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venerdì 22 marzo 2013

Il frastuono dell'incudine che piomba sul pavimento

Ci vuole calma, moltamoltamoltamoltamoltissima calma. Calma e ordine.
Per cui parto dall'inizio.
Con calma. Quindi, se il post diventerà lungo, vi supplico genuflesso di leggerlo, perchè ho bisogno che mi siate vicini più che mai.
Ah, e vi supplico genuflesso anche di esprimervi, non siate timidi, sono Tazio, la vostra fidanzata di sempre.

Ok.
Calma.
E ordine.

Ieri sera.
Mi attardo un pochino con Hammed che mi chiede quanto tempo conto di stare e io gli dico che chi mi paga mi pagherebbe anche un appartamento, volendo, ma che io mi trovo bene nel clima del suo albergo: contatti umani, vita che passa, facce, storie, misteri, fascino e poi tutto pronto, pulito, lavato e poi lui è un vero amico e lui mi stringe la mano e mi chiede approssimativamente quanto durerà il lavoro a Parigi e io non so onestamente cosa rispondere, poi lui mi aiuta e mi chiede se un mese ci starò e io dico un mese di sicuro, ma probabilmente molto di più e allora ci accordiamo: prezzo di favore e, questo week end, appena si libera, mi trasferisce al piano di sopra dove c'è una camera più grande e mi chiede che cosa ci vorrei dentro a parte la Bertille on demand e io chiedo una macchina del caffè americano, una tv 46" col satellite e un vero frigo e lui dice che si può fare, ci stringiamo la mano e vado a mangiare un boccone e, per cambiare, per conoscere, per vedere la Ville Lumiere, vado al Solito Bistrot.
E fin qui credo che le informazioni sian complete e chiare.

Al Solito Bistrot festeggiavano un compleanno dei ragazzi e c'era un casino che nemmeno ve lo immaginate, la Musona era isterica, un tavolino per me non c'era ed allora, umanamente comprensivo e acusticamente intollerante, la fermo dicendo di non preoccuparsi, che o passavo dopo, o ci vedevamo un'altra volta e lei, esprimendo per la prima volta un sentimento umano confidenziale verso di me, ha alzato gli occhi al cielo sbuffando di sofferenza e mi ha mormorato "merci mon ami" e se ne è andata con piatti e bicchieri in mezzo alla bolgia.
E anche sin qui mi pare che tutto sia stato, ordinatamente, comprensibile.

L'occasione per vedere, per esplorare, per capire la grande metropoli era ghiotta e così ho attraversato la strada e sono andato al bistrot di fronte, dove il clima era assai più tranquillo e il rumore decisamente più contenuto. Un bel ragazzo magrebino, magro e sensualissimo mi ha fatto accomodare, gentilissimo, ed io mi sono accomodato a consultare la carta, scegliendo una supreme de canard che è ciò che mangio incessantemente causa pigrizia mentale.
Mangio e bevo, prendo un caffè, prendo un bourbon guardando la televisione nel maxi schermo e rifletto che questa inesistente primavera parigina mi si confà un bel po', un bel po', come direbbe Epifanio Albanese.
E sin qui mi sento di dire che tutto fila come l'olio.

Poi, a un tratto, il destino si compie.
Ad un tavolo di distanza vengono fatte accomodare tre ragazze, di palese etnia differente. Due occidentali, una addirittura bionda. Una no.
Quella di evidente etnia non occidentale era, a mio blasfemo avviso, di una bellezza pari a quella che deve aver posseduto Nostra Signora Madre di Dio.
Mediorientale, capelli neri lucidissimi, ondulati, carnagione olivastra, una bocca a cuore con una fossetta separatrice delle labbra superiori appuntita e  deliziosa, uno sguardo mollemente incantevole, una grazia ed una dolcezza ammalianti, una bellezza superba che io, ignorante come una bestia, ho frettolosamente attribuito ad una Dea Indiana.
Non sono riuscito a staccarle gli occhi di dosso, ogni cosa di lei mi faceva sognare, persino il tintinnio del suo esagerato mazzo di braccialetti, persino il color prugna del maglioncino che lasciava sfuggire la spalla nuda, persino la morfologia dell'epifisi prossimale dell'omero, erano estasianti.

