha finito e se ne va, vorrei spogliarmi e salire sul letto e fare l’amore con te e l’idea che io ti voglia alla follia ancora sporca di lui ti eccita e mi dici che stai godendo ed io affondo dei colpi secchi, facendoti fare dei piccoli urli stupendi.
Poi silenzio. Poi mi lecchi la spalla e mi dici che quello che mi fa godere è l’idea di vederti fare la puttana e io ti dico che forse è vero, forse è così. Mi baci.

Mi chiedi cosa ne sarebbe di noi dopo e io non lo so, non lo so davvero e non so risponderti. Accelero gli affondi, sei tenerissima e larghissima e bollentissima e godo da impazzire. Mi chiedi se da quando stiamo assieme sono stato a letto con altre donne e ti dico di no e per la prima volta mi rendo conto della debolezza della verità, mi rendo conto della forza inesorabile della menzogna coprente e della debolezza della sincerità.
Mi chiedi come mai non ti chiedo se sei stata a letto con qualcuno e io ti rispondo che se anche è successo non lo voglio sapere, perché tu sei qui, io ti amo e tu mi ami, e anche fosse successo non mi importerebbe e mi baci e sorridi. Continuiamo lenti.

Mi chiedi se ho desiderato, anche solo per un attimo, altre donne da quando stiamo assieme. E io ti dico di sì, ti dico che tutte le donne che vedo diventano subito attrici di un lungometraggio porno ambientato nel mio letto e tu sorridi, calda e sensuale e mi dici che lo sai. Lo sai. Ti chiedo perché lo sai e mi dici che solo una stupida, dopo averlo fatto con me, potrebbe pensare di bastarmi a letto. Precisi che non discuti il mio  amore. Me lo precisi due volte. Non è questione d’amore, parliamo di sesso.
Sento i tuoi piedi nudi sui polpacci.
Sei drammaticamente donna, enormemente donna, spaventosamente donna. Spaventosamente, sì.

Spingo, accelero, impenni il respiro. Aspetto che cominci a venire e vengo con te, stringendoti, fondendomi.
Ci riprendiamo. Beviamo. Fumiamo.
E cominci ad uccidermi.

Sorridente mi dici che un’altra al tuo posto mi avrebbe cavato gli occhi e mi chiedi se me ne rendo conto.
Ti dico di no, che non me ne rendo conto e ti chiedo il perché. E tu sintetica mi dici che nell’intimo confessare è emerso che ti voglio mandare a letto con un altro a far la puttana per il mio piacere visivo e che non mi interessa se hai scopato con qualcuno e che mi scoperei tutte le donne che vedo.
E ridi.
Ma hai ragione, è così, merda.
E’ esattamente così.

Fumiamo e mi sento una merda. Mi accarezzi i capelli sorridendo e sei spaventosamente una Donna.
Poi dici.
“Le corna non posso sopportarle, Tazio, te lo dico chiaramente. Ma la debolezza umana è nell’essere umano e una promessa fatta da quello stesso essere umano debole è ridicola. Per cui è inutile che mi prometti che non andrai mai a letto con un’altra. Promettimi, invece, che metterai la massima maniacale cura nel non farmelo sapere mai. La cura puoi promettermela, non ha niente a che fare con l’istinto. Perché se un giorno dovessi venire a sapere che mi hai messo le corna vorrà dire che non ti sei curato di fare le cose per bene, ovvero vorrà dire che non ti è interessato di non farmi soffrire, ovvero vorrà dire che non mi ami più o non mi ami a sufficienza o stai confondendo l’affetto con l’amore o l’abitudine con l’amore. Questa è una promessa che puoi farmi e puoi anche mantenerla.”

Un’incudine mi inchioda al letto.
“Te lo giuro”
“Non giurare, prometti. Se giuri vuol dire che hai due livelli di assicurazione dell’impegno e non è da te.”
Un’altra incudine.
Poi ti appoggi alla testiera ed hai delle tette bellissime.

“Non credo potrò accontentarti in merito alla fantasia, sai Tà? Non scoperò mai con qualcuno davanti a te.”
E sorridi. Poi ti sposti, mi baci e dici di nuovo.

“Io voglio fare cose CON te. Non per te o per me, ma per NOI. Voglio sentire un indissolubile NOI che fa rimbalzare il mondo intorno. Con l’indissolubile NOI posso anche arrivare a fare un’orgia. Saremmo NOI che ci divertiamo “usando” gli altri, senza mettere pezze a carenze o a desideri irrealizzabili perché, purtroppo, siamo assieme. Con un NOI d’acciaio non c’è da preoccuparsi di quel che sarà il giorno dopo, capisci?”
Capisco sì, cazzo. Capisco di essere un coglione che non capisce un cazzo.

