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martedì 2 maggio 2017

Er barcarolo va.

Ma tu guarda che tempo dimmerda, ma taci che sembra gennaio, scolta‘mo Maxenzio, ma chi è quella donzelletta laggiù in fondo alle sedie e lei ride e lui ride, ma checcazzo ne so, mi risponde sincero e schietto il condottiero di tutta la fica che può, adesso che Tetteinsolentidaquantosongrossechepurestansusenzaausili gli ha chiesto il divorzio e ravana di sotto per fottergli anche la casa, ed allora io invito la donzelletta ad unirsi al gruppetto alcolicissimo pur essendo le undici e zerosette e lei si unisce, giovine carne non bella di viso, ma appetitosa di corpo gazzelleo e come ti chiami tesora, mi chiamo Ancheossute e berrei un Negroni o due, ma tu puoi chiamarmi Tea, ma ti chiamo eccome e quant’anni c’hai o Tea? ne ho fatti diciotto, tranquillo, non c’è la galera e Maxalcolico ride dibbrutto, ride troppo, che l’ebbrezza gli offusca la mente e poi si incaglia in una discazzagione con l’Umbe sulla Juve e la ravafancazzacoglionea e io circuisco come superba serpe adamitica la giovin EvaTea, offrendole il secondo Negroni e parlandone con il fascino alcolico, ma controllato, di un bell’uomo, ma che dico bello, stupendo maschio alfa quale solo un maschio a sfumati tratti culattone come me sa essere, ma senti, ma dimmi, ma lo bevi un terzo Negroni? massì perché no, senti dicevo, ma se ci facessimo una gita rilassante con la mia barca sul fiumone grossone, ma mi pare che butti male Tazio, cosa dici? ma dai che ci facciamo due giri di elica fino all’isola che non c’è e ride e rido e ride, ridi, ridi, pollastrella culea, che vedrai che CirmoloDalTroncoErotico ti piazzo in qualche orifizio ancora in rodaggio, mia OrifizioTea, ma senti Tazio, ma mi sa che sono sbronzetta sai, ma allora andiamo, che magari se piove ci ripariamo all’isola di ‘sto cazzo e ci beviamo qualcosina sulla mia ultrafornitissima barca del cazzo, massì Tazzo Alcolico, speriamo non ti ritirino la patente, sai che c’è ClitoriTea, io non ce l’ho e ride e rido e ridi, ridi, ma dai che ci facciamo l’ultimo giro che poi lascio trecento euro di conto alla cameriera e ci incamminiamo, con le tue clarkettine fetide e il jeansetto strizzafemori che chissà se ero sobrio se ti avrei arpionata, ma si va, si va, si va.

E piove.
E ci rintaniamo sotto coperta dopo esserci incagliati in un banco di sabbia vicino all’Isolotto del Cazzobarzotto, le fetide clarkette morte sul pavimento assieme ai calzini, jeans sbottonato che stringe, t-shirt bianca corta che scopre il piercing e i chiodini anche se è stagione di piopparelli, rollo il cannone dopo altri novantasette Campari sulle note di una musica loungeambientwetcunthardcock, accendo che chi l’arrizza la impizza, la passo alla tacchinella e mi tuffo a succhiarle le ditina dei piedini, 37 poverina, chissà che male e lei ride e io godo della pelle polverosa tra le dita salate, ‘mo no che puzzzzano Tazzzzio, dai, scemo, geme molle e sbronza, ma lascia fare che mi fan tirare il cazzo, ma davvero, ma giuro, vediamo, ecco, guarda e ride, non ci posso credere! ride scemetta l’inculanda, ma che sberla di cazzo cìhai? ti fa schifo? puzza? chiedo infastidito, mentre lei gracchia roca “non credo” e si tuffa a fauci spalancate sulla cappella, tirando due o tre succhioni fatti ben benino e poi molla per comunicarmi “non puzza, sa di cazzo, buono, mi piace…” e giù a succhiare e mi spoglio un pochino e si spoglia un pochino, fichetta implume e liscia come il culo di un bimbo, ma vieni che ti assaggio, FicaTea e lecca e succhia che la barca dondola e la minchia birillola e la fica sbrodola e canna e canna e lecca e succhia che l’inibizione va affanculo per direttissima e sento a un tratto tanto tanto tanto caldo sulla cappella randazza e la Tea mi diventa santa ImpalaTea da Col Prepuzio località Frenulo, sedendosi a gambe larghe con cautela sul Baobab della Pace e si libera anche della magliettina e comincia a sculare di reni, ritmica e soave, elegante e sinuosa, con l’ascella molto importante e umidiccia, che goduria fetida, dosando le misure ciclopiche del maschio maturo con quelle imberbi della fossetta delle Troianne e lenti, ma inesorabili, chiaviamo alla marinara o alla fiumaiola che dir si voglia.

