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lunedì 31 luglio 2017

Ripulito coercitivamente, ma con amore sotterraneo


E rimango in estasi a guardare quella madonna bionda che mi cavalca godendo sommmessa, accanto alla finestra da cui si osserva la Riviera Romagnola dall’alto della Suite dell’Impero dell’Oro e ancora non mi capacito di averle chiesto aiuto e averlo ottenuto, in perfetto stile malavitoso, la tana imperiale full design, il guardiano a quattro ante gentilissimo, il professore dall’accento veneto con le sembianze di un sinistro professor Stratman di Intrigo a Stoccolma, che accorre di domenica mattina a prescrivermi la teoria infinita di flebo, endovene, pastiglie, una liturgia farmacologica consumata, destinata a quei personaggi a cui non appartengo, ma efficace, ripulente, rapida e pericolosa, sicuramente costosissima e lei, la Ade, maglia di questo tessuto molto, ma molto serio, donna di potere, ricca, sporca, ingranaggio asservito a un meccanismo pericoloso fatto di tonnellate della roba di cui mi ha ripulito e ragazze e alberghi e discoteche e un efficiente e nascosto esercito armato, che parla una lingua carpatica.

“Cicciammore mi sei mancato” - mugola durante l’amplesso clandestino che mi suggerisce implicitamente di aver un prezzo altissimo, se scoperto – “Anche tu Adelina amore” e resto sbalordito dalla genialità di una donna che contrasta il rilassamento del seno con una mastoplastica riduttiva che le dona adolescenziali tettine piccole e a goccia, all’insù senza protesi, senza cicatrici, magnifiche, ipnotizzanti.

“Non devi più esagerare con le sostanze, sai Cicci, che quelle che trovi sono merda pura”, ossimoro estremo che sigla senza appello la verità.
E ci rivestiamo veloci, senza aver strafatto, senza numeri estremi, solo un amplesso che ci ha ricongiunti come un bacio di quelli che nella vita se ne hai dati due hai un culo neanche tuo.

Ripulito.
Una settimana nella “clinica” della Ade, un appartamento di una bellezza estetica insuperabile, col fido ed imponente Redo, bodyguard dall’abilità infermieristica insuperabile, programmato per la missione “Tazio non deve morire”, che in giacca scura mi infilzava nell’ago cannula verde ogni sorta di flacone e sacca, somministrandomi sciroppi, pastiglie e dio sa cosa.

Portandomi colazioni, pranzi e cene da ristorante di ultra lusso, in assenza totale di alcolici, in presenza costante di bilanciamenti dietologici perfetti, così come il loro sapore indimenticabile.

E la Ade era altrove, “impegnata con le serate”, salvo balzare inaspettatamente per verificare di persona i progressi del suo protetto, come una madre premurosa, un’amante segreta, una potenza a cui Redo attestava timoroso riconoscimento di status.

E poi il saluto finale, sulla dormeuse Le Corbusier di pelle bianca, Redo in libera uscita, quasi quello che la Ade mi stava donando fosse l’attestato d’amore con cui mi riconsegnava vivo alla mia approssimativa ed improbabile vita.

E a bordo della mia consumatissima Yaris long term rent, ho lasciato stamattina il buio garage sotterraneo, sciogliendomi nel traffico stradale, mescolandomi ai vacanzieri ad ogni titolo, accendendomi la prima Marlboro da otto giorni, fumandola con gusto mentre alla radio passavano i Radio Head, inforcando l’autostrada che mi ha riportato nel nulla da cui sono venuto.

Grazie Adelina.
E basta, il resto delle emozioni son cose mie.

domenica 16 luglio 2017

Ylenia ti amo


Nella notte calda e solitaria, guido ascoltando i Simple Minds.
Camicia aperta, finestrino aperto, mi sale la voglia, accosto, sfodero il cazzo sotto il lampione giallo e meno, scappello e incappello, lo intosto, mi eccito, mi piaccio, il negrobianco, che cazzo da animale, che cappella, ma dai che si parte, vado a troie, stradali, luride, sudate, stupende.

Guido lento verso la zona e mi accarezzo la minchia, cambio automatico ti amo, senti come tira, mi tira il carro, eccone due, no, più avanti, che posso accostare parlando al finestrino mio, mostrando, esibendomi davanti a una sconosciuta, proviamo quella, sì quella mi arrapa.

“Ciao ammore icomestai? Uh! Sei già pronto ammore, che beggazo che hai, tanta voglia stassera, ma Ylenia ti toglie voglia ammore, sono 70 in macchina boca e figa coguanto…”
“Ascolta tesora, io ti pago anche di più, ma voglio leccarti tutta, dalla testa ai piedi, completamente nuda e poi voglio il culo…”

Si guarda intorno e ci pensa.

“Trecento e facciamo anche un po’ di  roba buona…” – e le faccio il segno internazionale del VickSinex.
Tu hai? Tu fai vedere…” – e mostro di straforo.
“Andiamo…” – e fa il giro della macchina e sale.
“Ho io posto sicuro no problemi, dire strada” – e mi sale l’ansia di venire sgozzato da due rumeni fatti di crack che mi inculano i soldi e la bamba, ma procedo con la minchia di marmo e Ylenia si accende una sigaretta e fa scivolare la sinistra sulla mazza ferrata, carezzandola con garbo.

“Tanto arapato eh? Senti come tira gazo, duro duro” – e ride segandomi leggera con la manina calda. Stupendo.

Nel capannone abbandonato, senza muri e senza porte, sapete quei capannoni che se io fossi un poliziotto in pensione e in dialisi controllerei di continuo?, beh nel capannone ci facciamo due belle curette inalanti veloci, così, per l’inverno, generose, poi lentamente comincio a divorarla come un Pitonsaurus TRex, leccandola, annusandola, facendole diventare i capezzoli due cazzi, che buon odore di femmina giovane da sesso, sudata, apri le gambe amore che te la lecco, depilata, ma con pistina di atterraggio, dio ma quante piste stasera, che traffico aereo, ma anche che sguazzo qui in mezzo, dolce e acida, piscia e lubrificante, odore di fica e puzzo di cesso, divina, secondo me gode davvero quando le lavoro il bottoncino, poi giù, fammi visitare il culetto amore, fammi sentire le crespelle carnose, amarognole, calde, ti contorci e spalanchi eh, ti piace Ylenia rumena zozzona eh? la cura inalante ti ha mandato a palla, come me, che la sto facendo dal pomeriggio, ma io prendo gli antibiotici anche, girati sulla pancia che ti mangio il culo, chiappe molli, ma belle e graziose, segno del costume perizomeo, guarda lì che bocciolone, non vedo l’ora di farmelo, ma intanto giù, via i sabot tacco novantasei e su i piedi, come i piedi no?, non esistono no qui amore, senti che delizia, senti la pelle sudata, la pelle a pezzetti sotto le dita, polverosa e che bel profumo di formaggino fresco di femmina, non stagionato, ti lavi, brava, è il mestiere che logora, senti amore, le senti abbastanza aperte le vie aeree? O è il caso che insistiamo con la cura?, meglio insistere, sono d’accordo.

