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lunedì 15 ottobre 2012

Il mercato, la compagna e la casa caldina

Che posto pazzesco.
Ci siamo infilati in quel mercato che ti ubriaca per folla, colori, suoni e odori. Meraviglioso. E' un borough giovane, ma non anagraficamente, perché lì in mezzo c'erano tutte le età, ma per la vitalità che nasce dal nulla. Stupendo. Certo che bisogna stare attenti eh, perché in quel marasma è un attimo che ne esci con un piercing al pisello e un tatuaggio con degli ideogrammi che dicono "sono un coglione".

"Ti piacerebbe che mi facessi il piercing al pisello Skiz?"
"Te lo strappo con queste mani"
e me le mostra, perché il concetto sia inequivocabile.

Camminiamo, comperiamo. Figuratevi quella lì, patita degli anni settanta, là in mezzo. Anche perché poi la roba da vestire costa un cazzo. Poi, però, ti trovi davanti ad un grammofono, palesemente cinese, palesemente un'imitazione del glorioso Voce del Padrone, che a fronte del valore di una sterlina viene venduto a 189.99. 
E' la legge del mercato. Di quel mercato.
Mangiamo cinese, ottimo cinese, a un banco ambulante con una orientalina figa, ma figa figa, che ci serve con un sorrisone. Bello mischiarsi, bello non capire un cazzo di quello che dicono, a volte. Che minestrone di razze, lavori, facce, turisti, voci, lingue e accenti, macchine che scattano, vapori, luci, musiche, che in dieci metri passi dall'indie rock, al metallazzo, al fusion. Bello, cazzo, proprio bello.

"Ti sei messa le mutande?"
"No, dovevo?"
"No"

Gonnona che non saprei manco descrivervela, hippie come poche, clogs coi calzini a righe orizzontali colorate, eskimo e pashmine e borsone, ma mi sembri una di quelle compagne che facevano il segno della figa a tutti e lei ride, ride, ma come il segno della figa? e devo spiegargliela, perché lei è nata vent'anni dopo, ragazzuoli. Già. 
E che freddo cazzo. Di notte si va a due gradi e di giorno non abbiamo mai passato i dieci. Un freddo da bisce. La casa, fortunatamente, è calda e dentro si sta benissimo.

"Non ti si gela la fica là sotto?" chiedo soffiandomi le mani.
"Un pochino"
mi risponde prima di affondare le fauci in un coso che sembra un donut, ma un donut molto aggressivo, molto rock.
"Sei sicura che fosse commestibile e non ornamentale?" chiedo mentre mastica a piene mascelle come un criceto e mi fa gnègnègnè.
Bello, bellissimo.
E che culo, anche. Uno dice Londra, piove, bagnato e invece un cazzo. C'era il sole. Coperto a tratti, ma prevalentemente sole.

Che bel fine settimana. Davvero. Ve lo dico, per la prima volta ho sentito di non avere cazzi di far su gli stracci e di tornare. Anche perché avere una casa non è come stare in albergo. Sei sul tuo, ti fai le cose, dormi, ti svacchi, chiavi e ti incannelli e mangi quando ti gira. Avere una casa ti fa sprofondare nel tessuto urbano, good morning ms alla cavallona che ci abita di fianco, che le darei anche una bottarella, ma è diverso, diversissimo, il quartiere è turistico per il mercato, ma noi abitiamo a un chilometro di distanza e qui ci sono solo londinesi e brutte macchinette e tizi che girano col cane e l'aria è dismessa, rilassata, sonnacchiosa e piacevolissima.

La Chiara è felice, la vedo, la sento. Lei si trova bene qui, lo avverto. Avverto che non sogna di tornare indietro, no. D'altra parte, l'offerta umana, sociale e lavorativa dell'Italia è veramente deprimente.
Il 29 è il suo compleanno. Venticinque anni. Minchia. Quasi quasi mi organizzo un po' i miei casini e vengo quassù per una settimanina, così festeggiamo il compleanno in qualche orgy club estremo.
Minchia che nostalgia, sono proprio una figa.
Vabbè, adesso provo a dormire.
A dumansgi.

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