Mi guardi con un sorrisino. Sposti le lenzuola e apri le gambe. Le mani ti scivolano sulle cosce.
“Vuoi leccarmi amore?”
Certo che te la lecco.
Fino a consumartela.
Hai la figa da Donna.
E io ti amo.

giovedì 12 gennaio 2012

St. Patrick


Immagino quanto sarai stata impaziente, piccola scimmietta bruttina, di mostrarmi il parto della tua mente creativa che, al pensiero di essere frustata con la cinghia, ha assunto una nuova leggiadria, disimpegnandosi dagli schemi scolastici nei quali è cresciuta deforme, scivolando fluida sul succo di figa che ti cola tra le cosce da ieri. Ho notato, sì stai tranquilla l’ho notato, che oggi hai una gonnellina come le femminucce, anche se pure qui l’interpretazione è greve ed appesantita. Indossi bebè nere di camoscio, collant verdi coprenti e quel vestitino a metà coscia, pure verde che, nell’insieme dato dai tuoi merdosi capelli di stoppa color topo e dall’espressione dolente come se avessi le emorroidi, mi evoca il folletto irlandese delle feste di St. Patrick nelle quali, però, di tanto in tanto vi era una troiona santissima con la zinne nude e i trifoglini sui capezzoli.

Ma tu no, tu indossi il vestitino con le bretellone e sotto un dolcevita di lana nero che si accompagna al nero delle bebè di camoscio e, devo essere sincero, ad eccezione del pensiero che sarebbe, tutto sommato, piuttosto semplice incarciofarti nel vestito e abbassarti collant e mutande in un colpo solo per aver accesso al tuo tremolante ano voglioso, ebbene, ad eccezione di questo dettaglio gioioso per il resto ciò che ispiri è tristezza. Sfigata, sconfinata, profonda tristezza.

Mi siedo accanto a te e mi mostri tre layout, tre. Due sono da sciogliere nell’acido, ma il terzo comincia a dimostrare di essere qualcosa di sensato, che basterebbe cambiare il font usando una grazia bastonata che lo so che vorresti essere tu, la grazia bastonata a sangue, ma io mi riferisco ad un meno sadomaso carattere Museo, che tanto va di moda adesso, per fargli prendere respiro. Buona l’idea dei pittogrammi, anche se vanno rifatti e resi più essenziali e rotondi, ma nel complesso devo dirti, triste sudicia troia in calore, che ci sei arrivata e lo hai fatto in un giorno, che erano nove che rimestavi della diarrea spacciandola per passato di fagioli e ti ci eri pure anche convinta che lo fosse.

Lo guardo e lo riguardo e vedo che hai anche imparato a gestire lo spazio dandogli un senso, perché lo spazio non è vuoto, ma è spazio, cazzo, ficcatevelo in testa mocciosi, perché è lo spazio che distacca questo layout da quello che fa il macellaio per pubblicizzare i suoi cotechini dimmerda, perché qui, puttana, non siamo in una merdosa tipografia del cazzo, ma siamo in un’agenzia di comunicazione e devi smettere di pensare da tipografo e cominciare a pensare con la figa.
Sì, con la figa bagnata e la voglia di venire. Questo è il segreto sozzetta.

Mi avvicino al tuo orecchio con la voglia di mormorarti delle oscenità e lo faccio con un filo di voce.
“Ti meriteresti che ti frustanssi le cosce, le gambe ed il culo nudo fino a spezzare la cinta, perché in un solo giorno sei riuscita a produrre qualcosa di appena guardabile, un giorno, un solo giorno, mentre ci hai fatto vomitare il culo per nove, nove, giorni di sofferenza esistenziale propinandoci delle cagate che il tuo stesso buonsenso t’avrebbe dovuto sconsigliare di mostrarci. Però ti meriteresti anche che te lo sbattessi dentro forte, fino a fartelo sentire in gola, perché ci sei riuscita ed è giusto che dopo esserti fatta frustare a dovere tu abbia la tua dose di enorme cazzo duro come quello che ho in mezzo alle gambe in questo momento”

Una situazione romantica, direi. Mi guardi rossa come un peperone, tremante, ed hai il respiro accelerato.
Questa volta sono proprio sicuro, sì, questa volta sei davvero eccitata, mostriciattola verde. E allora torno a sussurrare pianissimo, annusandoti un po’.

