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martedì 9 ottobre 2012

L'apericena della Chanel messicana

Pòppòpppòpppò. Bah.
"Ciao Tazio, come stai? Tutto bene? Senti Tazio ti chiamavo perché sono giorni che ci penso e, insomma, magari t'ho lasciato una brutta impressione, cioè, nel senso che quando ti ho chiesto se c'avevi qualcuna, insomma, voglio dire, non è un problema ecco, sappilo, sono solo rimasta stupita che non me l'avessi detto eh, tutto lì, non vorrei che avessi pensato "ma guarda 'sta stronza, ma cosa s'è messa in testa? Che ci sposiamo?" ha-ha-ha-ha-ha, perché voglio dire, siam grandi tutti e due e magari con quelle parole potevo sembrare una diciottenne e mi scuso se è passato questo messaggio […]"
   
Passato questo messaggio. Io odio questo modo di dire. E' passato il messaggio. Ma da dove a dove e per opera di chi? Escluderei che il messaggio abbia una propria autonomia del tipo "Vè chi ghè, il messaggio, ciao messaggio!! Ah che dispiacere è già passato". Che poi, cazzo, a me a parlar di messaggi mi viene in mente Sherwood e Robin Hood che li attaccava alla freccia e poi zanf. Certo che se beccava qualcuno con quelle freccione, il messaggio passava di sicuro, ma da parte a parte.

Prescindendo.
Lei non intendeva di certo, ci mancherebbe, siamo adulti, uno dei due è pure adulto e adultero, ma sia mai che la vado a fraintendere per l'amordidiodelcielo, meglio chiarirle subito 'ste cose.
Emy, Emy. Pòppòpppòpppò. Bah.

Sei fresca e credibile come la fotocopia in bianco e nero di una banconota da ventisette euro e cinquantadue centesimi, solo fronte e niente retro, ma mentre penso la parola "retro" la vedo per un attimo con le mani sul muro, nuda e bendata, coi piedini scalzi sul pavimento deprimente e il buchino festoso che fa capolino tra le marmoree chiappette e vengo assalito dalla sindrome di Stendhal, ma per fortuna lei parla a mitraglia, evidentemente in imbarazzo per quella stentata e improbabile manovra di riaggancio alla nave madre che ha lasciato la trombosfera ai limiti della galassia Ptero4-sigmanove, ma poi mi balena nei monitor della sala controllo cosa quella stessa bocca è in grado di fare e sento che suonano alla porta, apro che era Stendhal con dei pacchi e del da firmare, che chiedo cos'è e lui mi dice "altre sei sindromi fresche che vedrai che ti van via, con sta telefonatella, coglionazzo".

"Parlando d'altro, ci sei stato al messicano nuovo che hanno aperto a Domiziopoli? Ci son stata domenica sera e devo dire veramente bravi, veramente, che si sente eh, c'è poco da fare, si sente subito che il cuoco è messicano messicano"
"Messicano messicano di dove esattamente?" chiedo, poichè se lo si sente subito che è messicano messicano, si saprà con certezza da dove viene. Cioè voglio dire, da dove lo si sente con matematica certezza che è messicano messicano e non, ad esempio, della California di Altamira, voglio dire, se mi dici che si sente saprai anche dove abita.

"Eh non lo so di dove, però è messicano e si sente, ti giuro" 
"Come non lo sai. E da dove si sente che è messicano messicano allora?"
chiedo non potendo resistere alla sindrome di gnégnégné come l'ha battezzata la Skizza.

"No, nel senso che il cibo è fantastico che solo un messicano lo può fare così, ecco, dicevo quello" ma la risposta riparatrice peggiora la situazione perché assume aprioristicamente che basti essere messicano per fare dell'ottimo cibo messicano, che non regge, perchè, per dire, spostando l'attenzione a casa nostra mica basta dire che il cuoco è italiano per aver garanzia del cibo, voglio dire, facciamo l'esempio del Costa che è italiano e pure terrone, sigillo di garanzia di cose sublimi, ma valla a mangiare una pasta asciutta da lui e vedi cosa vuol dire la disperazione.

"Solo un messicano bravo a cucinare, direi. Perché il punto è che il cuoco sappia cuocare più che la sua nascita, direi. Te la ricordi la pasta del Costa, vero? No, dico, quello è italiano, ma non mi pare che produca della gran poesia made in italy, direi"
"Beh sì certo, certo, è un gran cuoco bravo"

"Allora diciamo che quel che si sente non è che è messicano messicano, ma che è un cuoco bravo a cucinare il messicano, che pure se viene da Reykjavik va bene uguale, direi" 
"Beh sì certo, certo, comunque non ci sei stato, giusto?"

"Eh no Emy, perchè devi sapere che se io mangio messicano devo girare con un'ancora legata alla vita, perché da quanto mi fa scoreggiare vi è del caso che decollo e vengo portato dal vento chissà dove"

Risata folle, benedetta occasione di una risata liberatoria che abbassi la molto alta tensione nervosa.
Emy, Emy, Emy. Pòppòpppòpppò. Bah.

"Tazioooooooooooooooooooooo!!!!! Ma cosa diciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!"
"La verità dolce Emy, che anche tu, come tutti gli esseri umani viventi, stanotte dopo il messicano hai mollato le tue belle ranze e non mi dire di no"
"Taziooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!!"
"Comunque senti, mascalzone, volevo dirti, se stasera non hai impegni, io c'ho la pedicure alle sette e poi se vuoi ci facciamo un'apericena al Centrale, tranquilli e scialli"

Allora.
Cerchiamo di intenderci.
Apericena non la posso reggere.
Posso reggere il messaggio che passa, ma l'apericena no. No.

"Cos'è che ci facciamo al Centrale, scusa che non ho capito?" chiedo in fase di irreversibile alterazione.
"Hahahahahaha massì dai, un aperitivo con tutte le robette, dai!!".

Cioé, lo sai che stai stuprando la lingua italiana e, nonostante ciò la stupri, ma purtroppo l'avvicinamento delle parole "lingua" e "stupro" mi spingono a scartare un paio di sindromi di Stendhal, ma mentre cerco le forbici, mi zompa alla mente che, prima della stortura udita, avevo udito risuonare celeste il lemma d'oltralpe "pedicure" ed allora le scarto tutte e alla fine esordisco con un cupo e maschio: "Di che colore lo fai mettere lo smalto dalla pedicure?".
Sapete cos'è un silenzio sorridente, al telefono? Ecco, lei ne aveva uno sulle labbra.

"Scegli e io metto"
"Rouge Noir Chanel"
"Mani e piedi?"
"Mani e piedi"
"Buongustaio"
"Alle otto ci vediamo là"
"Ok, a dopo"

L'aracnide ha raggiunto la larva di mosca per dirle, non mordo, non mangio, tranquillo ed intanto ha tessuto la tela infagottando la coglionissima larva di mosca che, Emy, Emy, la banconota, sei incredibile, pòppòpppòpppò e bah e finisce a scegliere il colore dello smalto con cui, l'aracnide furba, si farà chiavare alla morte e tu Tazio, come ho avuto diffusa occasione di dirti, sei uno sterminato coglione.
Bella figa la Emy, però.
Almeno quello, cazzomerda.

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