Ingredienti: otto suonatori di sabar, il tamburo senegalese fatto come le congas, un villaggio a venti chilometri da Saint-Louis, un sacco di maschi e femmine senegalesi del villaggio, una senegalese di Dakar molto figa amica del Tazio, il Tazio, la notte nera e il caldo.
Cosa si fa con tutta questa roba? Una festa, ovviamente. E a una festa cosa si fa? Si balla. Si balla una danza che, mi spiega Ninà, sarebbe una danza tradizionale, ma oggi la si balla diversa. Diversa come, chiedo. E mi risponde sorridendo e accennando un passo di danza che mi fa capire che la si balla molto più yeah e getdown, ma anche un po' staycool con tinte spicy. Insomma, non ci ho capito la minchia.
E anzichè Sabar, dal nome del tamburo, la chiamano Leumbeul. Non chiedetemi il perchè.
La festa ha diverse fasi: nella prima i suonatori suonano 'sto cazzo di tamburo maledetto che alla fine sei rintronato come una scimmia e tutt'attorno, a delimitare uno spazio che sarà la pista da ballo, sosta l'umanità. D'improvviso, dall'umanità si staccano due o tre donne, perchè questa fase comporta la sola danza femminile. Alcune molto eleganti, con vestiti luccicanti, ben pettinate. Sono le matrone del villaggio. Altre meno eleganti, ma non per questo non chiavabili. La MILF senegalese ha il suo perchè.
Le donne cominciano a danzare al ritmo battente del tamburo, saltellando da un piede all'altro, ma soprattutto facendo ballare le chiappe in una maniera incredibile. Si crea una sorta di sfida-fraseggio-teasing tra ciascuna di loro e i suonatori di sabar. Il tamburiere batte un ritmo e le mammifere sculano a quel ritmo. Ogni tanto esce una tetta nuda, ma qui la tetta nuda maschile e femminile sono equipollenti, niente di che.
Qui è il culo quello che comanda. Che popolo.
La danza si snoda lungo unità crescenti della funzione iperbolica dell'osè, pur rimanendo sempre all'interno del vietato ai minori di anni 12 se non accompagnati dai genitali.
Poi si fa una certa e i tamburieri smettono di tamburare e bevono, tutti bevono, bevono, bevono, bevono, bevono, bevono, bevono, bevono, qualcuno appiccia anche una porra che la sento da qui e poi l'euforia chiassosa infernale sale all'apice dei decibel, le risate si fanno alcolicoalcaloidiche e le MILF cedono il passo, alcune ritirandosi, altre sostando in chiacchericcio fittissimo con altre dignitarie del loro rango.
Ed è il momento della fase due: le ragazze da maritare e i futuri maritati delle ragazze maritande attaccano il ballo.
I tamburieri ritamburano a manetta, a cannonemartello e si scatena la lussuria. Perchè qui il ballo ha una leggera variante, di nullo peso se si vuole: viene mimato a ritmo di tamburo l'atto sessuale.
Atto sessuale.
Mi adorate quando sono così antropologicoscientifico, nevvero?
A prescindere, va detto che vi è solo una norma di fondo: la donna domina e il maschio esegue. Non esiste che il maschio pieghi la donna alla pecora per strusciarle la minchia nello spacco culeo, seppur coperto dagli indumenti. E' esattamente il contrario: è la donna che pianta lo spacco culeo contro la minchiagione del manzo erotico. Oppure è sempre la donna che gli balza in braccio sfregando la ficagione sulla minchiagione. A rigoroso ritmo di sabar.
Inutile dirvi che è una cosa eccitante a mille. Ninà mi spiega e mi dice che, certe volte, due si pigliano così tanto che vengono in mezzo a tutti gli assatanati. Perchè, invece, il gioco danzeo sarebbe che tutti strusciano la genitalagione umida e/o dura su tutte le altre genitalagioni. Così, per spirito di fratellanza cosmica e universale. Poi Ninà mi dice che, se mi eccita questo, devo assolutamente andare con lei a Dakar una sera in un quartieraccio malfamato vicino alla spiaggia. Lì si fa sul serio, nelle due varianti: quella asciutta e quella bagnata. In entrambe le donne sono praticamente nude e i maschi pure. Si arriva a dei vertici artistici che possono culminare nella chiavagione stradale senza alcuna remora. Purchè a ritmo di musica, che è la base.
Nella versione bagnata, invece, vale tutto quello che succede nella asciutta, con la differenza che i manzi si passano di mano in mano un tubo di gomma che lancia acqua come ci fosse un incendio. E io dico che cazzosì, questa non me la posso perdere. E lei mi scula sul cazzo lo spacco culeo e sorride dicendomi ok, mentre sento che la minchiagione mi si scappella in una sbarazzina scappellagione.
