Lei ha dei piedi stupendi, perchè quando le asiatiche hanno dei bei piedi, ce li hanno belli davvero.
Mi riconosce, sorride, mi fa accomodare, parliamo in inglese perchè conosce solo le parole italiane strettamente necessarie a governare il business e così le comunico di essere lì perchè ho delle esigenze particolari e lei mi ascolta, con gli occhietti paralizzati e la bocca sulla quale tramonta il sorriso clichè e odo un registratore di cassa che incomincia a battere le tariffe fisse che scattano alla pronunzia della parola "particolari" e, quando mi sente dire che voglio lei, si indica il petto con l'indice e i muscoli della fronte si sollevano e schiocca una risatina umana, chiedendomi perchè proprio lei, 'cause your feet drive me crazy Ifan, I'm a feet fetishist, come se il problema fosse la giustificazione, che nella sua testa frulla vorticosamente quanto farmi pagare questo sfizio, perchè il rate deve essere più alto, ma non così alto da farmi dire no grazie è troppo ed allora mi chiede cosa voglio fare esattamente, se voglio un lavoretto coi piedi e basta, oppure cosa ed io le comunico che voglio il più completo dei servizi totali e lei dice ok, vai nello stanzino lì, ma io la fermo e dico alt, ma quanto mi costa e lei spara la cifra quasi pudica, guardando in basso e io sento la minchia che si scappella e dico ok, che mi eccita il mercantilismo pre.
Nell'ora in cui il mondo abbandona il lavoro e si getta a fiumi verso il desco familiare, io conto le vertebre che spuntano sulla pelle candida della schiena curva di una vietnamita agée, appallotolata tra le mie gambe aperte, che mi succhia la cappella con una delicatezza estasiante. Bianca. Quasi trasparente. La bocca rovente. Lecca, succhia appena, accarezza lieve, il suo solo respiro sulla cappella bagnata di saliva mi fa godere. Capelli neri, grossi, ruvidi di lacca. La accarezzo. Molle. Piacevole.
Dopo avermelo tirato duro di ceramica, mi lascia a gambe aperte e me lo spalma di quel gel che stava sulla pila di asciugamani quand'è entrata. E poi si siede e comincia a lavorarmelo con quei piedini da estasi ed io godo nell'osservare sulla pianta quell'orma gialla, quelle spellature, quei piccoli calli e le unghie, perfette e l'alluce che vorrei nel culo e che, in seguito, avrò senza doverlo chiedere.
Le guardo la fica, pelosa, nera e rada, con il vello di peli dritti, pettinati, che compongono una figura che mi ricorda le foglie sottili di una pianta di cui ignoro il nome, ma che cresce al caldo. E poi i bargigli, grossi, scuri, asimmetrici, che si schiudono appena, carnosi, rugosi, incorniciati dalla peluria che corre giù sul perineo, sino all'ano che, per la posizione, sporge estroflesso e polposo. La pancia asciutta, ricoperta di balze bianchissime e sottili, punteggiate da nei scuri e poi su, le mammellette sgonfie, ma perfettamente rotonde di sotto, sulle quali sono stampati due bottoni scurissimi dai quali escono capezzoli grossi, lunghi, rugosi, duri come piccoli cazzi.
Ed interrompo la sega coi piedi per mandarla di schiena sollevandole le gambe con una presa decisa nell'incavo del ginocchio. La ripiego, la impacchetto, la spalanco. La fica si schiude, rivelando l'entrata buia della caverna, entrata sbarrata da un sottile filo di bava trasparente, un principio di tela di ragno e io osservo, studio, imparo, godo di quell'ano carnoso ed estroflesso, composto da tre sfere disuguali scurissime e lo assaggio, scoprendo che Butterfly prova piacere, seppur composto, seppur espresso da una piega del volto che assomiglia ad un pianto e lecco e annuso i suoi odori forti, sporchi, che mi piacciono, che mi fanno scattare la molla animale e succhio e lecco vorace la fica pelosa, scopo con la lingua dura quei buchi assaggiandoli dal di dentro, godendo di quel gusto dolciastro e amaro, paradisiaco.
Vengo vestito di gomma blu ripugnante e le entro dentro con forza. Sensazione midollare di bollore avvolgente, ficco a fondo, voglio toccare in fondo che mi fa impazzire e tocco e lei geme, piccoli dolori, coscie nude che mi accarezzano, pelle sottile e carne tremula, le alzo un braccio e le annuso l'ascella che non mi delude, lecco e ficco con forza, con la voglia di sbatterla e lei respira forte, gli occhi chiusi, quasi come una tartaruga che si richiude nel guscio, la sbatto, ansimando, sudando, guardando il suo corpo sublime tremare sotto i miei colpi, odore di sesso, di genitali, di sporco adulto, sbatto, sbatto, sbatto e lei reclina la testa all'indietro, la bocca schiusa e io sbatto e poi sollevo le sue gambe e le appoggio alle mie spalle, sbattendo, leccando il gel edibile tra quelle dita dei piedi che adoro e poi mi balza un'idea e le dico di mettersi le infradito e lei esegue e la metto seduta, nuda, con le infradito ai piedi, le faccio appoggiare i piedini uniti al bordo del lettino e sguaino la spada dall'orrido fodero bluastra e comincio a menarmelo, guardandoli, guardandola, sfregando la cappella su quelle unghie seducenti, graffiandomi il frenulo con la robusta unghia dell'alluce, godendo dei movimenti che compie nel tentativo di coadiuvare la mia folle corsa allo schizzo, che arriva, che sento nascere dal profondo e percorrermi la verga lentamente, in contrasto col segare compulsivo e violento, lento, folle, lento e schizzo in un tremito convulso, irrorandole di sperma piedi e infradito, sotto i suoi occhietti spalancati e la bocca aperta.
E' venerdì sera e fuori il mondo corre a casa a consumare la cena dell'agognato week end che sembrava non arrivasse mai. Macchine e rombi, fari e notte ed io osservo Butterfly che si pulisce i piedi del mio seme, curva e delicata, tenera, quasi trasparente, diversa e attraente, magnetica e sinistrae mi viene da andare ad abbracciarla.
Niente poteva spiazzarla di più. Niente. Culturalmente lontana dal gesto, forse. Chissà.
Però dopo un po', la rigidità iniziale è andata perdendosi e le sue braccia si sono avvolte al mio torace e siamo rimasti lì così, come due gatti di sale, per un po'.
Che mi importa se è vietnamita, io gliela dedico lo stesso.