Senti Tea dalle Culatte Marmoree, ma parlando d’altro mentre ti chiavi il mio pezzo d’artiglieria controculea, se ti dico pillola tu cosa mi dici? niente, zero? zero, ma che bello, sto chiavando a pelle una similminorenne, senza avere nemmeno una di quelle gommine, sapete, quelle che sembrano un cazzo, ma invece salvano la vita, ma dai Tazio, tu mi dici e io mi tolgo e ansima come il primo porno che ho visto in vita mia che avevo bucato i sedili della fila davanti, massì certo, ti togli e saggio col dito la superfice sessuale di quel buchino di culo-delizia e lei mi sorride con gli occhi sbarrati ansimando “non ci pensare nemmeno” e allora la schieno, con una chiave articolare degna del miglior Antonio Inoki dei tempi d’oro e mi abbandono al rollio della barca e della sua linguetta sbarazzina pompinea e le irroro il cavo orale con la medicina lattiginosa che converte ogni femmina base in una versione CTA, CazzoTazioAddicted.
“Fammi venire, fammi venire” ella pigolea con la sua vocina querula e nemmeno il tempo di affondare la bocca vorace e cannibale su quella sorchina gioiosa che ecco giungere irriverente e impetuoso, sgraziato e animale, l’orgasmone urlante con rollio di bacino in controtendenza al rollio dello scafo.

Che signor primero de majo, amisgi, all’insegna della coscienza matura e adulta, dei principi sani e robusti, dello svago con nulla, come ai tempi in cui bastava un cazzo duro e una fica umida per far domenica, che salubrità, che pulizia, che valori, che bacino snodato.

Tutto questo per arrivare a chiarire cosa?
Per chiarire questo: ma se si naviga su un fiume, si tiene la destra verso il mare e la sinistra verso la sorgente o il contrario? E poi ancora: se all’ormeggio si sbatte centosettantaquattro volte con la poppa contro la passerella (sempre lei, sempre lei di mezzo, accidempoli) e si riesce a guadagnare il fermo macchine solo dopo che due robusti ragazzotti a suon di bestemmie mi hanno aiutato a fissare la gomena alla bitta insultando tutta la parte femminile della mia famiglia, ci si può definire già un vecchio lupo di mare?

O un semplice maiale di fiume?
Mah.

Che bacino snodato, comunque. Un poema.