***
Affronto discretamente fumato i venti chilometri notturni inchostrati di nero, per tornare a Saint-Louis.
Qui il concetto di buio è depositato al Museo della Scienza e della Tecnica. Questo è il Buio Assoluto Campione, il BAC.
Ninà mi dice di tenere alti i fari e di non correre. Gli animali, di notte, trovano più comodo l'asfalto, per dormire. E l'asfalto si raffredda più lentamente del terreno e dell'aria. E io eseguo.
E la guardo, illuminata dalle lucine al led della radio che trasmette della musica inascoltabile.
Che figa che è e che figata che è qui.
Pagine
giovedì 9 maggio 2013
martedì 7 maggio 2013
Toeletta
La serenità dell'agglomerato umano, di tinta epidermica differente ed in sensuale contrasto, si snoda tra ciocchi di marocco così, rasserenante aria condizionata e cura della persona, di cui Ninà è una maniaca compulsiva. Musiche serene vengono diffuse dai sereni altoparlanti della serena televisione ed io mi dedico minuziosamente alla rasatura a velluto di pelle infantile della passera di cioccolato della mia concubina, così come lei ha fatto con il mio cazzo, coglioni e buco del culo.
Ah, che meraviglia gli agi dell'hotel coloniale in cui ti servono la cena in chambre mentre nelle orecchie mi ronza in francese un'incessante proposta di taglio di capelli e sfoltimento della barba e così, bevendo del vino di qualità giusto al limite della decenza, cedo.
Perchè le africane non ammettono rifiuti e si fanno aggressive, eh.
"Come li vuoi?" mi chiede con tanti di quei denti bianchi sorridenti che mi fa paura.
"Come ti fanno bagnare la gatta" e lei ride e dice ok e così, taci che ero duro come un coppertone, mi ritrovo con la stessa capigliatura di Bruce Willis, con la differenza che sono nero carbonizzato ovunque, tranne sulla sommità del cranio dove sono bianco verdino.
Il problema ulteriore è che, dopo aver subito il taglio Auschwitz primavera estate 2013, la barba mi faceva assomigliare a un talebano e così me la sono dovuta cospicuamente ridurre.
Le ho giurato che le avrei tagliato i capezzoli nel sonno e lei mi ha percosso sonoramente il culo con una sua infradito di titanio, chiedendomi aggressiva come avrei fatto, senza, dopo.
Giusto, sveglia la bambola.
Puliti, profumati, alcuni di noi scalpati, cotti e duri come il legno con cui fanno le bocce, abbiamo passato buona parte della notte a chiavare di gran lena e la cosa non mi basterebbe mai, ma mi rendo conto di non essere il solo.
"Domani devi metterti la crema" mi dice riuscendo a essere seria quasi sino alla fine della frase, la maledetta puttana di carbone.
Tento di strangolarla, ma poi una vocina gutturale mi supplica di desistere e mi sussurra che, quando il sole mi avrà ispessito la pelle, non mi pentirò di quel taglio, ma non vuole dirmi niente.
Ma figurati, Imperatrice delle Troie Puttane, ci mancherebbe che insistessi, sarebbe una scortesia impertinente, dopo sto popò di signor lavoretto che mi hai fatto.
Però mi piace passarmi la mano sulla pelatona.
E poi oggi abbiamo fatto mare selvaggio, in fondo alla lingua (quella di terra intendo, quella di ieri) dove non passa nessuno e mi sono abbronzato il cazzo e la testa di cazzo.
"Ma tu diventi più nera col sole" osservo con l'acume del bambino ritardato.
Si mette la mano sulla bocca, sparando in fuori le uova sode degli occhi sbarrati e mi dice "Veramente? Oddio…" e poi ride rotolandosi sul fianco e a me piace essere lo sterminato coglione che sono e come ride Ninà.
La crania è molto più rosso scuro, stasera. Ma la mia mistress dice uhm.
E vabbè, tanto domani torniamo a cuocerci la pelle col sole e il cervello con 'sto cazzo di fumo incredibile.
***
Le accarezzo molle la coscia mentre perdiamo i sensi sotto il cespuglione, meravigliosamente nudi. Mi sento totalmente sperduto nel nulla e la cosa mi piace, mi appaga, mi suggerisce degli spunti complessivi e globali, mai mentalmente percorsi, ancora fumosi, ma su cui non intendo lavorare perchè ho la certezza che verranno loro a trovarmi. Magari ritornando a Dakar, tra il nulla e i baobab.
Ma io, ci tornerò veramente a Dakar?
