E’ facile riuscirci se lo si decide, perché qui le cose non cambiano mai e poi mai e allora basta che te lo ricordi e ti attrezzi e tac, l’è bela che fata.
“Ohi Umbe!” – “Tazio! At gnis, ma dove eri finito?”
Dietro le finestre Umbe, che lo sai benissimo, che lo sapete tutti, ma mi evitate, perché io sono come la pellagra, lo scorbuto, la peste, che dove passo ungo, ammorbo, devio, degenero, ma anche decognato, desuocero e desudicio, vi schifo, vi indigno, ma poi vi roteo come clave, come palle, come arance quand’è stagione, vi acrobato e vi giocolo e voi ci cascate con tutte le scarpe, che va bè che con l’Umbe è come rubare in chiesa, ma in meno di un’ora so tutto, tutto di tutti, tutto al quadrato, al cubo, alla sfera e alla piramide, egizia e sarcazzia e allora con profilo basso e dimesso ravano, rimescolo, smanazzo, titillo e scappello, spalmo la formaggella sul glande come faceva mammina da piccola, quella troia uccellaia e gluc gluc, l’Umbe cola sugna gustosa da annusare per schifare in soddisfatta compagnia, come quando si scorreggia e si annusa per poi fare la faccia strizzata che dir che è buona non si può, è vietato.
In realtà non mi interessava sapere che del Costa notizie non se ne hanno, che il Loca vive a Varese e ha una morosa, che il Max è incupito da che si è sposato con quella maiala e non lo si vede più, che il Virus, che la mazza, che la strazza.
Io volevo sapere del Sa-aarti e dell’Anto.
Sono ancora assieme, benissimo.
Moltissimo benissimo.
La linfa melmosa risale per le tubature del mio corpo e mi sento travolgere da una voglia sozza che mi fa sentire nudo e sensuale come una puttanella che, per acerba sensualità prova, va dal fornaio senza mutandine sotto la gonna e si eccita fradicia, ecco sì che pensiero lurido e morbosamente attraente e cammino lento verso la mia ristrutturatissima magione, dopo aver abbracciato e promesso improbabili pranzi e cene all’Umbe e sento la minchia che pulsa, che preme l’orlo delle mutande sulla gamba perché vuole sgusciare, vuole uscire felice a gridare di gioia, sapendo che l’Umbe come carta carbone riporterà l’incontro, magari anche con l’Antonella presente, che saprà che riesisto, che pulso, che bramo un incontro in notturna sugli scalini dell’umore genitale dove potrò toccarle le nuda dita dei piedi e mi smanetto come un ossesso in cucina, schizzando come una seppia sul ripiano nobilitato in finto legno doussie e godo come una salamandra al sole, come la penna a forma di fiore nel culo della Skiz londinese, ebbro dell’aver svegliato la coda rattrappita del Taziosauro e percepisco la clinica necessità di chetarmi con la Chimicamica, pena la veglia, pena un cazzo, ma ho bisogno di farmi e di sballare e così stasera esagererò, cadendo nel letargo rinvigorito da quel sottile filo di lana che, d’incanto, mi rende sopportabile tutto, tutto, anche la Concia Concetta Fibbianzata a Strozzo che domani ritorna dalle terre natie.
Fiato di vita che mi alimenta la speranza che le cose così vadano.
E devo farmi un’altra sega, scusatemi.
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