E insistiamo.

Che botta cristoddio, se anche la polizia fosse in macchina me ne chiaverei, senti, ansimante Ylenia, facciamo cento zucche in più e saltiamo la storia del goldone e blahbla, che fa caldo e poi mi suda il cazzo?, e tiro fuori le cento zucche, mentre lei si dà all’ugola d’oro e mi tira una bocca di qualità medio bassa, ma accetta lo scoperto e la chiavo cabrio senza tanti preamboli.

E’ carina, anzi è proprio bellina, mi piace tanto, no, anzi, tantissimo e la bacio, provo un intenerimento abnorme, una voragine sentimentale e la abbraccio mentre mi abbranca con le gambe i fianchi, ti faccio male amore? “No è belo con-tinua…”, mi fa piacere che madame gradisca, sento che la amo, dal cuore, la voglio, la traforo triturando trucioli, mi abbraccia e la bacio di istinto e lei mi bacia aprendo la bocca, oh!, ma che stranezza, che bella intimità, pompo come un subwoofer innamorato pazzo e lei mugola un dolce canto rumeno, scritto dal Conte Dracula, molto carino, orecchiabile, ritmato da un movimento di bacino, un ballo propiziatorio, credo, ma dai che son contento Yle che sei venuta, sai? ma adesso dammi il buchino odoroso che anche io voglio riempirti di sborrona calda e si rigira, mentre io la fermo, su un fianco amore, entra meglio, mentre sapiente maestro di glandigitalidizzazizzazione, cerco il punto di rottura e spingo, piano, carezzandola, dicendole che è proprio bella e mi piace tanto, ma tantotantotanto e le innesto il  mostro nel culo, mentre lei si rende conto dell’enormità a cui assiste attonita e si attacca alla portiera con le manine, male amore?, no, continuo?, sì, entra, entro, senti come strozza col muscoletto sensuale e poi zac, l’ampiezza tenera del budello odoroso, ma senti che incularella che ci stiamo imbastendo Yle eh? e mi muovo lento, lascio che i muscoli si arrendano e poi comincio a fottere quel culetto dalle chiappe molline, mentre lei riversa il capo all’indietro, guancina sudata a guanciona sudata, ansima, la bacio e le strizzo le mammellette incazzate, la inculo, ti faccio male amore?, “No tu bravo, tu fare bene….” eccerto Ylenia, mica sono un puttaniere così, io sono IL puttaniere, fidati.

E cerca le mie mani e mi stringe con le sue, mentre io aumento il pompaggio e lei cerca di aprirsi più che può, mentre l’odorino di fossa biologica sale lento e caldo, a segnale che il tappo è tolto e si può cominciare a pompar la fogna.
Oh, Ylenia zozzona, ma quanto ti piace il supercazzone nel sederino eh? ciuccia adesso, ciucciamelo col culo, che voglio svuotarti nell’intestino i coglioni, dai, dai, dai e sborro grugnendo, mentre la mia odalisca stradale spinge il culo all’indietro per agevolare il mio, di espurgo.

***

“Ma tu paga putane per farle godere e snifare?” – mi chiede sudata marcia, mentre tenta di rinfrescarsi con delle merde di salviettine umidificate, che gliele avrà fatte il pappa a sputi, considerando che son secche e senza profumo, boh.

“Sì” – rispondo io sistemandomi – “ma solo quelle buone, sai, io sono Babbo Nasale” - e lì si ride che non vi dico.
Le annuso per l’ultima volta i formaggini piccolini e delicati come forma e come stagionatura, unghiettine rosse, lei dice nonononononono, ride, si rivolta zampettando come un satiro e mi dà un biglietto, fatto alla stazione, con su il suo nome e il cellulare.

La amo.

E’ splendida e dolcissima. E anche una ragazza tanto cara. Tanto. Eh.
Ma io sono su Saturno, che se stiamo lì un altro po’ me la spoglio e me la richiavo.
E ho amato a mille una cosa, che i puttanieri che mi leggono apprezzeranno: ha messo il cellulare in silenzioso e non ha risposto mai, anche se quel coso illuminava la borsa ogni tre secondi.

Brava.
Bella serata, era da tanto. Grazie Yle, ti amo.
E bacino e sorriso e via.
La amo!

Ah le donne! Come si fa a non amarle, quando son così sincere?
Ha!












venerdì 14 luglio 2017

urlo di servizio: B, Babbi, Neofelys, seagull

Tutto non risponde, BB.
Sogno una notte e la scrivo, ma la casella mi rifiuta.
Riscrivimi, ho bisogno di un gancio in mezzo al cielo.
Grazie.

💔

domenica 25 giugno 2017

Fidanzamento

“Oh, ma il tipo ce l’ha?” - mi chiede la donzella sulla trentacinquina, figa, un po’ anni ’70 col gonnone e l’occhialone ferma capelli – “Non so, sto aspettando anche io” – rispondo guardandole le dita dei piedi nei sandali infradito (che si vede che son di marca) e c’ha le dita nodose e lunghe come piace a me, impolverate dalla merda di calcinacci lì sotto, poi arriva il tizio col cappellino col frontino e mi fa “Quanta ne vuoi?” che io dico “Fai lei poi ci parliamo” e lei mi ringrazia, il tipo incassa e scarica, fa me e poi evapora – “Ma te la fai qui?” – chiedo sommesso e lei – “Un po’ me la farei che il resto lo devo portare a un amica, è che non mi fido qua…” e io la seguo mentre cammina male sui calcinacci e poi si gira – “Te te la fai?” – in un toscanazzo rivelatosi poi fiorentino – “Se mi fai compagnia sì, se no vado” “Sì, sì, ti faccio compagnia se vuoi…” – guardandosi in giro, un po’ affannata che si sale – “Offro io…” – dico magicamente in un soffio ed allora è sì, cazzo sì, se offro è sì, cazzo di tossica dimmerda e ci infratttiamo nel tugurio lurido, ci sistemiamo su una finestra che dà su delle erbacce secolari, si accoccola a gambe aperte con la mutandina candida, sia perché è bianca, sia perché e di cotone per bene, doppia carta di credito, cento euro e si parte, discreta, pensavo meglio, mi vien voglia di chiavarla, ripartenza, vai chemmifrega, pista che devo passare, beh dai sale piano, ma non è male, no infatti – “Ma sai che sei figa?” “Mavaffanculo, te mi vuoi chiavare!” e ride, ride, ride, si ride, le accarezzo i piedi, lei si fa seria e mi fa – “Ma t’ha preso così davvero?” “Sì, cosa devo fare?” e nell’attimo romantico dell’antro di piscio e merda, siringhe e sangue, scatta l’amore, quello vero, col bacio sincero, quello dal cuore e allora propongo a fil di labbra di farci un altro giro di prova e lei sorride e via, liberiamo le vie aeree e respiriamo l’aria degli affetti sinceri – “Vuoi che ti faccia un pompino?” “Per cominciare” “Oh non è peffà la bigotta, ma io qui un ci hiavo t’oddico eh…poi un ciò nemmeno i preservativi..” – ed allora succhia amore della mia vita, succhia bene e lenta e togliti i sandali, stupore, divertimento – “Che sei uno de huei matti che so’ innamorati dei piedi?” – massì, son io uno di quelli, ma senti labbradifuoco, com’è che ti chiamano? Franci, Francesca, bel nome, se avessi una figlia la chiamerei così, grazie – “Oh non mi venìnbocca he non mi piasce” – certo amore, tutto per te, ti avviso, ma tu mi fammi assaggiare quelle ditina nodose, mannò che son zozzi, ma non ti preoccupare che godo abbestia, dai succhia che vengo, sega ultrafast, con moltiplicatore della velocità, brava, bravissima, sborro come un koala siberiano e lei sorride, mordendosi il labbro, che brava che sei Franci, festeggiamo! e ride impiastricciata e mentre si pulisce coi Kleenex io attrezzo le piste che manco a New York al JFK e via che ci si rallegra felici e la tiro in piedi limonandola e la inchiodo al muro di schiena e scivolo nelle mutandine di cotone infantile e le frullo cortese la carnina con la strisciolina di pelino scurissimo, nel triangolo bianco di sole della Versilia e, mentre cede sulle ginocchia abbarbicata a me siffosse ella edera, sgocciola una venuta dignitosa, cantata, dignitosa al punto di poter essere considerata onesta, nell’occasionalità dell’incontro tra consumatori diretti, di cui uno ospitante.

