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venerdì 2 settembre 2016

La saggezza dell'erpice

Bonjour.
Eccomi al pezzo (per dire) dopo i miei canonici quarantacinque minuti di auto, che nella fattispecie odierna sono divenuti sessantasette causa incidente e lavori in corso.
Eccomi reduce da una serata Concettiana nella quale (bontà sua, da un depravato verso) sono stato edotto sulle potenzialità mediche che offriva l’ospedalità italiana in luogo di quella britannica. Discorso irritante ed ozioso, data la mia guarigione ad opera dei medici oltre manica e data la mia assoluta ritrosia ad affidarmi alla sudaticcia corsia di un ospedale pubblico italiano, motivo per cui ho scelto le infermiere con le gambe di bianco gesso ed una stanza singola, con i comfort che si confanno ad un farabutto par mio.

E’ venerdì e dovrei essere felice per non dovermi sorbire, domani, gli ottanta chilometri totali giornalieri. Dovrei essere felice di non vedere la fazza del capo e le sue merdose cazzate da pseudo team leader, dovrei essere felice di approssimarmi ad un week end di riposo.

E invece no. Invece ho lo scazzo alle stelle, l’umore alle stalle, la malinconia dei tempi “sbagliati”, nei quali domani si sarebbe pranzato alla Solita, scaldando i motori per un week end “sbagliato”, ma così tanto mio, così fulgidamente e sozzamente taziale.
Sono una molecola che si è staccata dal suo macro organismo e galleggia nel nulla non suo, pronta a spese nei supermercati affollati dove le dita dei piedi passano in un terzo o quarto piano nel quale la loro presenza copiosa non è nemmeno notata.

Piatto, supino, vegetale, trasportato dalla corrente. Non ricordo chi diceva che chi si fa trasportare dalla corrente è solo il pesce, ma quando è morto. Vero. E’ così. Conterò le ore che mi separano dalla fine del week end per passare allo scazzo imperiale numero due. Oscillo tra gli scazzi, comincio ad abituarmici, non c’è remissione della pena, non c’è salvezza.

Placo per un attimo questo entusiasmo e mi metto a lavorare.
Chissà che tra le parole sussurrate dal colto erpice a denti dritti io possa trovare la fiammella che illumina le tenebre di quest’esistenza in prestito.

A dopo, forse.

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