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venerdì 14 ottobre 2016

Venerdì

E oggi si festeggia il settimavversario, gli otto giorni, faremo un piccolo party in cui ci scambieremo i peluche e i bigliettoni con sopra i cuoricini e i pensierini che finiscono coi tre puntini che odio e poi balleremo il tempo delle mele e poi, finalmente, diventeremo animali e finiremo a letto a consumare sino a domattina questa importantissima data che, volenti o nolenti, è il preambolo ad una vita fatta di bambini, cane e barbecue.

Scherzo, sono il solito cinicosarcasticobastardo, in realtà Mia è una ragazza molto in gamba, gioiosa, sorridente, pulita, pensate che con lei è una settimana che ficco come un montone e mi sono tenuto per me tutti i pensieri impuri che faccio su di lei, non parlo, non dico, non sbarello, non confesso, non dichiaro, ma non per questo non godo di piaceri oscuri e adulti, come l’averle annusato i piedi la settimana scorsa, dopo un trattamento-ballerine-senza-calze, godendo come un porco, ma senza una sillaba, senza rivelare, senza estremizzare, pazientando, meditando, con la convinzione marmorea che di lei potrei fare ciò che voglio e forse lo farò, ma solo dopo una sua sfumatura che segni una disponibilità a bagnarsi nelle acque dello Stige (chissà la Ade che fine ha fatto).

Spalanca ginnica le gambe a V, tenendosi le caviglie, i piedi arcuati che increspano di pieghe le piante ruvide e callose, passo oltre le gambe con le braccia, le cingo i fianchi e le entro dentro con garbo e cura, raggiungendo quel punto in cui un lamento mi consiglia di non spingere oltre e dimentico quell’ano che si foggia ad ovale, schiudendosi appena tra le pliche pulsanti, lo dimentico poiché non ho maturato nessun percorso, nessuna scuola, nessuna strada, se non quella di farla venire e venire e venire e venire sinché un ‘basta’, disperato e sorridente, mi chiede una tregua che in altre condizioni non concederei.

Sulla strada della palestra si ricava un’ora mattutina per portarmi le briochine calde e abbassarsi i pantaloni della tuta affinché il Colosso di Roditazio possa infiltrarsi subdolo nella prugna matura che rompe la buccia e gocciola zuccherosa e ghiotta melata e poi prende la bici e va ad insegnare alle bambine ad essere graziose come lei e questo pensiero, non so perché, è un raggio di sole nella mia turpe esistenza.

Questa notte dormirà qui e poi sabato rientrerà ad aiutare la mamma e poi alle quattro sarà nuovamente qui per passare il sabato notte con me e poi la domenica rientrerà e poi mi raggiungerà dopo pranzo e staremo assieme a letto, nella pioggia (si spera) che sferza le tegole e sento l’esigenza di prendere in mano i libri di greco e latino per respirare ad ancor più pieni polmoni quel profumo di liceo che ho seppellito nella notte dei tempi e dei templi.

Sono molto sereno.
Se solo riuscissi a mettere le mani su quel Cascella che ho promesso al Bergolettone.
Ma sono dettagli.

Tutti dettagli.

martedì 11 ottobre 2016

Venerdì 7 ottobre [Parte terza]: La conquista

Che clima fashion e stylish con le luci morbide, il divindivano on duty, la Bossa Nova, il Jack Daniels Single Barrel e una cannuccia di Maria Giovanna che gira leggera librandosi nell’aere perso tra una bocca e l’altra a suggello di un rito di ancestrale memoria che precede, come inevitabile conseguenza, l’accoppiamento tra il maschio adulto e la giovane femmina della stessa razza suina.
E si fa clima di confessioni, come da copione rispolverato e riletto con occhi che lo trovano piacevolmente sempre nuovo.

Scorrono placide le sue rimembranze addolorate sul moroso andato su Giove, che già si assettava al desco familiare, ma nonostante ciò non ha saputo far aderire le ancore al fondo. E tu Tazio? E io Tazio, tu Mia, continua a raccontare che dopo ti dico una cosa, no dimmi, ok, ti dico, ma tu lo sai cosa si dice di me in giro?, chiedo un po’ orgoglione della sicura fama dimmerda che mi precede e lei si stende sparpagliando la chioma corvina e sorride mormorando “Ti riferisci a: pazzo, drogato, puttaniere, sciupafemmine, maniaco sessuale, violento e trafficante di droga nei paesi dell’est?” e la cosa mi inorgoglisce, tante sfumature non le immaginavo, ma non posso che confermare con malcelata soddisfazione e chiedere “E come mai una Mia perbene non scappa di fronte a cotanto mostro?” e lei si leva, mi abbraccia e mi slinguazza e poi sussurra “Non me ne frega un cazzo delle chiacchiere, tu mi piaci da quando avevo dodici anni”.