“Tesoro devo andà he sennò mi perdo il treno. Ma te passi mai da Firenze?”“E se ci passassi che cosa succederebbe?” “Un so’, ci si vede”- arrampicandosi a fatica, con quelle infradito.
E perché no, Franceschina pura? Però dammi un numero, che sennò l’è un hasino hiamà tutti pettrovarti, ride, ci squilliamo, abbiamo i nostri numeri, l’amore è stupendo.

La porto alla stazione.
Ci baciamo, siamo praticamente fidanzati.
Queste sono le mie donne.
Viva l’amore vero!



domenica 28 maggio 2017

Nella vecchia porcilaia


"
Nell’ex stalla dei maiali 

tre uomini gioviali
han legato sulla tola
la bella ragazola
con la benda nera agli occhi.

“Che fai e non la tocchi?” 

– somaro di un sandrone -
mosì che la strapazzo,
la scaldo e poi ci sguazzo
finendo senza meno
a ficcarle dentro il cazzo.
"

Che poesia, alla luce della lampadina di design minimalista, quell’opera che tutti abbiamo avuto una volta nella vita, “Legata a un filo” è il suo nome, ve la ricordate?
Ma che bell’odore di maschi sudati e di fica, di cazzi e di ascelle, di umido, essenze sublimi che ravvivano il vecchio odore di porco di quella casettina di mattoni e lamiera.

La porta aperta dà sulla campagna pregna di tanfo di liquame, parente stretto dello stesso liquame che ci tinge l’anima di merda pervertita.
“Sbattila” grugnisce il giovane tormentando quelle tettine irte  e gonfie, ed il bell’edile arrapato, peloso sul petto come un tappetino del cesso a pelo corto, affonda il cazzo nelle carni tremule della nuda ed oscenamente gaudente giovinetta ginecologica, che mugola dimenandosi, ben legata alla tavola sulla quale anni addietro si era adusi a confezionare salami, svuotare interiora calde, sgambare prosciutti, arrotolare pancette, sguazzare nel sangue che “el mazador di ninin” aveva inevitabilmente sparso.

Ma stanotte no, niente sangue, no. Solo manzi sudati, alcolizzati e fumati che condividono le loro verghe erette con la ninfetta porno che si dimena dal piacere, succhiando due cazzi, mentre il terzo la trapana nella oramai indecentemente esperta fichetta rasata.
“Nel culo no!”, eh no!, nel culo no giovine, cosa credi, che siam qui a truccar le scimmie? nel culo no, ‘mo nononono, ci mancherebbe contessina, scusateli, son ragazzi.

E il giovine la sbatte con forza e passione, mentre l’edile mi affianca, fraterno, e io lo cingo nel sudore intenso e viscoso, ghignando con lui su quanto sia elegante, colto, culturale, amichevole e persino pedagogico, trombare la troietta tutti nudi nella stalla e il contatto col suo corpo mi fa tirare il cazzo come un argano kazako e allora, dai, vieni, che le mettiamo in bocca ‘sti due tronchi di sequoia e la giovinetta sugge, rantolando da suina, che bella benda nera che c’hai troietta, adesso la macchiamo di un bianco un po’ opaco, tanto lo so chi siete, froci porci puttanieri, ah sì lo sai puttana? sì lo so, uno è Max e l’altro l’ho visto al bar ma non so il nome, succhia puttana, sfregaci le cappelle, stupendo Max, godo come una porca, mi ti farei maschione, lui ride di traverso, ombroso e virile, che due froci che siete, tu sfrega e fatti chiavare, zoccola ansimante, daimo Zack sfondala, tanto lo sa chi sei, grugniti sordi, scricchiolii di legno marcio, mani, dita, capezzoli durissimi, pelle d’oca sulle cosce, son Max, eccomi qui troia, ti chiavo, sì chiavami! ti voglio porco!, e il suino affonda nella fossa mentre Zack le spruzza in faccia il suo carico di sborra.

Ingloriosi bastardi di merda, intortatori di fogna, adulti insani con pruriti da cinghiali al Viagra, stolti distorsori della virtù giovanile, ma che sesso Max nudo col cazzo duro, lo abbraccio da dietro mente pompa la pupa e gli piazzo la minchia dura sullo spacco sudato del culo peloso e con la mano gli strozzo la base dell’umida minchia, onesta, né grande, né piccola, ma dura di marmo e lo abbraccio sudato mentre gode e pompa chino e lo incito osceno, seguendo il suo corpo maschio incollandogli il mio e niente lo ferma mentre fotte ad aratro esavomere, che la pupa gli piace, si piacciono, si pigliano da prima, in segreto, e sortisce il suo orgasmo, un altro gran troia!, ma quanto sborri stasera!, dai Max, sfondala, ma lui si sfila di brutto, scacciando la mia mano, per segarsi veloce e irrorarle una gamba, vai Taz, puniscila tu!, spaccala in due! dai spaccami bastardo! e io fotto la troia alcolizzata, fumata e giuliva, dal sorriso febbricitante per il  gioco da adulti malati e dopo un po’ di colpi profondi le schizzo il mio seme nell’ombelico pirsingato, ma che pozza, ma che bello amisgi luridi, l’hai fatta rivenire Taz!, mo che sporcacciona che sei, ma ti chiediam dei soldi vè e ridono scemi e sereni, la campagna liquamata, i maschi di merda, slegatemi maiali, tanto lo so chi siete, che mi scappa una pisciata da scoppiare, se no vi piscio addosso! che eventualità golosa e arrapante, ma i verri urlano fuori!, fuori a pisciare!, il buio, il corpo nudo, sudato, accucciato animale, lurido di sborra e sego umano che sibila la piscia senza pudore, schizzandosi un po’ i piedi, dopo dormi da me, sì e mi bacia slinguandomi e sa di cazzo e sborra, odore d’erbetta accesa, passa animale, tò, la giovine che ride oscena e picchia i pugni sul petto dell’edile che la limona aprendole le chiappe rosse di sfregamento sulla tavola e si ride, lo sapevo busone che eri tu, la voce la conoscevo, ‘sta minchia pure, ma anche quella Taz, mi brucia la paperina sai?, dopo ti schizzo dell’altra cremina, e mi lecchi la bua? e se la strizza oscena e sguaiata, sozza lolita troia amorale, drogata, alcolizzata e molto ben integrata, si ride e si bestemmia, anche lei, che sesso, tutti nudi, sgrullandoci, luridi, deviati, demoni corrotti, ma com’è che cominciata?, ma che cazzo ne so, son fuori di legno da stamattina, anch’io!, ma tutti!, ride, ride, ridiamo, ridiamo idioti, la vita è bella così, sì dai e si ride.