martedì 11 ottobre 2016

Venerdì 7 ottobre [Parte prima]: Il fato

E allora son lì che chiudo il cancello, mi avvio nella piazza, controllo se ho tutto, due passi pre cena, venerdì di promesse e poi si avvicina quella ragazzina coi capelli neri lunghissimi, il viso magro un po’ equino, sorride e mi dice “ciao, ti ricordi di me? Sono la Mia, la figlia di Lino il gommista” e io la guardo mentre l’amica ghigna malferma, sperando che tutto le crolli, ma poi io temporeggio, che ho fatto la scuola Stanislavskij, sgombro le nebbie, focalizzo il gommista e mi viene in mente una ragnetta antipatica, smilza e alta, con gli occhi da Misery devi morire abbestia, certo, ma è lei, sei tu, ma cazzo, sei cresciuta di botto, per dio e per tutti i fulmini e si sorride a illuminazione da stadio, mentre la cicciotta vede sfumata la chance di sfanculare l’amica, ma come stai, cosa fai, presentami la cessa della tua amica, sì dai che devo andare, muggisce il bovide, oh che disperazione, ciao amica di merda, oh ma senti Mia, e se andassimo a prendere qualcosa che mi ragguagli sull’ultimo secolo e ridi ridi, ma certo, ma andiamo…, vediamo, vediamo, vediamo, ideona!, andiamo al Centrale?

E siede accavallando elegante le gambe nei jeans e la pelle e cristoddio allora dillo, le ballerine nere senza calze e sopra un felpone blu con sotto non si capisce cosa e armeggia coi capelli sguainandoli ora a destra, ora a manca, ma cosa fai dibbello, le chiedo escludendo che faccia la gommista, ma ho appena finito il linguistico (ma che bel liceazzo rampazzo) e adesso non so, penso che per un anno provo a guardarmi attorno e poi al limite mi iscrivo a lingue orientali, le migliori, chioso con serietà improbabile, ma senti, ma allora tu quantannicciai adesso?, diciannove, faccio i venti a marzo.

Diciannove.
Santa Madre Teresa di Gallura, Tazio, ha diciannove anni, spegni quel porno che hai in testa che arrivano i gendarmi con i pennacchi e con le armi, ma poi si sa, i porno li si devono guardare fino alla fine che altrimenti non capisci un cazzo di chi era l’assassino e allora dai, altri due americani, e tu che fai di bello Tazio?, ma ho appena finito di intonacare il linguistico e adesso non so, penso che per un anno provo a girarmi dattorno e poi al limite scrivo sui muri di lingue orientali che magari l’anno prossimo me li fanno intonacare e si ride, ma lei ride di cuore, mi piace.

Bella non è bella, ma è di quel bruttino che a me mi mette il Tabasco sulla cappella, perché il culino è un capolavorino, col jeans ficcatissimo inside da perizoma odoroso, la figura è asciutta, slanciata, elegante, anche come cammina per andare a far la pipì e poi è senza calze vivagesùnomineddio.
Poi torna, deorinata con sperpero, col viso scuro, il telefonino in mano: l’amica l’ha orrendamente tradita per andare a una festa sulla via Emilia con quel tizio e lei, che la macchina non ce l’ha, non può andarci, ma manco ci andrebbe, perché erano d’accordo cazzo e quella è una stronza, stronza, stronza, magari è invidiosa, allungo io un fendente da squalifica, che sottolinea che lei, la Mia, è più figa e i fatti la cosano al punto che siede al mitico Centrale con un maschio adulto in età copulatoria di sublime bellezza, che sono io.

“Oh ti ci porto io alla festa, cazzo” dico con l’aria di NumboCchi che risolve i problemi e lei sorride dicendomi che son tanto gentile, ma poi penso che magari con un vecchione come me non ha nessuna intenzione di farsi vedere e lei fa gli occhi di Misery deve essere cremata viva e mi incentiva con un semiserio “Che stronzo” che assumo essere un complimento cciovane e allora, mi dice, sai che si fa? No rispondo e lei “due americani” che fan tre a testa e poi è deciso: si va assieme alla festa degli stronzi sulla via Eustronzia a fare stronzare di stronzaggine quella stronza della sua amica Stronza.

