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lunedì 17 giugno 2013

Vita di merda

'Sto lavoro non finisce mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, fiaccato dalle continue ingerenze di un Grantestadicazzo che caca la grana per realizzarlo e non manca mai di ricordarmelo che lui caca la grana per realizzarlo.
E io monto e rismonto, sceneggio e riambiento, riscrivo story-board e sembra che ci siamo, ma poi arriva il Grantestadicazzo con al seguito la figlia plasmata in un blocco monolitico di merda che fa la faccia schifata, mi insegna il mestiere e mi suggerisce soluzioni che mi fanno liquefare la minchia che mi scivola attonita lungo le cosce come una cagata non trattenuta, infilandosi nelle scarpe.

Nemmeno la tecnica "ditemi cosa volete che ve lo faccio" funziona, perchè in quel frangente viene sottolineata con garbo e classe la mia inutilità, dato che per fare quello che vogliono loro bastava anche il cugino idrocefalo con l'iPhone, ammettendo implicitamente di avere pensate da ritardati, con tutto il rispetto per questi ultimi, assai più intelligenti di quegli stercorari.

E così scorrono le ore, i giorni, le settimane, i mesi, gli anni, i lustri i decenni e i secoli e io non riesco a raschiarmi via da questo budello fagocitante ed autointasante, mentre sogno l'Africa, la fica sporca e puzzolente, la droga e il malaffare e continuo a fare delle mie giornate delle levate antelucane e delle coricate antelucane, dormendo pochissimo, scoglionandomi a livelli intollerabili, manifestando intolleranza verso il Grantestadicazzo che caca la lira e la Figliammerda che mi insegna il mestiere.

E così, sabato sera, dopo essere uscito da quello studiodimmerda quasi a mezzanotte, seppur fracassato moralmente e genitalmente ho deciso che sarei andato a troie e così ho fatto. E ho rimorchiato la Elide, una sposazza nostrana ruspante over cinquantacinque sanisani, che batteva tra il lusco e il brusco di un porticone del centro direzionale. Due tette monumentali come il suo culo da sposazza della bassa, una bocca arrapante come una fica, dei bei piedi e dei modi gentili, sorridente e rincuorante. E l'ho caricata senza manco chiederle quanto volesse, facendo prua verso il suo lupanare profumato di bacchette d'incenso al lampone e abbellitto da foulard rossi sulle abat-jour. Un lupanare in piena regola, con una Signora Puttana d'altri tempi, una Signora Puttana che soffre (e s'offre, ovviamente) nel timore della concorrenza delle giovani iene, non sapendo quanto io vada apprezzando il piede un po' gonfio col segno dei sandalini eleganti e la carnazza emiliana  sudata e ingrassata nei punti giusti.

E allora eccoci nudi come i vermi sessuali sul lettone ottonato che riflette la rossa luce puttanesca e la Elide mi mostra finalmente le tettone paurose e i rotolini erotici e mi spatascia a tutto campo una ciorniona grassa ricoperta di peli radi ai lati e più densi al centro e come in un bagno salvifico mi ci tuffo a bocca aperta assaporando il gusto tropicale ed esotico della fica strausata mentre la Elide mugola da copione accarezzandomi la testa di cazzo sulla quale, finalmente, stanno ricrescendo i capelli. Le ho mangiato la fica con una voracità giurassica, non risparmiando di assaggiare nulla, assaporando il profumo di culo dalle pliche carnose, leccandole i piedi e le ascelle, travolgendola come una furia, ma una furia signorile, offrendole cifre malesi per scoparla a pelle, sortendo un compromesso: mi scopi col guanto e ti faccio venire senza, al quale io ho rilanciato un: ti scopo nel culo e nella fica col guanto e mi fai venire senza, lei ha alzato il prezzo (e che Puttana sarebbe se no?) e io ho tirato il cordino del fischio a vapore che sancisce l'inizio della trivellazione e ho iniziato a trivellare come se fossi il signor Tazio Texaco nell'elegante e signorile Texas.

Natiche geografiche che ingoiano la mia Ultraminchia, buco del culo che ciuccia sciacquettando il lubrificante, fica trapanata alla morte, eruttante fiotti di bianco muco filoso che come bava di seta si tende da un labbrone all'altro, mammelle invadenti e dondolanti al paradosso, pancia, grasso, smagliature, cellulite, sudore, muggiti e sbuffi, dura prova d'atletica sul lettone ottonato che vede solo il susseguirsi di miti vecchietti che si fanno stropicciare le minchie morte da stesi, senza impegnarla in acrobazie ultraterrene come Tazio La Bestia la sta impegnando e poi, dopo un due ore di macelleria messicana, il momento pagato un Perù: la pompa sborraiola a pelle.

Ciuccia baldracca, ciuccia e succhia e aspira e mordi e datti da fare, Signora, che c'ho i coglioni pieni in tutti i sensi ammissibili e la bella porcazza stagionata al refolo del marino (ma quanto s'è drogato quel copy?) mi tira un bocchinazzo di apprezzabile pregio ed impegno che le sgualcisce la messa in piega fatta a pomeriggio da Milvana la Parrucchiera  Puttana, con quel ciuffo biondo lavastoviglie che ballonzola come se fosse a bordo di un Tagadà.

E sborro.
Senza avvisaglie apparenti, d'incanto schizzo come Moby Dick un fiotto di sborra bianca che si impenna e poi le plana sulla schiena e mentre attonita mi guarda con stupore ecco il secondo geyser che le centra la gola e la guancia e poi, come nelle sagre paesane, uno scoppiettio di altre piccole schizzatine, mentre la schifatissima Elide non smette di menarmi la fava con le mani inzaccherate di odorosissima sborra.

E torno a casa.
Interrogandomi con insistenza su che cazzo sto facendo a questa pisciata di vita che mi rimane, ridotto a lavorare come un somaro prendendo il Travelgum per non vomitare, non vedendo nessuno, non parlando a nessuno e chiavandomi la più stagionata delle Puttane che trovo.

Qualcosa, qui, va messo a punto.
Decisamente.