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venerdì 14 luglio 2017

'Cuda


Tu ti rendi conto che potrei essere tuo padre, che sono povero in canna, alcolizzato, drogato e maniaco sessuale?”
“Boh, sì.”
“E’ tutto quello che hai da dirmi al riguardo?”
“Boh, sì, credo di sì.” – e ride molle come un marshmallow da abbrustolire.
“Ma a te piace più la speed o la bambolina da sola o la bianca da sola?” – chiede trasognata.
E io adoro queste occasioni di distinzione semantica tra i significanti.
“La bamba è facile, modulare, gestibile anche in chiesa. La speed mi fa scopare come un cazzuto dio medievale che il Trono di Spade lo usava come bidè, la thai da sola tirarla è uno spreco, magari fumarla sì, quello è da posh, ci sta.”
“Giusto, giusto. A me piace fumare la gialla. O farmi le pistine sul tuo uccello. Molto train spotting.”

E chiaviamo.
Moltissimo.

“Tea, lo faresti un film porno?”
“Boh, se son strafatta come adesso, può essere che mi faccia anche un corso di ricamo”
“No, dai, seriamente.”
“Seriamente. Io e te un porno? Ci può stare. Hai le ‘attitudini’…” – e ride scimunita.
“Ma no, io faccio regia, fotografia, luci, sceneggiatura. Tu lo fai con un attore.”
“CON UNO SOLO? Nah, morta lì, poca roba.” – e si ride.

Poi si mette a sedere, nuda, alla luce della lampada gialla, arrotola, inala rumorosa, si massaggia le narici, si stende di fianco a me e mormora baciandomi “Faccio tutto quello che vuoi che faccia, scemo.”

E chiaviamo.
Moltissimo.

***
La Tea è come un’auto di grossa cilindrata, magari una di quelle definite da zingari, ma con un motore da panico. Uno come Max si accontenta d’andarci al bar facendola appena brontolare al minimo. Io voglio premere a fondo fino a farla urlare a settemilagiri in tutte le marce.
Forse fonde, ma non fonde.
Ma al bar non mi ci fermo.
No.

mercoledì 21 giugno 2017

La corte del Nespresso

A volte l’età trasforma in qualcosa di nuovo, che diviene interessante per ciò che vale e allora ci si chiede se si invecchia o ci si trasforma, ma lascio a chi sa di filosofia la questione.

E’ stato per un puro caso che mi sono ritrovato nella cucina della Betta Bettina a sorseggiare un Nespresso, soppesando i silenzi e le parole.
Non nego di provare per lei ancora un’attrazione fisica intensissima, ma in un momento di rinsavimento ho pensato che questa doveva rimanere sullo sfondo, lasciando che uscisse il suo male di vivere, o almeno quelle poche gocce che lei lascia trafilare, perché il conflitto, la guerra sanguinosa che vive interiormente, è davvero sterminante.

Posto che non sono la persona più adatta, per fama e per passato, a dare consigli su cosa si deve fare, mi sono limitato ad ascoltarla per quel poco che ha detto e non sono mai intervenuto.
Abbiamo confortevolmente condiviso un silenzio molto lungo e poi le ho chiesto se, passando previa telefonata, sarei nuovamente stato omaggiato di un Nespresso.

Un sorriso caldo e triste dei suoi e un abbraccio penso volessero dire sì.
Con la Betta si fa i seri, raga.

domenica 9 aprile 2017

Shock



“Ti darò tutto quello che non so nemmeno che vuoi” e sopra quelle mammelle giunoniche che dondolano appena, nonostante il suo imbizzarrito cavalcare, compare come un sole su una scatola di tonno un sorriso distratto dal gran godere.

La perfezione assoluta, un corpo divino, curvilineo, culeo e tetteo, capelli d’oro che non mi sono mai piaciuti prima d’invaghirmi di lei, piedi nature con unghie magnifiche e ditina lunghe, un pube liscio e bombato, una passera che si arrossa, ma meglio si arrosa, un cervello che pensa, ben coltivato di studi classici ed università, un lavoro da giornalista professionista, due occhi da cartone animato giapponese e una costante voglia di chiavare.