Diciannove.
Chemmerda che sono.

sabato 3 settembre 2016

Per futili motivi

Mai, nessuno mai, nessuno mai, nessuno ha saputo creare futili motivi utili a una lite taziocomandata come il sottoscritto Tazio Tazietti di Taziopoli, lo ripeto mai, ma mai-mai eh, ma ieri sera la situazione mi è scappata di mano, direi scappellata di mano, e ora vi conto il picchè.
La Concia è arrivata qui tutta sudata dalle sue “commissioni”, manco fosse una banca, ma non s’è fatta la canonica doccia, no, si è semplicemente messa ai fornelli dicendo che avrebbe sudato ancora e se la sarebbe fatta dopo e così, in men che non si dica, una manza milf abbronzatissima con segno del costume olivastro-latteo, si è liberata degli indumenti- orpello per cucinarmi, in reggiseno e slippone, scalza, le migliori melanzane alla parmigggiana della vita mia.

Ed io omo sugno e per la gola mi facetti pigghhhjare.

E che caldo cristodellebraci e che tanfo di fritto Concetta e che sarà mai Tazio e che nera che mi sei tornata acchasa Conchita e che tette che hai e che paccone che hai te e che voglia e che voglie e che caldo e che zanzare e spegni e spegne e slaccia le coppe di titanio e si inginocchia a tetta nuda bianca dondolante e succhia vorace la Mastrominchiarandella che siam tutti nudi davanti agli scuri aperti che giù c’è la piazza ciarliera, ma la bocca sua rapace sugge di voglia vacca e nostalgia saudade e colgo un qualcosa di selvatico che deriva forse da recenti contaminazioni etniche, ma fatto sta che mi tira un Bocchino Maestrale da Didattica del Porno Applicazioni di Laboratorio 1, 2 e 3 che resto senza bestemmie da accompagnare alla mungitura, che il Bocchino ruspante è un apostrofo rozzo tra le parole Troia io t’Ano e così la scofano a novanta sul Busnelli in pelle rossa originale modello “Occhiodellatesta” che campeggia accanto al Divinidivano modello “L’altroocchiodellatesta”, la smutando da mezzadro animale, denudo il rombo scuro tra le natiche bianche che divarico a piene mani, sputo e spalmo, denunciando in chiaro, in tal modo, la mia volontà rettale e ottengo un mugolo roco, sicché umetto di sputo la cappella e spingo tra quelle carni restie, spingo bloccando il butirroso corpo sgambettante a novanta sul design, spingo e godo di bruciore e piene manone di carne cellulitica sublime e poi sento di entrare, caldo, caldissimo, urla soffocate, spingo sinché lo scroto non si unisce in un bacio affettuoso alle polpose labbra lucide e poi ritiro e poi spingo e ritiro e spingo, tenendo bloccata l’agitata vacca in asciutta, forzando come pistone americano le carni sozze dell’ano dimmerda e godo come un porco sino a scoppiarle rapido di sborra bollente nel culo, con un fiotto parossistico e, dopo alcuni tremiti, esco mollando la presa, sudato, maschio e appagato.

Mai, nessuno mai bravo quanto me ad inscenare una lite per futili motivi, no.
Ma mai nessuna è stata così brava a raggelarmi quanto lei, in presenza di una banale sodomia non gradita. Romba roca come uno stormo di Apache pronti alla distruzione biologica un sinistro “Tu mi hai violentata!!!!”, al quale aggiungo, con libertario ancorché libertino piglio “Ma tu mica mi ha detto di no” – “Sei scemo o cosa???? Ma non capisci quando non voglio???” mani giunte al petto, ginocchia flesse, volto tatuato dalla disperazione e dalle lacrime indignate.

