E siede accavallando elegante le gambe nei jeans e la pelle e cristoddio allora dillo, le ballerine nere senza calze e sopra un felpone blu con sotto non si capisce cosa e armeggia coi capelli sguainandoli ora a destra, ora a manca, ma cosa fai dibbello, le chiedo escludendo che faccia la gommista, ma ho appena finito il linguistico (ma che bel liceazzo rampazzo) e adesso non so, penso che per un anno provo a guardarmi attorno e poi al limite mi iscrivo a lingue orientali, le migliori, chioso con serietà improbabile, ma senti, ma allora tu quantannicciai adesso?, diciannove, faccio i venti a marzo.
Diciannove.
Santa Madre Teresa di Gallura, Tazio, ha diciannove anni, spegni quel porno che hai in testa che arrivano i gendarmi con i pennacchi e con le armi, ma poi si sa, i porno li si devono guardare fino alla fine che altrimenti non capisci un cazzo di chi era l’assassino e allora dai, altri due americani, e tu che fai di bello Tazio?, ma ho appena finito di intonacare il linguistico e adesso non so, penso che per un anno provo a girarmi dattorno e poi al limite scrivo sui muri di lingue orientali che magari l’anno prossimo me li fanno intonacare e si ride, ma lei ride di cuore, mi piace.
Bella non è bella, ma è di quel bruttino che a me mi mette il Tabasco sulla cappella, perché il culino è un capolavorino, col jeans ficcatissimo inside da perizoma odoroso, la figura è asciutta, slanciata, elegante, anche come cammina per andare a far la pipì e poi è senza calze vivagesùnomineddio.
Poi torna, deorinata con sperpero, col viso scuro, il telefonino in mano: l’amica l’ha orrendamente tradita per andare a una festa sulla via Emilia con quel tizio e lei, che la macchina non ce l’ha, non può andarci, ma manco ci andrebbe, perché erano d’accordo cazzo e quella è una stronza, stronza, stronza, magari è invidiosa, allungo io un fendente da squalifica, che sottolinea che lei, la Mia, è più figa e i fatti la cosano al punto che siede al mitico Centrale con un maschio adulto in età copulatoria di sublime bellezza, che sono io.
“Oh ti ci porto io alla festa, cazzo” dico con l’aria di NumboCchi che risolve i problemi e lei sorride dicendomi che son tanto gentile, ma poi penso che magari con un vecchione come me non ha nessuna intenzione di farsi vedere e lei fa gli occhi di Misery deve essere cremata viva e mi incentiva con un semiserio “Che stronzo” che assumo essere un complimento cciovane e allora, mi dice, sai che si fa? No rispondo e lei “due americani” che fan tre a testa e poi è deciso: si va assieme alla festa degli stronzi sulla via Eustronzia a fare stronzare di stronzaggine quella stronza della sua amica Stronza.
Diciannove.
Chemmerda che sono.
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