Che domani è domenica.


lunedì 22 maggio 2017

Domenica, coda.



Un sussulto, ma di stupore credo, poi il dialogo a voce bassa, che siamo nella barca ormeggiata e intorno c’è il mondo che passa è domenica, tutti al porto, “E’ come un dito…”, sì è come un dito, Tea, ti ho infilato quello di silicone, il più piccolo, perché vedi, Tea, il culo va addestrato, lentamente, con piacere, dilatato, reso elastico, pronto ad aprirsi…, ma la mia porno solennità  poetica viene spezzata da “Chefffffffigata questo, l’ho visto in un porno, ma quanti cazzi ne hai di ‘sti affari?” e ride agitando irriverente la coda di vero crine di cavallo (che saranno capelli birmani maschili, se va di culo).

Ne ho tanti, Tea, rispondo pacato come un serial killer e osservo quell’inserto dorato a cui è legata l’elegante coda e penso a quella troiadimmerda della Chiara, che era suo, era il segno di una mai dichiarata appartenenza e sottomissione al Gran Maestro di Quercia Tronchea e poi guardo le chiappette della Tea nuda, che è stesa sul letto di cabina di questammerda che non va più in moto.

Stesa erotica come fosse la Porneleonora Pornoduse e allora le tolgo il silicone taglia XXS e prendo un S, lo ungo, glielo infilo lentamente nell’iperlubrificato ano, mentre lei fissa un punto a cazzo della cabina con un semi sorriso a bocca aperta, poi fa un “ahh” sottovoce, lento, giusto quando è dentro tutto, tutto nel culo, anche se piccolino, ma tutto dentro.

“Questo lo sento mooolto di più”, mi sussurra aprendo le gambe per toccare l’estremità gommosa rimasta di fuori, mentre io mi ungo la Tronkazia che si scappella e comincia a tirare dabbrava e appena tira metto di schiena la Tea, generando un rollio anomalo nella barcammerda, poi le divarico le gambine, le sputo sulla fichetta, che si schiude rosata per accogliere lo Smataflone Aureo e le scivolo sopra, sudatissimo come lei, che ci saranno 220°C dentro, e approfondisco l’argomentocazzeo nella carne viva, annusandole le ascelle, ancora evocanti un antico deodorante della doccia del mattino e spingo dentro il cazzo, ma che belle ruvide e sudate, le lecco eccitato, poi avverto nettamente sulla cappella il ripieno che serba nel buco odoroso del Culo Vergine e lei sorride, guardandomi, sussurrando “Come fosse una doppia…” per poi perdere l’uso della pornoparola youtubbara, lasciando spazio al rantolo contenuto, che si intensifica ad ogni affondo di Minchia Bronzea.


Sbatto dentro senza cura, alla cazzo, la sbatto perché voglio arrivarle alla cervice, voglio che gema di dolore e godimento e le tengo stretti i polsi sopra la testa, spingendo, strizzandola, palpandola senza stile e lei gode, abbandonando le sue gambine eleganti morte sul letto, mentre sbatto, sbatto, sbatto forte, la fotto spingendola al bordo del letto dal quale la testa le cade all’indietro e allora, senza richiesta, le tiro i capelli, fottendo come un cinghiale quella bianca creatura dal petto piatto e sbatto, pensando che è ora che la Coda del Divino Tazio cambi destinataria, vaffanculo la troiadimmerda e la Tea comincia a tremare come un vibratore e mi dice “Vengo..” solo di labiale.

Rimane a bocca aperta a tirar aria e grugnire il suo orgasmo, e io perforo, abbatto, sbatto, ruoto, freso e tornisco l’arrossata fica resa implume da un dozzinale rasoio, mentre la testa della Tea si solleva ad occhi rovesci ed io le sussurro “Voglio sborrarti in faccia…” cosa che, nell’evidenza, induce un inatteso protrarsi dell’orgasmo, rivelatosi solo in seguito, il secondo.


Attendo, attendo che l’onda si cheti per sgusciare dalla fica e presentarle un impiastricciato cazzo violaceo che lei succhia con non trascurabile devozione, succhia e sega, sbava, lecca, mentre io, col fiatone, ma con voce quasi immobile, sentenzio “La coda va guadagnata, Tea. Non è un plug qualsiasi.”
Lei sorride lurida, sudata, lucida, gonfia, torbida, molle, ad occhi socchiusi – “Bisogna farsi inculare, vero?” - chiede sozza con un filo di voce ansimante ed io scuoto la testa dissentendo, ma comincio a perdere il controllo e le stappo dal culo il plug e lo succhio, sa di culo, sa del suo Culo caldo e Vergine, accarezzo nemmeno tanto perifericamente l’ipotesi di troncarglielo nel retto senza tante liturgie, ma poi accantono, glielo spingo in gola sinché non sento stringere e non sento il conato sordo, poi arretro e poi mi distraggo perdendomi in quella nobile pratica della pompanza, quand’ecco che la mia ancella del Glande mi guarda negli occhi e mi mormora come uno Smiggle “Mi fa male…”, ostentando scellerata la coda delle Ancelle del Sacro Maestro, coda indossata senza permesso, mentre il Divino era assorto nella fottanza del cavo orale.