Ed il pianto roco l’ha fatta da padrone per ore due e ventisette minuti in cui, rivestiti alla bell’emmeglio, abbiamo discusso di questo mio PERICOLOSISSIMO disturbo mentale e la violinsta di ‘sto archetto randazzo randello mi ha suggerito specialisti per CURARMI da questa mia MALATTIA della quale soffro con spasmi di violenza sorda e io tento di far presente, pacatamente, sommessamente, che glielo avevo già smerigliato nel culo almeno altre trentadue volte, ma no, noooo, NOOOOOO, mai con così tanta violenza orribile e poi si era detto culo basta no????? e ok, lo si era detto, ma siamo seri, ti sei fatta appecorinare e aprire come una cozza le chiappe, ma NON CAPISCI UN CAZZO MOSTRO, questa non era, no, NOOOOOO, non era come le altre, NOOO e poi un disturbo, forse un’infiammazione all’orecchio medio, o forse al dito medio, non so, ma d’un tratto le sue parole si sono tramutate in un “°oooooOOO°OOOoooOOOoooOOOoooh” sunnita, forse camita o semita o, why not,  sumero dell’est della Sumeria antica e tutto, a un tratto, è cessato con una Concia che pronunciava un lapidario e tragico “mmmmmmuuuuUUUUUuuuuuuoooouuuuUUU Uh!” lasciando la Tazio Casa con uno sbattone dell’uscio.

***
Dura, amici. E’ duro ammetterlo, ma stanotte ho dovuto farvi i conti, sì. Supponevo che le cose potessero stare in questo modo, certo. Ma che al secondo doppio Dimple UltraOld da dodici euro al bicchiere, la testa mi girasse così tanto, onestamente no.
C’est la vie. Fortuna che abito davanti al bar e sono andato a piedi e tornato in ginocchio.
Taci va là.
No, perché uno dice dice, ma questi son bei problemi eh.
Ma che dormita stanotte.
Senza Chimicamica, tra l’altro.
Olè.

mercoledì 8 luglio 2015

Scorci emiliani

Mangio un toast e arriva Baldini, chiamato da nessuno, invitato a sedersi da nessuno.
Mi narra con affabulazione di essere nel business delle macchine operatrici usate, che di ’sti tempi vanno come il pane e lui ci fa “il grano”.
Curiosa la metafora.
Come dire che vanno come il vino e lui ci fa gli acini, o come la merda e lui ci fa i culi. Ed è qui che mi casca l’asino: perchè se è col grano che si fa il pane è altrettanto verissimo che, con la merda che vende, prima o poi gli faranno un culo tutto suo.

“E tu di cosa ti occupi Tazio?” mi chiede fumando mentre mangio, che mi irrita.
“Di una valanga mostruosa di cazzi miei” rispondo senza smettere di mordere il toast.
Baldini ride, come Amedeo Nazzari ai tempi d’oro.
“Devi rilassarti Tazio, sai cosa ti vuole a te? La figa, dammi retta, fidati.” e ride come Amedeo Nazzari.
Volevo restare a leggere il Carlino dopo il toast, ma invece lascio dieci euro sul tavolo, mi alzo e dico.
“Baldini?” - “Eh”
“Ma vai a farti inculare da un senegalese come fa quella troia di tua madre” e me ne vado.
Scorci emiliani, rilassatezza.

giovedì 28 maggio 2015

Riunioni di sperticato affetto amicale

Questa mattina ho preso un caffè con la Kikka al bar Butchentrale e, oltre ad averne rimirato le sensuali forme cosciali che tanti bei ricordi uccellanti e ficanti mi hanno revocato, sono stato messo al corrente di alcuni fatti amicali che  si sono svolti, con correttezza e grande onestà, nella serata di ieri, ossia nella prima sera in cui il duo nubiliare ha rimesso piede in terra natia.
Summit al gran completo, convocazione via sms di tutti: Kikka, Virus, Umbe, Papagirl, Maggie, Zack, Sandra, Anto e Sa-aaarti (“Ma non si erano ammollati?” – “Massì, ma era una riunione ‘tecnica’ che poi, alla fine, la Nadia li ha fatti rimettere assieme) gestita dalla regia inimitabile della serissima Novella Sposa Pettoruta, sorretta come fosse carta a carbone dal suo Novello Sposo e dalla Segretaria Generale Reggente Maggie La Acidula.