Se non ce l’ha lei a 27 anni.
“Le misure contano eccome Tazio” mi dice sbrananando un cheesburger da McDonald
ed io mi chiedo, a parte le mie ragguardevoli dimensioni e la mia bellezza hollywoodiana, cosa leghi noi due, ben frequentati per un numero cospicuo di uscite culminate nella madre di tutte le chiavate, che già era di tenore sostenuto nelle premesse ed è divenuta isterica nell’esibizione della fesa di Tacchinosauro Nostrano, che è stata fatta scivolare in ogni dove ben prima che potessi dire “ecco questo è il soggiorno”.

“Mo va là che hai fatto tredici” mi dice il Max un po’ triste.
E forse ha ragione. La Paoletta è un’antagonista degna di sfidare il Tazio nell’agone della vita.

O nell’agonia della vita di Tazio.

venerdì 10 marzo 2017

L'età

L’età porta a sfoderare, così, senza preavviso, una dignità ed un orgoglio magari mai posseduti prima. Si diventa autarchici, conservatori (nel senso di conservare ciò che si ha, magari nulla, magari sfighe) diffidenti e non più pronti alla qualunque, se non per dichiarati futili motivi.

E’ l’età e le sue implicazioni che impediscono alla Margherita, alla Signora Margherita, di indagare riguardo alla mia dissolvenza. Ed in luogo di una giovanile cazziata telefonica, Ella mi para dinnanzi un dignitoso silenzio, che io colgo, approvo e rispetto come un dolore funereo, soprattutto perché mi risparmia svariate rotture di coglioni (ed ecco il conservatore scrotale che compare d’improvviso).

E’ l’età che ancora non avanza quella che spinge il povero Max a soffrire d’amore per una zoccola dimmerda che nel matrimonio ha ravvisato unicamente una casa da dominare, una legittimata vita individuale e maggior danaro?
Mi sento di rispondere di sì, sentendomi ben qualificato a farlo, dopo aver depositato ai piedi di una sfigata riccia la mia esistenza straziata.
Straziata sì, buffa pure, immatura anche, ma non per sempre.

E’ l’età.
E’ l’età dei dubbi cessati e lasciati, orfani ed irrisolti, lì a marcire nel loro brodo.
E’ l’età dell’acquisto di quelle belle scatole di cartone ondulato dell’Ikea, all’interno delle quali riporre tutto ciò che è stato, tutto ciò che non è stato, tutto ciò che potrebbe essere se solo ci si impegnasse, ordinando senza attenzione tutte le questioni della nostra vita, rimanendo soli e faccia a faccia con la nostra straziata esistenza considerandola, per la prima volta, una straziata esistenza e basta.

E’ l’età.
Niente cure omeopatiche, niente rimedi cerusici, niente viaggi in Tibet, in Indocina o in Sarcazzia.
E’ sufficiente la Solita, o l’Osteria quella Nuova. E’ sufficiente sedersi scomodi a un tavolino scomodo, sapendo che il confort è assente.

Ecco.
Un’esistenza straziata e priva di confort, già depositata ai piedi di una sfigata.
Direi che non vi è da vantarsene, ma nemmeno da vergognarsene, semmai da convenirne, assolutamente da non andarne fieri, mai e poi mai da ostentarne la svolta come fosse un ciak al quale debbano seguirne degli applausi consolatori.

E’ l’età.
E’ lei che ti fa sentire a tuo agio fottendotene degli altri e del loro giudizio, sostegno incluso. E’ lei che ti dona orgoglio sì, ma non quello che deve dimostrare alcunché. Perché agli altri di te non gliene fotte un cazzo alla pari dello stesso cazzo di cui tu te ne fotti di loro e, al massimo, è una questione di consapevolezza, il discrimine appena percepibile.

E’ l’età che acuisce il tuo sano egoismo parossistico, che abbatte il ritegno (se al suo abbattimento corrisponde un’utilità di qualche tipo), che ti porta ad astenerti dal pronunciare pareri, poiché non darebbero mai seguito ad alcunché di concreto, che ti porta a destinare l’energia intellettiva come un fattore della produzione per il quale vigono leggi consumate, come il costo di opportunità.





P.S.
Ben ritrovata, Neofelis, un bacio vero.