Brutta puttana che sei, almeno infilatela bene e ruoto senza cura sentendo il proiettile che viene deglutito dall’Ano Ancellare, gridolino, pecorina, aria succhiata tra i denti e esibizione, “Ho la coda…” sculando lenta a destra e manca, dovrei punirti maiala troia, sussurro a denti stretti – “Perché non lo fai?...” – mi provoca, culo all’aria e viso rosso nascosto dal braccio, la minchia sta per scoppiarmi, la sculaccio forte, lasciandole l’impronta della mano, senza toglierle il sorriso, cinque, sei, dieci, prendi puttana cagna, poi mi chino infoiato come un animale ad annusarle sotto le dita dei piedi e sì, sì porcoddio, delizia delle mie narici di porco, sudore di cagna troia lurida, intenso, dolciastro, mi stendo, cavalcami puttana, adesso sei mia, sei la mia ancella puttana e la Tea pompa, con quella coda che le esce dal culo e mi accarezza i coglioni, gemendo di dolore, ma pompa per farmi venire, “Voglio che vieni cazzo!” e inizia una cavalcata furiosa che la barca sbatte di poppa contro il moletto di merda e tin e tun e montami Tea troia.

Sbatti troia, che tanto il tono di voce controllato è andato vaffanculo, perché adesso si monta, si monta abbestia, come sculi cazzo di quella merda e lei sorride godendo come una pappagalla adultera, “Dai, vieni, vieni con me…”, sì ma prima dimmelo cosa sei, dimmelo – “Sono la tua schiava troia… vieni non toglierti… sono la tua troia…schiava…la tua puttana” e esplode come un ordigno deflagrante in un urlo roco di gola, stropicciandosi malamente i capezzoli e io contropompo le sue cavalcate e credo ci abbiano sentito nel giro di un chilometro, ma coi cazzi dei cavalli, amisgi, coi gran cazzi che le ho riempito la fica di sborra, coi cazzoni giganti e nodosi.
In faccia avevo detto ed in faccia ho perpretato, con suo sommo godimento, che di tale pratica pare ghiotta. E va ben, a ognuno il suo. A me, lo sapete, in faccia non piace.
Ma tutto il resto sì.




***
Quiete, riprendo i sensi.
“Alzati e mettiti in punta di piedi, spingendo in fuori il culo, che voglio guardarti”
Esegue, sorridendo da foto, tenendosi i nanoseni come se fossero quelli della Anderson.
Che arco, che profilo di culo con coda in controluce.
Sarà pure bruttina, sì. Ma che fisicata cazzo.

“Guarda che io non scherzavo: chi se la mette nel culo, questa coda, diventa la mia schiava”
“Ho capito sì” e lentamente, con un catalogo di facce del dolore che altro che emoj, si sfila dall’ano il Sacro Vessillo, carezzandosi il muscolo dolente con una faccia a bocca storta.
Poi indossa il suo slippino di cotone rosso e mi dice “Dai, vieni, sediamoci fuori che ci facciamo una birretta e prendiamo aria”.
Resto a osservarla ancora steso, che le vedo appena i piedi e le gambe.
Medito con nettezza ad una cosa. E quindi, sulla sua spinta, agisco.
Frugo farabutto nel suo zaino, che tanto col riflesso non mi vede.
Apro lo scarno portafogli, trovo i documenti.

Primofebbraiomillenovecentonovantanove.

Sollievo, è del secolo scorso.
Il mio stesso.
La mia Schiava è secolare.
La mia Birra è gelata.
La Barcammerda di Malavasi.
Per ora, l’unica inculata l’ho presa io, da Malavasi.
Ma cin Culatea, anche io ti lovvo.
 


mercoledì 17 maggio 2017

La ragazza omega



Obé obé obé, cara Tea, che ti togli le AllStar e i jeansuzzi e scivoli le tue gambine lisce sulle mie, per tormentarmi il pisellone che penzola scappucciato sotto il Corallo e profumi di doccia, di pelle, di comune crema supermercadora e sfreghi, e alzi e strusci e stringi e seghi e fresi l’adamantina durezza della Colonna che si erige in onore di Priapo, mentre il glande gioisce di talune asperità appena callose che ornano la pianta del tuo piede sinistro, ed apprendo dai fatti, dalla visione della t-shirt bi-chiodata, che non indossi nemmeno questa volta il reggiseno e trovo la cosa onesta, sincera, non ridicola, coerente, considerate le microtettine che hai ed i deliziosi macrocapezzoli che ti possono spuntare quando la mini fica ti trasuda una sozzura forse a te nuova, ma assolutamente gradita e così, mentre ti abbarbichi coi piedi sul Bananone, come farebbe Cheetah in “Tazzan e la Caverna Del Piacere” (un capolavoro), esprimo gradimento sul tuo inatteso ritorno e ti trovo schietta, immediata, fresca, sincera nel tuo divertito “avevo voglia di vederti”, così poco impegnativo, così umano, così cristallino e scivolo sul Divino per aprire le gambe ed esibirti ciò che forse non avevi percepito in barca, non così nettamente, non così brutalmente, non così mastodonticamente, e tu non dici un cazzo, ma non stacchi gli occhietti castani e fai scivolar la pargoletta mano nello slippino blu e ti tormenti la Labbruta, continuando la scimmiesca salita sul Tronco della GGiooia, siffosse esso albero della Cuccagna, da cui si scivola, ma se si raggiunge l’apice, si gode.

“Domenica ti porto alla spiaggia della Becca e facciamo sesso nudi davanti agli altri” grugnisco di quell’animalità canonica che voi conoscete bene in tutte le sue liturgie e la Giovinetta invece ignora, o almeno credo, massì credo di sì, al punto che ella sorride ammorbata e rossa dicendomi “Occorre andare fin là in fondo?” ed io dico no, non occorre, no, noo, nooooooo, posso chiavarti anche alla spiaggetta del Chicazzè e lei fa la spiritosa e dice “Andiamo in macchina, vero?” e io spacco il lucchetto della gabbia arrugginita e lascio uscire il Taziosaurus Rex che non vedevo da un po’, le sposto il bordo dello slip e le pianto nel corpo umano la Verga di Tazior, figlio di Mthor, fratello di Minchior, governatore della Fica da qui sino al regno di Mantovest, sortendo nella Putta un lamento gutturale e un riversamento del capo all’indietro.

“Tirami i capelli” dice la voce dell’Innocenza nel pieno della chiavanza sbattona ed io eseguo, perché quando mi si dice tira io tiro e tira di qua che mi tira di là, affondo la Bietola Turbo come coltello rovente nel burro di arachidi e la Piccinina spalanca le gambe, alternando dei “sì” assertivi e dei decadentisti “ahi” e “sì” e “ahi” e la mi viene che non ne ero preparato a cotanta repentina reattività e così reagisco pure io, permaloso e stizzito, inserendo la prima bombola di protossido come Vin Diesel in “Fuck Her Furiously”, scatenando il Glande Rotante come Dick Robot d’Acciaio, l’Asta Spaziale come Taizan III e mentre la principessa Godiva godeva come una Barbie nel suo camper rosammerda, mentre si vibrava passera e culo guardando quel culattone di Ken che lo succhiava a Krissy, che era una trans di nome Cristopher e lo si sapeva.