Oggetto della “riunione tecnica”: Tazio la Merda.
Sintesi: Tazio è una merda, è bisessuale, frequenta prostitute, è un esibizionista che va a masturbarsi sull’argine spiando le coppiette, fuma la canapa indiana, è un maniaco sessuale, un bugiardo malato. Egli mente patologicamente (non vorremo mica credere che si è fatto la ANTO VERO? Nooooooo Nadia ecchessiamomatti?) perché è uno smargiasso sbruffone, sobillatore che ama seminare zizzania e spaccare tutto con le sue bugie e poi è anche un malato di mente, ma lo sapete che lo hanno ricoverato anche al manicomio dopo che ha tentato di tagliarsi le vene quando la Vale lo ha mollato (aveva fatto benissimo, poveretta, con una merda del genere), taci che tu Maggie ci hai visto lungo e lo hai mandato via quando ha tentato di fare il porco con te, ma poi voi lo sapete cosa fa in Repubblica Ceca? Traffica con la droga secondo me, troppi soldi ha per le meani.

Sono lusingato, davvero. Non dovevano disturbarsi così tanto.

“E tu Kikka?”
“Io sono stata zitta, cosa dovevo dire? Che ce l’hai grossissimo e scopi bene?”
e ride come una matta.
“No dai, ma non hai detto neanche una parola? E Virus?”
“Io? Zitta e svampita come al solito. Virus, quando ha sentito la Nadia dire che non ti si deve credere quando dici che ti fai una, perché sei pazzo [lo avessi mai detto che me n’ero fatta una a parte quella che mi sono veramente fatto, almeno] si è rilassato e non ci ha fatto caso più”.
Grande Virus, complimentoni, sei sveglio come un zitrone piumato.

“E ma sabato gliele canto al signorino eh” – dice Max con veemenza, per guadagnarsi maschiale stima con la Novella e la Segretaria Reggente – “che non creda di pranzare alla Solita come se niente fosse! Gli ficco in gola tutto e gli do anche indietro i soldi del viaggio di nozze che non ne voglio sapere!” e la Kikka, maestosa, mi dice con voce bassa e occhio spalancato “Magari quella parte era meglio che la lasciasse stare, visto il rossore violaceo in volto della Novella quando lo ha sentito….” e io sganascio di gusto totale.

Peccato.
Io sabato non sarò alla Solita perché ho altri progetti assai più interessanti, ma non temano lor signori, l’occasione della chiarezza arriverà eccome.

***

“Che bei piedi che hai Kikka, ti pianterei l’uccello tra le dita fino a venire”
“Qui non si può”
dice sorridendo con l’occhio lurido, accarezzandosi le dita medesime.
“Faremo un’altra volta” dico io.
“Tipo stasera che è giovedì-calcetto?”
Tipo, sì.
Ma tipo, però.


martedì 19 maggio 2015

Ah, la Raffa

Ah, la Raffa!
La spio da dietro alle imposte a gelosia dalle quali mi appare a righe la piazza maestra con lei operosa  che serve ai pochi tavoli pigri, vestita degli stessi shortissimi shorts di ieri e della stessa maglietta azzurra senza maniche di ieri e delle stesse nere infraditone dalla suolona grossa di ieri e io sono eroticamente nudo che spio, tormentandomi sensualmente il cazzo che scappello e incappello dilatando con la punta dell’unghia il buco del glande.

Ah, la Raffa!
Mi dimeno pensando di annusarle l’ano appiccicoso e sudato tra quelle muscolose natiche porno e di leccare quelle ascelle carnose che immagino, a mio uso e consumo, ruvide di peli in ricrescita e odorose di sudore di femmina ormonica e sporca, sentendo ben presto il freddo del muro sulla cappella, data l’elongazione erettile rapidissima della mia Règia Minchia Randagia, sulla quale campeggia ancora il rossore doloroso del piacevole morso donatomi ieri sera dalla mia commercialista cannibale e pervertita, ed il ruvido muro sul frenulo mi masturba senza grazia facendomi sentire troia e depravata.