E poi, d'improvviso, il suo sguardo si è volto verso di me incontrando il mio.
Bum.
Io ero in uno stato di ipnosi perchè, amici adorati, dovete credermi, quella giovane donna è di una bellezza ammutolente e metafisica. O patafisica, come direbbe un mio Maestro Indiscusso.
Lei invece era in uno stato di divertimento circense, nell'osservarmi in adorazione mistica.
E mentre le occidentali parlavano fittofittofittofittofittofitto, io mandavo messaggi telepatici cifrati che dicevano che venivo in pace e volevo diventare fratello del suo popolo alieno. E lei mi lanciava dardi neri di bagliori esotici e sorrisi che io VOLEVO fossero sorrisi di cosmici messaggi telepatici in cui lei, in qualità di Regina delle Dee, mi comunicava che assieme al suo popolo intergalattico della bellezza ultraterrena, accettava la visita di pace dell'Umano.

Il problema si poneva con urgenza, a quel punto. Le dame avevano bevuto e probabilmente se ne sarebbero andate.
Il terrore serpeggiava nelle mie articolazioni.
Se se ne va, dove la ribecco, io, la Regina Leyla? Dove?
Ed allora ho affidato il buon esito della missione a quella che è, sicuramente, la migliore delle mie caratteristiche: la coglionaggine.
Ho iniziato a guardarla e a segnalarle quanto parlassero le sue amiche con l'aiuto della buonanima di Marcel Marceau, ora mio Santo Patrono, usando le mani per mimare il becco d'anitra alzando contemporaneamente gli occhi al cielo e le ho strappato un sorriso che ha celato dietro la mano. SI'! VAI TAZIETTI!
Ciò ha dato, ovviamente, la stura alla mia idiozia più spessa e compatta, quella che mi ha consentito, mimando, di dirle che mi sarebbe mortalmente piaciuto bere qualcosa con lei, dopo, e che sarei morto se lei se ne fosse andata ed io non avessi mai più potuto rivederla e ha funzionato.
Ha funzionato al punto che non solo lei ha capito, ma anche mezzo bistrot, che a momenti si alzava e batteva le mani a ritmo di incitamento calcistico.
Le uniche ignare erano le occidentali, meglio.

Il tempo scorreva impietoso e la situazione stallava, ma poi, a un punto miracoloso della serata, la Regina ha chiesto scusa alle amiche e si è alzata per andare al bagno ed il Tazimede Pitagorico ha capito, ha colto, ha apprezzato ed ha materializzato, ha investito, introitato e rivenduto l'occasione, seguendola, attendendola fuori dal bagno delle signore con una nonscialans imperturbabile ed ineguagliabile.

Sadi.
Si chiama Sadi. Non è iperbolicamente stupendo questo nome? Non è musicalmente catartico? Sadi. Non è epiletticamente evocativo di imperi orientali?
Sadi.

Il mio francese ha subito un crollo verticale. Un dramma. Un balbettare da sfigato, che ho ripreso prima che toccasse il suolo, l'ho agguantato, placcato, come nemmeno il mitologico Castro saprebbe fare, l'ho aperto, lanciato, spinto in un passaggio alla mano verso un inglese che la Regina Sadi ha colto, chiedendomi da dove vengo.

Italiano, sono italiano, se mai qualcosa avesse lasciato un dubbio.
Ride.
Sono simpatico.
Me lo dice con una voce per cui vale la pena di morire.
Anche tu sei simpatica, dico con una voce per cui vorrei morire.
Da che pianeta vieni, Regina Sadi? chiedo senza nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi.

Complicato, risponde. Sono di famiglia pakistana, ma ho vissuto e studiato a Londra, quindi a tutti gli effetti sono britannica.
Ma che britannica, Sadi. Mica son fatti così, fidati. E lei ride, con quei denti extraterrestri.
Pakistan.
Pakistana.
Paki.

Voglio farti capire, Sadi, in breve, in sintesi, che io vorrei chiacchierare con te, non vorrei perderti di vista, diamine che difficile che è, non so come spiegarmi, sto facendo la figura dell'idiota, devi scusarmi, non vorrei che tu fraintendessi, ma ci sono delle cose che e mi blocca.
Aveva capito.
Benissimo, anche a gesti.
E sì, valeva anche per lei e mi scrive un numero di cellulare su una salvietta e questa cosa è un desgiavù, ma al livello successivo del videogame.
Loro vanno a letto presto che domattina devono svegliarsi all'alba.
Chiamami, Tazee-oh, chiamami ora, che memorizzo.
Certo Sadi.
Chiamo.
Memorizza.
Memorizzo.