Sette anni in Tibet senza il Taziot, porella, che sofferenza. Come rimanere insensibili?

Come rimanere insensibili dietro a una gazzella che, una volta nuda e in piedi, ha un culino talmente da modella di Petter Hegre che le si vede il buchino biscottino irraggiato come un sole naif, senza che nemmeno si chini di un grado?

Come rimanere insensibili alle sue tettine acerbe tempestate di sensuali nei, su cui sono incastonati morbidissimi capezzoli chiari e conici che si increspano per sbucare tubetti di carne incisi da un tenero forellino?

Come rimanere insensibili davanti alla passerina rasata a zero per motivi di ginnastica artistica, che immagino davvero artistica, con quello zoccoletto di cammello che ingoia il costumino al saggio a cui vecchi bavosi prendono visione con rinnovati turgori nel pantalone agè.

Come rimanere insensibili alla piccola morte che la travolge nel momento in cui il Tarello Mastro Rampazzo ha pompato con delicatezza, garbo, dovizia e consunta esperienza e certezza della specialità della casa che questa sera propone cotechino di suino adulto stantuffato in salsa d’ostrica femmina praticamente nuova.

Come rimanere insensibili a carezze vere di felicità giovanile che vede il cielo in una stanza senza pareti che non esistono più, come per lei tutto il Creato che la circonda, che vorrebbe piantare un chiodo nel quadrante dell’orologio per fermare il tempo della gioia immensa che io conosco, che ho conosciuto, che so che lei sta conoscendo, preparando così la slitta inesorabile verso il baratro della delusione, nella quale considererà nuovamente le chiacchiere che si dicono, confermando che si tratta di verità assolute, dandosi dell’idiota, diventando tristemente adulta e donna che porrà decaloghi di norme relative agli uomini di cui io avrò per sempre la faccia vigliacca dell’illusione della gioia immensa e del cielo in una stanza.

Come rimanere insensibili?

Venrdì 7 ottobre [Parte seconda]: L'assedio

“Senti, ma se ci fermassimo a mangiare qualcosa, che a stomaco ignudo ci siamo calati tre americani, che manca solo un francese, un tedesco e un italiano e Berlusconi che la sa l’ultima?”.
Si può fare, mi dice ridendo ‘mbriachella e semi stesa sul sedile nipponico, tant’è che mi fermo in una pizzeria del cazzo dal nome ignoto e ci accoccoliamo ad un tavolino da due dove ci portano tosti due belle birrazze medie che, si sa, ammazzano gli americani.
Mangiamo, ridiamo, mitraglio cazzate come un fedayn di ancestrale memoria e beviamo, beviamo e beviamo che ammazza quanto trangugia questa linguista certificata, senza fare una pence, dritta liscia come un rugbysta al terzo tempo, che mi fa venire in mente la Schiz nelle giornate auguste trascorse a Borgoverde, nei tempi dello sfarzo culeo imperiale che mai più tornerà.
 
Ma quanto ridere Tazio, era una vita che non ridevo così da quasi farmela addosso, che immagine frizzantina che mi strumpallazza la fava randazza rampolla, che con quei jeans l’idea…, ma no Tazio, no, Tazio nonononononono, Lino il gommista ti vulcanizza, radializza, ti rende tubeless, run on flat, ti svalvola e ti sbatte in strada, con o senza battistrada, ti cambia i bulbi oculari in termici e poi ti vende ai cinesi che ci fanno altri centomilamiliardi di chilometri con la pelle del tuo culo arrotolata a una camera d’aria ricavata col tuo intestino tenue. Tazio no.

“Senti, Mia, io adesso la metto lì e poi tu eventualmente la sposti, o la butti, ma a ‘sta cazzo di festa del cazzo dobbiamo proprio veraveramente andarci o possiamo bigiare? Và che te la firmo io la giustifica eh. ” e lei ride con gli occhi natalizi che c’hanno i riflessi dei manga e mi sussurra con un sorriso “Facciamo quello che vuoi tu, per me va benissimo” e allora dillo, Mia, che a te della frase “non indurlo in tentazione amen” non te ne può chiavare di meno, perché se facciamo quello che voglio io andiamo a casa mia e ci spalmiamo sul divindivano a rinverdirgli i fasti dell’impero culeo giovanile di cui sopra, senza garanzia alcuna di contenimento del Taziosaurus Rex che sento grugnire laggiù nella grotta.

