Mi rivedo, ancor più idiota, mentre nuoto affannato dietro al turbotraghetto sei piani con a bordo la Schizza che naviga lesta verso mari caldi del sud.
Mi chiedo perché l’uno, il Max, anziché affannarsi al timone non si tuffi raggiungendo la riva prima del naufragio, magari seguito dall’altro, il Sa-aaarti che , anziché afferrare quella gomena marcia non segua l’amico, direzione la sabbia, un mojito e una canna di panama red.
Mi chiedo anche perché io, il Tazietti, non ho smesso prima di nuotare dietro al turbotraghetto a sei piani, ma nel mentre mi prende un dolorino allo stomaco.
Da cui deduco che anche loro siano afflitti da ulcere all’anima di non facile guarigione.
Saremo noi italiani?
Provincialotti al punto che il rapporto di coppia assume la foggia di un pilastro inamovibile (ma perché?) tolto il quale, o crollato il quale, la nostra identità personale ne esce mutilata ed incompleta, per indecifrabili algoritimi illogici?
Sarà l’aria?
Sarà l’acqua?
Sarà la gara delle colpe in cui siamo maestri?
Sta di fatto che no.
Non diventiamo “peggiori” senza quella donna che tanto sollazzo fisico e morale ci dava, no.
L’amore per una donna è sovrastimato, deformato, pericoloso, insussitente.
E’ una dolce frivolezza che allieta le giornate, ma mai l’esistenza, è un supplemento gratuito che ci dona serenità temporanea e noi uomini, per uno strano incantesimo infantile, pretendiamo la replicabilità eterna di una cosa che ci vede cambiare anche noi, giorno per giorno.
E non mi si foderi lo scroto dicendomi che ogni giorno l’amore muta in qualcosa di diverso e sempre nuovo, perché noi è l’innamoramento che vogliamo, non l’amore mutevole al mutare (yawn).
E quando finisce tutto, ripensiamo all’innamoramento e, giustamente, soffriamo.
Brachetto, oste della malora, Brachetto.
Sì.