***

Non è più quel tavolo, non c'è più quella gente, è passato del tempo, ore credo, ma sono lì a godermi il tintinnio dei suoi bracciali paradossali, mentre le amiche blahblah sono state deportate e verranno saponificate nel sonno degli indaffarati.
Chi sei Ta-zee-oh? Raccontami. Eccomi Sadi, sono questo. Cioè, sono quasi questo, qualcosa te lo risparmio. E tu chi sei?
Trent'anni, mamma e papà medici pakistani che lavorano a Londra, lei laurea a Londra in legge, "prestata" alla Sorbonne per un lavoro di ricerca.
Sei una secchiona allora? Anche, ma non solo, fidati.
Mi fido.
Mi fido eccome.

E sul fare dell'una, mentre tentavo vanamente di esprimere un concetto, tenendo alta la guardia, Sadi mi bacia.
A me.
A Tazio.
Bacia me, le mie labbra, le labbra di Tazio, capite?
Bum. Bumbumbumbum.
Limoniamo come due quattordicenni al cinema. Ed è semplicemente estasiante. Divino, come me. Macchè come me, come lei.
Poi il bistrot chiude.
Vuoi venire da me, Sadi? Ho del Jack Daniel's in camera. Il mio albergo è qui all'angolo.
Mai assaggiato il JayDee, ok. E sorride.

***
Capelli sparsi sul collo profumato, percorso da quella vena in rilievo, collo che si perde e si fonde con la clavicola erotica che conduce alla curva perfetta del seno globoso, turgido ed eretto, sul quale magnifiche areole grigio marroni si stemperano acquerellate nel tono di una pelle incantevole, capezzoli grossi come ditali svettano nel mezzo, mostrando la croce di un buchino da cui un nuovo essere, un Eletto, verrà nutrito, sfumature scure si sommano alle ombre della luce, seguendo fianchi generosi, una pancia mossa da appena accennate curve sensuali, sensuali di maternità erotica e incestuosa, nelle quali affonda il profondo ombelico odoroso, violato da un doloroso ed eccitante anellino d'oro, ombelico dal quale si diparte il colore inscurito di un'ipotetica linea cutanea che corre sino al carnoso pube, liscio, glabro, morbido, dal quale sporge il clitoride roseo incorniciato dal cappuccio scurissimo e poi le scurissime labbra stropicciate e materiche, il buco dilatato e rosato e luccicante e il perineo percorso da una delicata cresta cutanea che si erige millimetrica tra pori macchiati di tinte più chiare e l'ano appiattito, quasi nero, schiuso d'eccitazione, le natiche sode e vellutate e le cosce morbide e profumate e poi i polpacci torniti e le caviglie e la catenina di piccole palline d'oro e le vene sul collo del piede e le dita sublimi, le più belle del mondo, con le unghie mistiche tinte di smalto rosa perlato che decretano, con l'assoluta incontrovertibilità dell'evidenza, che Sami ha i piedi più belli del globo terracqueo, i piedi più superbi e ipnotici che le mie maniache pupille abbiano mai visto.

Devi godere, mia Padrona, non mi importa di me, ma solo di te, voglio che esplodi di piacere mai provato prima, voglio che le vette dell'orgasmo ti squassino fino a farti vacillare la fede, voglio che lecchi la fica dell'estasi godendo, voglio che capisci il senso della vita intesa come essere vivi e corporali, voglio che la felicità sprizzi da ogni tuo ganglio nervoso così come dalla tua Vagina sprizza esotico profumo di Patchouli, poichè ogni mio ganglio nervoso gode assai più dell'orgasmo nell'odorarti, nell'assaggiarti, nel guardare empatico e partecipe le trasfigurazioni che il tuo volto assume mentre il mio corpo si tende, ben oltre ciò che la natura e il tempo gli consentono, al fine di darti quell'estasi divina che meriti e che un semplice umano come me DEVE donarti.

***

Per la prima volta, comprendo il verso di una canzone.
"Abbandonati come se, come se non ci fosse più, niente più niente al mondo".
Dormi.
E' mattina.
Sono le cinque e trentasette.
In strada la vita è morta e tu, nel mio letto, sei mozzafiato.
Vorrei fumare la sigaretta che, fortunatamente, non ho.

***

Sono terrorizzato.
E mostruosamente vivo.

1 commento:

  1. Ciao, fidanzata. Era ora ;)

    B

    ..e io continuo a suonare il sax, perciò è tutto incredibilmente perfetto.

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