“Ti piace la bossanova jazz?” – “Mai ascoltata.” – “E’ arrivato il momento che tu sappia, Mia. Andiamo a casa mia che te la imparo.”
E ride.
E si va.
 
Già.

Venerdì 7 ottobre [Parte prima]: Il fato

E allora son lì che chiudo il cancello, mi avvio nella piazza, controllo se ho tutto, due passi pre cena, venerdì di promesse e poi si avvicina quella ragazzina coi capelli neri lunghissimi, il viso magro un po’ equino, sorride e mi dice “ciao, ti ricordi di me? Sono la Mia, la figlia di Lino il gommista” e io la guardo mentre l’amica ghigna malferma, sperando che tutto le crolli, ma poi io temporeggio, che ho fatto la scuola Stanislavskij, sgombro le nebbie, focalizzo il gommista e mi viene in mente una ragnetta antipatica, smilza e alta, con gli occhi da Misery devi morire abbestia, certo, ma è lei, sei tu, ma cazzo, sei cresciuta di botto, per dio e per tutti i fulmini e si sorride a illuminazione da stadio, mentre la cicciotta vede sfumata la chance di sfanculare l’amica, ma come stai, cosa fai, presentami la cessa della tua amica, sì dai che devo andare, muggisce il bovide, oh che disperazione, ciao amica di merda, oh ma senti Mia, e se andassimo a prendere qualcosa che mi ragguagli sull’ultimo secolo e ridi ridi, ma certo, ma andiamo…, vediamo, vediamo, vediamo, ideona!, andiamo al Centrale?

E siede accavallando elegante le gambe nei jeans e la pelle e cristoddio allora dillo, le ballerine nere senza calze e sopra un felpone blu con sotto non si capisce cosa e armeggia coi capelli sguainandoli ora a destra, ora a manca, ma cosa fai dibbello, le chiedo escludendo che faccia la gommista, ma ho appena finito il linguistico (ma che bel liceazzo rampazzo) e adesso non so, penso che per un anno provo a guardarmi attorno e poi al limite mi iscrivo a lingue orientali, le migliori, chioso con serietà improbabile, ma senti, ma allora tu quantannicciai adesso?, diciannove, faccio i venti a marzo.

Diciannove.
Santa Madre Teresa di Gallura, Tazio, ha diciannove anni, spegni quel porno che hai in testa che arrivano i gendarmi con i pennacchi e con le armi, ma poi si sa, i porno li si devono guardare fino alla fine che altrimenti non capisci un cazzo di chi era l’assassino e allora dai, altri due americani, e tu che fai di bello Tazio?, ma ho appena finito di intonacare il linguistico e adesso non so, penso che per un anno provo a girarmi dattorno e poi al limite scrivo sui muri di lingue orientali che magari l’anno prossimo me li fanno intonacare e si ride, ma lei ride di cuore, mi piace.

Bella non è bella, ma è di quel bruttino che a me mi mette il Tabasco sulla cappella, perché il culino è un capolavorino, col jeans ficcatissimo inside da perizoma odoroso, la figura è asciutta, slanciata, elegante, anche come cammina per andare a far la pipì e poi è senza calze vivagesùnomineddio.
Poi torna, deorinata con sperpero, col viso scuro, il telefonino in mano: l’amica l’ha orrendamente tradita per andare a una festa sulla via Emilia con quel tizio e lei, che la macchina non ce l’ha, non può andarci, ma manco ci andrebbe, perché erano d’accordo cazzo e quella è una stronza, stronza, stronza, magari è invidiosa, allungo io un fendente da squalifica, che sottolinea che lei, la Mia, è più figa e i fatti la cosano al punto che siede al mitico Centrale con un maschio adulto in età copulatoria di sublime bellezza, che sono io.

“Oh ti ci porto io alla festa, cazzo” dico con l’aria di NumboCchi che risolve i problemi e lei sorride dicendomi che son tanto gentile, ma poi penso che magari con un vecchione come me non ha nessuna intenzione di farsi vedere e lei fa gli occhi di Misery deve essere cremata viva e mi incentiva con un semiserio “Che stronzo” che assumo essere un complimento cciovane e allora, mi dice, sai che si fa? No rispondo e lei “due americani” che fan tre a testa e poi è deciso: si va assieme alla festa degli stronzi sulla via Eustronzia a fare stronzare di stronzaggine quella stronza della sua amica Stronza.

Diciannove.
Chemmerda che sono.