Ah, che meraviglia gli agi dell'hotel coloniale in cui ti servono la cena in chambre mentre nelle orecchie mi ronza in francese un'incessante proposta di taglio di capelli e sfoltimento della barba e così, bevendo del vino di qualità giusto al limite della decenza, cedo.
Perchè le africane non ammettono rifiuti e si fanno aggressive, eh.
"Come li vuoi?" mi chiede con tanti di quei denti bianchi sorridenti che mi fa paura.
"Come ti fanno bagnare la gatta" e lei ride e dice ok e così, taci che ero duro come un coppertone, mi ritrovo con la stessa capigliatura di Bruce Willis, con la differenza che sono nero carbonizzato ovunque, tranne sulla sommità del cranio dove sono bianco verdino.
Il problema ulteriore è che, dopo aver subito il taglio Auschwitz primavera estate 2013, la barba mi faceva assomigliare a un talebano e così me la sono dovuta cospicuamente ridurre.
Le ho giurato che le avrei tagliato i capezzoli nel sonno e lei mi ha percosso sonoramente il culo con una sua infradito di titanio, chiedendomi aggressiva come avrei fatto, senza, dopo.
Giusto, sveglia la bambola.
Puliti, profumati, alcuni di noi scalpati, cotti e duri come il legno con cui fanno le bocce, abbiamo passato buona parte della notte a chiavare di gran lena e la cosa non mi basterebbe mai, ma mi rendo conto di non essere il solo.
"Domani devi metterti la crema" mi dice riuscendo a essere seria quasi sino alla fine della frase, la maledetta puttana di carbone.
Tento di strangolarla, ma poi una vocina gutturale mi supplica di desistere e mi sussurra che, quando il sole mi avrà ispessito la pelle, non mi pentirò di quel taglio, ma non vuole dirmi niente.
Ma figurati, Imperatrice delle Troie Puttane, ci mancherebbe che insistessi, sarebbe una scortesia impertinente, dopo sto popò di signor lavoretto che mi hai fatto.
Però mi piace passarmi la mano sulla pelatona.
E poi oggi abbiamo fatto mare selvaggio, in fondo alla lingua (quella di terra intendo, quella di ieri) dove non passa nessuno e mi sono abbronzato il cazzo e la testa di cazzo.
"Ma tu diventi più nera col sole" osservo con l'acume del bambino ritardato.
Si mette la mano sulla bocca, sparando in fuori le uova sode degli occhi sbarrati e mi dice "Veramente? Oddio…" e poi ride rotolandosi sul fianco e a me piace essere lo sterminato coglione che sono e come ride Ninà.
La crania è molto più rosso scuro, stasera. Ma la mia mistress dice uhm.
E vabbè, tanto domani torniamo a cuocerci la pelle col sole e il cervello con 'sto cazzo di fumo incredibile.
***
Le accarezzo molle la coscia mentre perdiamo i sensi sotto il cespuglione, meravigliosamente nudi. Mi sento totalmente sperduto nel nulla e la cosa mi piace, mi appaga, mi suggerisce degli spunti complessivi e globali, mai mentalmente percorsi, ancora fumosi, ma su cui non intendo lavorare perchè ho la certezza che verranno loro a trovarmi. Magari ritornando a Dakar, tra il nulla e i baobab.
Ma io, ci tornerò veramente a Dakar?
lunedì 6 maggio 2013
Shock e arte
Partiamo dall'hotel e sono parecchio orgoglioso della mia africana stupenda, che veste vertiginosi hotpants di ciniglia turchesi, un top bianco, le infradito fucsia e i capelli treccinati raccolti in una codona e la cosa che mi rappacifica con l'umanità é che sotto non ha nulla, di sua sponte, senza che il vecchio satrapo le chiedesse alcunchè.
E allora, ringalluzzito a livello di glande, decido che oggi si va ad espertire e prendo il camion, guido un po', passo il ponte, ma non quello grande, ma quello piccolo che mi porta su quella sterminata lingua di sabbia in riva all'Oceano, che a nord è tagliata dal confine con la Mauritania, ma io voglio andare a sud, costeggiando il fiume, per vedere il villaggio dei pescatori, per vedere quel miliardo di piroghe e capire.
Capire.
Non si può capire. Ci si può solo angosciare.
Tanfo di putrefazione, pozzanghere di sangue fresco che stazionano su immense macchie di sangue secco, interiora di pesci, montagne di spazzatura, nuvole di mosche, fusti di carburante, odore di nafta, di pesce, di merda, le donne scalze nelle interiora sanguinanti di pesci grossi, uomini che scendono dalle piroghe con in testa ceste di pesce vivo che viene ribaltato così comè in cassoni di camion arrugginiti che poi partono ringhiando in una nube di nafta incombusta e olio bruciato.