Molla il cazzo e tira fuori le palle, mi dice l’amatissimo e stimatissimo Viaggiatore, maschio magnifico che mi strafarei in tutte le posizioni e le preposizioni, semplici ed articolate, suggerendomi di andarmi a trovare una donna alfa che mi tiri fuori dalla merda.
Resto un po’ colpito, non ci avevo mai pensato, alla donna alfa.
E mixo, con l’abilità di un regista consumato e inquadro la Tea, sull’angolo del Divin Divano, che rolla un cannellone ripieno.
E’ ancora lucida di sborra sotto la clavicola di destra, zona sfuggita all’asciugamanatura post chiavale.
Ha due perfette gocce di carne sodissima che offrono agli dei piccole areole molto cazzute.
Non ha belle unghie dei piedi perché le taglia male, ma le dita sono nodose e c’è del potenziale.
Ha un culetto rotondo e generoso per il suo esile fisico dalle gambe snellissime.

“Allora domenica andiamo?” – chiedo abboccando molto fumo estasiante.
“Ok, andiamo.” – mi risponde socchiudendo un occhio e tirando.
“Mai fatto prima? Nuda in spiaggia, sesso in pubblico e via così?” – chiedo per segnarmi le features.
“No, zero. Topless una volta e scopato di notte in spiaggia un paio.”
“Spaventata dall'idea di domenica?”
“E deche? Di spogliarmi nuda? Non me ne frega un cazzo...” – incosciente, sorridente, avida di minchiate, ignara dei segaioli nudi che la godranno, che meraviglia.

Ma cosa me ne faccio di una donna alfa, quando posso sciacquettare merda con una ragazza omega?
Ci penserò.



lunedì 20 febbraio 2017

La felicità ed i suoi cieli


E allora capita e succede e l’uomo che vive col suo tempo e la performàns non deve certo essere schizzinoso, perché la dama è la dama, ed è pur vero che quanto detto può esser valido anche per gli scacchi, ma in questo caso lo scacco l’ho subito io e quindi, ella, dice che or si giuoca a dama, tenendo conto che, sì, gallina nuova fa le uova, ma pur sempre va sottolineato il fatto della broda e la Siusyzozza di broda ne sa qualcosa e, mentre ebbra di bevande insane e sostanze arcane assunte nel localozzo sozzo, si avvinghia come l’edera al corpo mio, per introdurmi nel cavo orale la assai ben nota lingua da bovide, le palpo quelle zinne zingare che non trovano mai casa, poiché la casa dov’è?, che di reggiseni ce ne guardiamo come dalla peste suina, che tanto abbiamo solo una quinta e il reggiseno, si sa, va messo dalla settima in poi.

**

Perizoma ingrigito ficcato nella bernarda opulenta e nella cula rizdora, la cinghiala della bassa si arrotola sul materasso ignudo della futura casa nuziale spoglia, per recuperare quella graziosa pipetta di vetro al cui interno ella stessa ha posto il materiale fissile ed accende la fiamma sotto la bizzarra sferetta aperta, dando un tirone e passandomela, per dedicarsi solerte alla suzione del Cotecone Imperiale di cui, ella stessa in auto, sfregandolo nel tentativo di farne uscire il Genio, mi ha confermato una nostalgia canaglia, di me amico nel bar, che chiunque che la fotte non sbaglia, che se gliela chiede poi tutto lei dà.

E zò.
Quella roba mi monta nella crania come un tram assassino che si proietta nella vetrina numero settantaquattro di centovetrine e il mio Ultracazzo le trapana la fregna sugosa e sguisciosa mentre lei sbrodola gemiti e grugniti e siamo fatti duri come due cardini settecenteschi e le abbranco le ingrassate natiche cellulitiche contemporanee e sbatto come uno sbattipanni kazako, guadagnando una porno logorrea che nemmeno Joe D’Amato e lei anche, magari più sgrammaticata, magari più povera nelle figure retoriche, ma assolutamente in sintonia con la sinfonia per fregna e cazzo in SiFaFaRe diretta dal Maestro Glandazio de Testicolis.

Non so scandire le fasi, è già tanto che scandisca le frasi, ma posso sintetizzare con un eloquente ficaculoficaboccaculoboccaculoculoculosborraboccalecca e sinché iò Buon Dio non è sceso a dire basta che non riusciva a dormire, tanta ne avevo e di più gliene ho data, rendendola felice e sorridente di quello stesso sorriso coglione che dovevo avere io, a botta fresca (e non mi riferisco alla monta).

Bentornato Tazio” muggisce la pezzata bionda in un afflato amoroso.
“Grazie Siusy, ma davvero ti sposi?” – “Sì, sono al settimo cielo!!”

Eco, amisgi che a flotte mi seguitte da cassa, questo è l’amoransgi, questa è la sinceritansgi, che comosione, che feliz navidad.
La vita è bellansgi.

Peccato che io non c’ho capito un cazzo.


lunedì 24 ottobre 2016

Manifesto della Maiala - appunti di filosofia srtrapazzata del cazzo

Rinnovare, rivalorizzare, porre sensi relativi in cui l’espressione vocata diviene massima e sublime ricerca della perfezione assoluta, cartesiana, oggettiva, ed è interessante come l’oggettività inserita nel relativismo divenga persino arte e, se un coglione semi analfabeta e sottoculturato come Bob Dylan accede al Nobel, il dolente, ma aperto, buco del culo della Siusy può meritare la copertina di Abitare, buio cunicolo dall’arrossata entrata, perfetta icona dell’architettura rupestre ora in crescente voga tra le persone scic e aptudeit.

Dekiergegaardizziamoci, come esortava Gadda, caliamoci nel piacere dell’esplorazione delle sozze viscere femminili, persino laggiù dove i miasmi possono raggiungere toni insopportabili, sopportiamoli come pegno dovuto al godere ed al piacere, sotterriamo gli imperativi assoluti, travolgiamo il pensiero kantiano e affondiamo la verga come fosse la spada dell’angelo dell’assoluto, riconoscenti ed in debito con colei che tanto gratuito godere ci concede, esaltiamola, non curiamoci di ciò che dice, ma veneriamo ciò che ci concede, amica di pari attitudini compresa, aggrovigliamoci, estendiamoci, purifichiamoci sfregando il glande ipertrofizzato contro le carni molli e odorose delle Muse del Sozzo, Sozzo che non deve depurarsi e divenire candore, ma deve essere isolato e ostentato come un diadema raro, raro come la Vocazione al Puttanesimo che rende la Virtù frigida essenza dei non talentuosi, che annullano e parificano minimizzando i massimi ed esaltando l’astensione ed il premio dell’aldilà, pur di non cimentarsi e confrontarsi col virtuosismo del talento vaginale che porta il premio in terra, tra le cosce di una Sunzona arrapata che dona l’assenza della coscienza meglio di una droga, droga che, peraltro, lei consuma a volontà ed a rischio.

Ancelle del Sozzo, Vestali della Sunzonia, dee immortali che tramandate il vostro verbo affascinando nuove adepte pronte ad immolare un’anonima fica privata al pubblico che, per più versi d’osservazione, ne gode decantandone doti di piacere assoluto, Dee dell’Immortalità dell’uomo cosciente e consapevole, voi, voi dee meritate schizzi di succo d’uomo e venerazione incontrastata.