“Però ho usato il condizionale non a caso. Ti meriteresti. Perché devi cercare di capire, Marina, che io non sono un distributore di chewing gum che basta che infili una monetina e ti esce la pallina, no. Io te lo voglio intensissimamente sbattere dentro, il mio Grancazzo, ma tu te lo devi guadagnare, perché questo è il Grancazzo di Tazio il Divino, è terapeutico, è taumaturgico, è sacro, è uno e trino da quant’è grosso, non è un triste cazzetto sborraiolo di un ventenne afflitto da eiaculazione precoce causa penuria di figa, no. Per cui sta a te, se veramente lo vuoi, trovare il metodo di convincermi a ficcartelo a più non posso nei buchini dilatati che, in questo momento, hai in mezzo alle gambe”

E mi alzo, con calma, andando nel mio ufficio considerando che no, non è solo un modo di dire scherzoso.
E’ anche per l’ineguagliabile talento con cui mi adopero in queste sublimi performance che sono l’unico, inimitabile ed insuperabile Divino Tazio.

La morte del Dark Motel


Il cambio di casa racchiude una vasta serie di significati. Innanzitutto addio per sempre al Dark Motel, al Miramonti, e a tutto quello che vi è legato. Basta Dark Motel. Anche la grafica dell’header dovrà cambiare, il periodo dell’espiazione è finito, il periodo dello spurgo nei bassifondi dell’esistenza anche, basta, aria nuova, cambiamento.
Vivrò in una casa che non è legata all’atto di pietà di nessuno, ma sarà una casa mia, della quale pago signorilmente l’affitto con il danaro che mi guadagno lavorando onestamente. Una banale serie di puntualizzazioni, se volete, ma per me così banali non sono.
Abbandonerò Taziopoli, venendoci solo a lavorare e anche questo è un salto qualitativo notevole, un distacco da quei giri che, al momento, non mi interessano assolutamente più.
Ma che amici ti rimangono, mi chiederete.
Probabilmente nessuno, vi risponderò.
Almeno cambiando aria sarà evidente che amici non ne ho e sarà più semplice allacciare nuovi rapporti, conoscere nuove persone, oppure non conoscerne affatto.
Sono molto contento, davvero.
La casa è bella, sì, certo.
Ma è il salto che è più bello ancora.
Sì.

Gaudium magnum! Habeo domum!

Mi ha chiamato il commercialista e poi anche la Francesca! Ho la casa! Ho la casa!
Mi hanno tutti e due parlato in un dialetto sumero, dove intercalavano delle addizioni, tipo 3+2 e poi 4+4 che per me significano solo quelli di Nora Orlandi.
Fatto è, comunque, che la settimana prossima ci vediamo dal mio commercialista per firmare, caparrare e passare chiavi. Che meraviglia, divento domiziopolese!
Adesso avviso la Domitilla e anche il Max per i lavori.
Ma che pisellite frizzantina che mi viene.
Ha!

Giovedì


Bon jour, bon jour, bon jour.
E’ giovedì e questo significa che domani sarà venerdì, che significa a sua volta che la settimana finisce e io sono davvero molto contento che questo evento si verifichi.
Questa mattina sono elettrico come un traliccio dell’Enel e camminando per i vuoti locali del mio studio (che è un bene, perché vuotezza significa produzione, cazzo) avverto un intenso odore di figa sudata che a buon titolo ritengo provenga da in mezzo alle gambe della Betta e della piccola Squaw Marina.

Chissà quanto se l’è pastrugnata stanotte la piccola Squaw, sotto le copertine e le lenzuola stampate con Bambi e Lillo e Topolino e Minnie. Nel suo pigiamino con Winnie The Pooh, pensando all’omaccio che le frusta forte le cosce e il culo per poi sbatterglielo dentro con forza.
Me la vedo, nella luce della piccola abat-jour, affogata nelle bambinesche coltri, inginocchiata, con il culo nudo spinto in alto e la sozza manina che accarezza la vorace nutria pelosa desiderosa di cazzi maturi e adulti. Ah che poesia, che immagine lurida, meravigliosa.

E la Betta? Avrà preso il cazzo stanotte la Betta? E se lo ha preso a cosa pensava facendosi chiavare? Non certo a quel triste omarino che ha per marito. Penso piuttosto pensasse a qualche sozza convention fatta di Loca, Costa, Zack e me, tutti cazzuti e scappellati che la chiamiamo troia palpando la molle carne di maiala in qualche lurido cesso pubblico di quartiere. Che meraviglia, la Bettona scalza sul lercio pavimento del cesso pubblico che succhia cazzi, sudata, odorosa. Che pensiero sublime.