L'inferno è un resort in confronto a questo posto.
Mi fermo e scendiamo e Ninà, appena scesa tira una vomitata immediata per il tanfo disgustoso e io, vedendola vomitare e annusando il tanfo, faccio lo stesso.
Risaliamo rapidi in macchina e mi metto a correre per chilometri, costeggiando quella latrina tossica ed infetta sinchè, finalmente, il paesaggio cambia, si impoverisce, si destruttura e a un certo punto la strada finisce, a ridosso dell'Hotel Mermoz.
Ma io continuo, lungo una strada bianca, che poi diventa pista di terra, poi diventa terra senza nemmeno la pista, poi diventa desolazione e poi sabbia, arbusti, acqua e vento e luce e sole e argento.
Siamo nel nulla.
Spengo il camion.
Le tocco i seni.
Mi bacia.
La spoglio.
La lecco e la amo con travolgente foga e godiamo l'uno dell'altra senza dire una parola.
***
Non c'è nulla, nulla al mondo che possa fermare il cuore più di lei nuda, in piedi sulla sabbia chiara che la fa ancora più nera e ancor più di seta pregiata, che inarca la schiena spingendo in fuori il sedere perfetto mentre solleva la codona di treccine guardando l'orizzonte, meditabonda.
Arte allo stato puro.
Arte.
Pura.
E allora, ringalluzzito a livello di glande, decido che oggi si va ad espertire e prendo il camion, guido un po', passo il ponte, ma non quello grande, ma quello piccolo che mi porta su quella sterminata lingua di sabbia in riva all'Oceano, che a nord è tagliata dal confine con la Mauritania, ma io voglio andare a sud, costeggiando il fiume, per vedere il villaggio dei pescatori, per vedere quel miliardo di piroghe e capire.
Capire.
Non si può capire. Ci si può solo angosciare.
Tanfo di putrefazione, pozzanghere di sangue fresco che stazionano su immense macchie di sangue secco, interiora di pesci, montagne di spazzatura, nuvole di mosche, fusti di carburante, odore di nafta, di pesce, di merda, le donne scalze nelle interiora sanguinanti di pesci grossi, uomini che scendono dalle piroghe con in testa ceste di pesce vivo che viene ribaltato così comè in cassoni di camion arrugginiti che poi partono ringhiando in una nube di nafta incombusta e olio bruciato.
L'inferno è un resort in confronto a questo posto.
Mi fermo e scendiamo e Ninà, appena scesa tira una vomitata immediata per il tanfo disgustoso e io, vedendola vomitare e annusando il tanfo, faccio lo stesso.
Risaliamo rapidi in macchina e mi metto a correre per chilometri, costeggiando quella latrina tossica ed infetta sinchè, finalmente, il paesaggio cambia, si impoverisce, si destruttura e a un certo punto la strada finisce, a ridosso dell'Hotel Mermoz.
Ma io continuo, lungo una strada bianca, che poi diventa pista di terra, poi diventa terra senza nemmeno la pista, poi diventa desolazione e poi sabbia, arbusti, acqua e vento e luce e sole e argento.
Siamo nel nulla.
Spengo il camion.
Le tocco i seni.
Mi bacia.
La spoglio.
La lecco e la amo con travolgente foga e godiamo l'uno dell'altra senza dire una parola.
***
Non c'è nulla, nulla al mondo che possa fermare il cuore più di lei nuda, in piedi sulla sabbia chiara che la fa ancora più nera e ancor più di seta pregiata, che inarca la schiena spingendo in fuori il sedere perfetto mentre solleva la codona di treccine guardando l'orizzonte, meditabonda.
Arte allo stato puro.
Arte.
Pura.
Acrobazie
Si stende di schiena e solleva i lombi con le mani, portando la punta dei piedini rosati accanto al viso, inarcata da circo, offrendomi i fori magnifici da leccare e io lecco, insinuo la lingua, esploro, fotto di bocca e odoro, godo, con la minchia di ferro che mi penzola tra le gambe e, dopo averle lucidato di saliva e di bava che sbavo la pelle di ebano, mi incastro di traverso nella "V" delle sue gambe aperte, cercando spazio per il mio piede, creando a mia volta una "V" a croce sulla sua, piegando all'ingiù il cazzo marmoreo ed enorme, premendo la cappella sullo sfintere che cede e sento il caldo umido del suo culo che si apre e mi entusiasma veder scomparire il mio cazzone bianco in quel buchino nero come la pece e accogliente come un guanto. E la inculo a cazzo piegato mentre la manina nera con le unghie chiare e curate si tormenta il cazzetto rosato e scappellato e le accarezzo le natiche di velluto e mi piace molto qui a Saint-Louis con lei.
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