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«Puttana sacrata alla notte, notte tu stessa; in te il creatore risplende di luce propria. Puttana, sei la salvezza. Dixi et salvavi animam meam»

Italo Tavolato

domenica 18 settembre 2016

Fama

Arrivo stimato per le ore diciannove zerozero zulu e alle diciannove zerouno zulu era qui, bella come il solleone, garbata, elegante, sexy, ma con modo, né troppo, né troppo poco, sandalo aperto nero con cinghie larghe incrociate sulle dita e cinturino dietro al tallone, zeppetta, tacco, pantalone blu a sigaretta, camicia bianca col collo rivoltato e scollata quel tanto da dichiarare un Canale di Suez a me ben noto sino allo sbocco panciale, coprispalla blu cobalto di cotone a maglia larga che fa vedere il bianco della camicia e coprire decentemente la cula, borsa nera a spalla un po’ demodé, ma di ottima fattura, capelli raccolti in uno chignon elaborato, occhiali da sole in testa,  RayBan, aviator, specchiati.
Si chiacchiera, ho l’erba, che dice la Kikka, ma niente solito, slinguo accurato, palpata di tette e poi via, nel mulinello sozzo della Padania Ex Rossa e Gaudente.

Inodore come materia inesistente, lecco i piedi e godo a metà, ma so aspettare e intanto mi assaporo il pompino che v’è da dire che li fa davvero bene e poi apri le gambe che ti impalo, esecuzione immediata, ficona bisteccona barbuta già zuppa e pronta all’impianto e io ficco e godo che è bollente e lei gode e le sbrodolo porcate su quel che ho fatto aspettandola, calcando la mano anche su mezze verità e lei sorride e gode ad occhi socchiusi e testa all’indietro e arriccia le dita dei piedi mentre viene, abbrancandomi come una pianta carnivora che non vuole mollare la preda, ma chi molla Antonerchia, chiavarti è un piacere che persino io non mi spiego.

Canna.
Amica erba che da tempo immemore non ti succhio più, fumosa, intossicante, appagante, rilassante, eccitante, non nociva, è quella del Virus, la riconosco a un chilometro, giaciamo, ha fatto le cannette a casa, ma che tesoro, sorride appagata come una Geisha pronta al suo Signore della Dinastia Minch.

“Facciamo un film porno?” chiedo passando lo spino annerito, dai profumi esotici “Ma neanche in sogno!” risponde ridendo e io incalzo “Ma dai, ma sai quanti cazzi rizzeresti?” – “Non mi interessa, a me basta far rizzare il tuo” e ripassa il cannino, giocando tenera con la minchia barzotta.
Cucio rapidissimo e penso che forse nemmeno il Fiume Porcone mai la vedrà in azione e, dopo breve fraseggio rammollito, assumo la notizia che mai e poi mai e poi mai è successo nemmeno che abbia preso il sole in topless, ad esclusione degli anni di acerbissima infanzia.

L’Antonella è una ragazza normale, nell’accezione più stimabile del termine, fa le corna, le piace tanto il cazzo di chi dice lei (poco quello del Sarti che alberga in passere casuali e diomeneliberi), ha fantasie porn driven (tra cui la pisciata, come noto) si masturba saltuariamente, possiede un vibratore base senza diavolerie, ma le piacciono di più le dita, non se lo fa mettere nel culo, non ha mai avuto esperienze lesbiche, ma forse con la donna “giusta” e un stato di modesta alterazione potrebbe cedere per sola prova, dove per donna “giusta” intendesi una trentacinque-quarantenne molto, ma molto fitness, coi muscoli, ma no culturista, scura di pelle, abbronzata, tette piccolissime, capelli cortissimi, tutta depilata e molto decisa che fa tutto lei, insomma si definisce una “bi-curious” (sua definizione porn style, ma per fortuna ride), guarda i porno, specialmente da sola, certamente saltuariamente, ma non li usa preterintenzionalmente per masturbarsi, bandisce il sesso nei giorni di lavoro poiché deconcentra (dice), non le piace il cazzo nero, non è felice, non è soddisfatta della sua vita, beve troppo (vero) e adora le canne perché le mettono voglia.

“E te vai fuori di testa per i piedi” dice guardandomi sorridente di tre quarti “Eh sì, ebbene sì” ammetto con facilità, falciato da un “Lo sapevo da prima prima” – “Ah sì?” dico io con finto stupore “Lo sanno tutte” risponde felice, girandosi per prendermi la minchia tra i piedi e cominciare a segarmi.

La mia fama mi precede.
Divinamente noto.
Mi amo.



venerdì 29 maggio 2015

Le serate della pozzanghera

Una si chiama Sara, una si chiama Maya, una viene da qui vicino e una pure, anche se nello specifico lavora a Roma, una l’ho conosciuta e strachiavata il giorno del miatroiamonio e una l’ho appena conosciuta, quella che conosco carnalmente stavolta è vestita da freakettona e non porta il reggiseno sotto la t-shirt, nonostante le mammellone dondolanti e duramente appuntite, quella che ho appena conosciuto è vestita da freakettona e non porta il reggiseno a ragion veduta delle contenute mammellette. Tutti e tre siamo uniti da un comune interesse che si snoda da seduti sul Divindivano, a strafarci di una tonnellata di squisita erba additivata chimicamente portata dalla Sara e fumata dal mio bong estasiante, che ogni tanto subisce una sega mimata dalla Sara stessa che emette anche degli scimmiottati “aaaah” da pornoporca a bocca aperta e sorridente.

“Oh Taz, ma sai che stamattina a pausa caffè mi sono beccata la cazziatona dalla Nadia per essermene andata con te dal matrimonio?”.
Ma non ci posso credere che sia arrivata a tanto e poi quello pazzo sono io eh?
”E Perché?” – chiedo - “Mi fa ‘oh vè madamina, và che sei stata invitata per stare alla festa, non per andare a chiavare  col primo stronzo che capitava’ “ e ride come una matta e ha ragione, lei che non le girano i coglioni.

“Ma è fuori ‘sta tipa” - chiede molle la Maya – “E’ fuori da delirio, da legare, forse anche da sopprimere, anzi da sopprimere assieme a tutti i suoi amici/adepti” – rispondo garbatamente.
“Sì ma io le ho detto” – continua la Sara – “ ‘Oh ma te c’hai idea di che due coglioni mi stavo facendo alla tua cazzo di festa di merda, visto dove mi hai messa a sedere? Ti serviva almeno una figa per far numero a quel tavolo di sfigati come il male eh? ” e cade su un fianco ridendo, mentre io credo che, se questa è la  verità, ciò abbia un tantino incrinato la stupenda amicizia che c’era tra le due.

Le ascelle nude e lisce della Maya, che fanno capolino dal gilet con gli specchietti,  profumano di ormoni selvatici e sudore e ‘sta rossa scarmigliata, pallida, con quel tatuaggio sul polso e i piedi sporchi di scalzitudine, con le unghie lunghe da zingara porca (e sporca), mi arrapa a bestia e fumiamo, fumiamo, che sembra che siano andati a fuoco dei copertoni nella stanza.