Bon jour.
Questa notte ho montato la Domi come il più feroce dei tori e lei ha goduto, confessandomi che solo da quando sono entrato nella sua vita (e nella sua figa e nel suo culo, aggiungo io) ha capito cosa significhi godere veramente e capisce qualcuna delle sue amiche che non fa che pensare al sesso, perché anche lei, adesso, non fa che pensarci. E questo dà un senso alla mia strana esistenza, oltre che a ingigantirmi a dismisura la Minchia.

Bon jour.
Sarà una guerra arrivare a sera oggi, lo sento. Mi sento carnivoro e famelico e avrei l’esigenza di inseminare queste due femmine così diverse, ma così drammaticamente arrapanti.
Bon jour.
Meglio che vada a fare due passi.
Sì.

mercoledì 11 gennaio 2012

Mercoledìoff


Cazzo. Ho cazzo finito il cazzo di testo del cazzo, cazzo. Mi sono, cazzo, menato alla cazzo settantadue cazzo di pagine del cazzo, scritte dalla cazzo di mano del cazzo di un testa di cazzo che, cazzo, ignora una sola cazzo di regola del cazzo di italiano del cazzo. Cazzo.
Il mio cazzo di studio del cazzo è vuoto a cazzo, persino la cazzo di sottomessa del cazzo è andata alla sua cazzo di casa del cazzo, cazzo. Meglio, cazzo, che se per cazzo restava qui, cazzo, le mettevo il mio cazzo di cazzo del cazzo nel suo cazzo di culo del cazzo, cazzo.

Ora vedo la Domi.
La penetrerò ripetutamente nell’ano odoroso, parlandole d’amor.
E torno ad essere il Tazio Buono.
Perché è il bene che vince ed è il male che perde, amisgi e amighe che numerossi mi seguit da cassa.
Peace and love, ma per i più raffinati anche piss and love.
A domansgi.

Pomeriggio


Ho davanti a me un lungo pomeriggio di sofferenza. Perché questa roba non gira, la devo rimaneggiare tutta e non me ne frega di meno di farlo, non fosse che è un cliente pagante e merita il massimo dei massimi.

Sono sceso a mangiare un lurido panino tossico dalla Schifosa che, come sempre, ha un budino tremolante nella camicetta e un’aria da bagascia non lavata che definirei sublime. Non ha attaccato bottone, grazie a dio, perché il suo cagaio di merda era pieno di uomini col cazzo dritto che consumavano porcherie di vario genere sognando di affondare la minchia pisciata nei suoi buchi slabbrati e capienti. Poverini, non sanno che al momento l’eletto, o uno degli eletti, è Costaminchiaoh che sabato sera monterà la consunta vacca come merita.

Poi sono risalito veloce, che il caffè preferisco berlo qui con la Bettona SeSuale alla quale allungherei il cazzo nel sedere senza neanche toglierle le leggins e mentre bevevo il sublime caffè Nespresso Roma ho gettato un’occhiata nella stanza dei designer e ho visto la Marina Solitaria che era a testa bassa dentro al monitor.  “Non è scesa a mangiare?” chiedo sottovocissima alla Bettona che mi fa cenno di no con la testa, sorridendo puttana con gli occhietti sozzi per aggiungere “Dopo la shampata di stamattina starà qui anche stanotte”.
Si è sentita la sparata allora. Devo essermi fatto prendere dall’attacco Gassmaniano e sono stato sentito dalla Betta, figuriamoci dalla Nicoletta, che se quella alza il culo e vola via perché pensa io sia un maniaco sessuale pazzo, ciò se apprende la verità, Matt ci fa un portaombrelli col mio, di culo.

Torno nel mio ufficio e controllo la posta. Nessuna notizia dell’appartamento a Domiziopoli, ma quanto cazzo ci vuole? Devo telefonare, o alla Francesca o al commercialista, una delle due. Adesso lo faccio, voglio sapere che summit internazionale necessita per capire se posso fare tre cazzate e entrarci.

E mi sento mortalmente eccitato da quella scimmietta bruttina e fuori moda intrisa di sfiga.
Penso che l’episodio di stamattina la debba aver resa odorosa di sudore ed ormoni e davanti ai miei occhi passano le sue ascelle pelose e sudate e la nutria villosa e sento che mi si imbarzottisce il cazzo al pensiero di quello che vorrei farle con un buon vibratore ed un ottimo lubrificante.
Basta, cazzo, basta.
Devo scrivere, minchia, che la Greta è ammalata e domani Matt deve cominciare a impaginare.

Però, cazzo, che voglia.