“Forse ha bisogno di una bella pacca di cazzo nero duro nel culo” sentenzia con criterio assennato la arredatrice scarmigliata prestata alla Capitale, passandomi il bong da accendere.
“Forse anche due, tutti e due nel culo” ridacchia la Sara di rimando.

Ma tu guarda che bel terzetto che componiamo, così, senza preavvisi e preparazioni.
Le vecchie care cose genuine di un tempo, piene di spontaneità giovanile, che superano e suonano alla porta proprio quando la Lidia c’aveva un noiosissimo “malditestaaaaaaa che non ti dico neanche…” di matura fattura adulta e poi la presenza dell’erbazzone superbo additivato che favorisce la socialità  e che fa perdere anche la timidezza, aiuta ed arreda e, così, mi ritrovo spontaneo ad aver messo il cazzo mezzo barzotto tra i piedi lerci della Maya che si lascia fare rammollita, mentre la Sara si toglie la maglietta (che caldo è caldo eh, ci sono quattordici gradi fuori eh) e trita rapida una pistina di borotalco magico e poi la fa scomparire *puf* in una nasatona da prestigiatrice con le tette nude che mi mette allegria rampazza alla fava rampolla, che si allunga importante tra le piante dei piedi della strafatta Rossa che commenta seria le mie dimensioni con un “minchia...” appena sussurrato e poi tutto comincia, finalmentevogliaddio, a degenerare.

La bocca della Sara parte d’improvviso leccando cazzo e dita dei piedi dell'amica sporca, senza favoristismi, mentre la Rossa collabora scorrendo le dita luride lungo la canna, confidando all’amica “E’ da una vita che non prendo il cazzo” ed io mi sbottono la camicia rimanendo a petto nudo “Mmmmh che bello che sei figone mio”, commenta sempre la Rossa, mentre io mi scompongo giusto per lasciar scivolare pantaloni e mutande sul pavimento di legno antico e vissuto e la Sara mi sega con la sinistra e mi entra con due dita nell buco del culo con la destra e le mammellette della Rossa fanno d’improvviso il loro bel debutto, coi capezzolini piccoli e rosa, duri che sembrano lamponi pallidi e mi slingua bovina, mentre si libera in un guizzo dei pantaloni di stile orientale sotto i quali, ovviamente, non indossa antiestetiche mutande che possano distorcere l’arte del folto triangolo pel di carota, che così bello e compatto si staglia sulla sua pelle candida.

Che bella serata, accidenti.
Il bong si riaccende fumoso mentre la bocca della Sara porta a durezza d’esercizio il Cazzo Maestrale Gonfio nelle Vene di Bolina e la Rossa mi passa il tubo di vetro dedicandosi a succhiarmi i coglioni sino quasi a staccarmeli, come se sapesse che i succhioni dolorosi fatti così mi portano all’estasi e io fumo e passo alla Sara che siede per accendere e io scorro le dita tra le chiappe magre della Rossa, cercandole il buco del culo, mentre lei spompina con compulsione degna di Stravinskij ed è tutta pura armonia coreografica, come nelle migliori performance di Moses Pendleton.

Bella la Rossa di schiena a gambe spalancate, con la Sara che le spalanca senza riguardi la fica bagnata, sputandovi in mezzo rumorosa, lasciando un sottile filo di bava densa che fa da ponte tibetano tra un labbro e l’altro. Ma che bello essere guidato dalla mano della stessa Sara ad imboccare quel nero buco viscido e slabbrato per entrarvi imponente, insolente e prepotente, mentre la Rossa inarca la schiena a occhi chiusi sibilando “cazzo” e l’amica Sara la corregge sorridendole suina, stringendole le guance, facendole aprire la bocca per sputarle dentro, dicendole “porcoddio devi dire troia…”  ed io sollevo le gambe della Rossa sino ad appoggiarmele sulle spalle, estasiato del puzzo intenso dei suoi piedi freak e la Sara si accomoda a sedere sulla sua bocca, rivolta verso di me, cercando la mia lingua, leccando con me quelle dita con le lunghe unghie gialle da zingara sensuale, ondeggiando il bacino per sentire ed apprezzare meglio il lavoro di bocca che l’amica le sta facendo ed io adorerei sentire il tintinnio di una pisciata in quella bocca aperta e leccante, ma a vi sarà un tempo per tutto.

Che tettone la Sara, che meraviglia elongarle i capezzoli con un pizzico mentre lei aspira aria tra i denti bestemmiando laida ad occhi chiusi senza smettere di ondeggiare, stringendo le mani intrecciate dietro al mio collo, gaudente di dolore e piacere, bella come solo una puttana orientale sa essere.
Chiavare fumati, delizia delle delizie, in un triangolo osceno senza limiti, avvolti dall’odore sudato dei nostri corpi, provando posizioni e cambi, dalla Rossa alla Sara, dal culo della Sara alla bocca aspirante e suggente della Rossa, come nei pornazzi di serie D di fattura americana, sborrando sui peli di una e godendo della lingua dell’altra che ripulisce famelica le tracce del mio seme di maschio, il bong che si riaccende, le pistine magiche che si ricompongono e poi scompaiono ad opera delle maghelle simpaticissime e la serata va, felice, serena, molle, mentre la Rossa mi lavora da Maestra di Lingua Anale il buco del culo e la Sara si ingozza di cazzo fino a barrire eleganti rutti e conati di vomito, girandosi con uno scatto improvviso per riprendere la minchia nella fica bollente e poi bong e poi talco e sborra e fica su fica a sfregare assatanate e poi sessantanove lesbo e buchi del culo da esplorare e bong e coca e poi la Caporetto, la fine, la disfatta, la resa, lo svacco, il silenzio, i respiri, corpi abbandonati come coreografici pupazzi irridenti la selvaggia sessualità dianzi consumata.

***
“Cosa fai ‘sto ponte?” mi chiede anestetizzata la Sara.
“Boh, penso che non farò un cazzo, non so” rispondo pensando in un lampo alla Lidia e all’Oki.
“Noi andiamo a sfasciarci a Ibiza di una montagna di roba e di sesso” grugnisce la Rossa tracciando un arco con la mano nell’aria a rappresentare la montagna di roba che si faranno. “Vieni con noi che ci spacchiamo di brutto e chiaviamo tutto il giorno”.

Mah. Il progetto non è da buttare, a dire il vero.
Penso all’inquietante e golosa situazione isolana, ma poi rifletto e torno in me.
Mi parlo da amico e mi ricordo che sono appena tornato a scivolare nella pozzanghera torbida con donne vuote e, quindi, devo uscirne per non buttarmi via ed estinguermi, come dice la Lidia.
Era più o meno così, vero?
E comunque c’è poco da trafficare, se lo dice la Lidia (che ha studiato), sarà vero.
Ma è vero di sicuro, dai.
No?
Ma sì, dai, è vero.
O no?
Boh.
Ma cosa, poi?