Ah, la Raffa!
Godo suino delle immagini vere e di quelle della fantasia, pensando di fare la lotta cattiva con lei, mascolina e arrapante, che mi sopraffà fisicamente chiamandomi ‘schifosa troia frocia’ e premo il cazzo forte cosicché il ruvido del muro mi bruci di più, piacevole, eccitante, piccolo dolore stimolante che ben s’accoppia al pensiero di sodomizzarla senza pietà mentre mi succhia vorace il cazzo col buco del culo, così come ho insegnato ieri sera a quella deviata violenta ossessiva della Lidia urlante, schiaffeggiandole sonoramente le mammellette appuntite di voglia, arrossandole a dismisura e rendendole sensibili al soffio prima che al tatto.

Ah, la Raffa!
Prima avrei voluto dire alla Anto che, giacché era qui per lamentarsi di miei comportamenti, che si spogliasse e mi desse il culo pieno di merda per farselo chiavare e sturare a fondo, legittimando così il suo ruolo di lamentante, ma il rischio che me lo desse per davvero era troppo elevato, maledetta troia inespressa e repressa che fa della sua nullità una virtù, ma che se solo fosse una figa pari alla metà della odiata (odiata, ma tu pensa) Emy, la fica la spammerebbe via email per farsela chiavare dal mondo, puttana dimmerda.

Ah, la Raffa!
Che afrore sublime deve avere sotto quelle lunghe dita dei piedi sudate di gomma ed erotiche e, perché no, anche in mezzo alle lunghe e muscolose gambe da porca e mi fa buon gioco ritenere che, assieme a shorts, maglietta e flip flop, essa indossi anche le stesse mutande di ieri o ieri l’altro, inspessite di dolce muco bianco e umide tracce di urina odorosa e, al pensiero di queste delizie da veri intenditori raffinati, mi aggrappo saldo come un orango alla cornice della finestra e spingo sul muro, grugnendo rabbioso un orgasmo bestiale  prodotto col solo movimento del bacino.

Ah, la Raffa!
Come mi urge, come mi urge, come mi urge, come mi urge.
Come fare, come fare, come fare, mio Dio come fare.

Ah, la Raffa.
Già, proprio lei.

domenica 26 aprile 2015

Punti fermi

Scrivo in diretta dal bar Centrale, nell’illusione disillusa che tutto potesse essere com’era.
Vado con ordine, sorseggiando il Campari triplo della colazione.

Punto uno
Il bar Centrale ha subito un cambio di gestione. Ciao poppe esotiche dell’Olivia, ciao. Adesso ce l’ha una certa Raffaella, detta Raffa (che nomignolo originale, ma pensa) che viene da Domiziopoli e ha rilevato tutto. Cinquantenne ben tenuta, non bella, altissima, atletica, sportiva, bionda, mascolina con muscoloso charme lesbico e seni abbozzati, sposata con un babbeo improbabile che rimane avvitato allo sgabello della cassa emettendo rari segni di vita. Magari, rispetto all’Olivia, qualcosa ci si guadagnerà, perché la Raffa c’ha l’occhietto spermodromico e la cosa andrà approfondita.
E’ mio preciso dovere indagare, è il mio lavoro, me lo sono scelto io e lo amo.

Punto due
L’Osteria quella Nuova impera alla grande, al punto di essersi snaturata con un triste ampliamento della gamma d’offerta: serate di musica dal vivo. Niente jazz, ovviamente, solo cover e karaoke. Mi si elonga lo scroto che va assumendo la forma di una mongolfiera in caduta accidentale da seimila metri. Bisognerà studiare orari e programmi, perché io di musica dal vivo, a meno che non sia jazz (e pure buono e non mi pare il caso), non ne voglio sapere. Poi c’è la tristezza della seratona paella, quindi meglio informarsi bene, sì.

Punto tre
Il winebar è irrimediabilmente chiuso. Tristissime vetrine sporche dalle quali si intravede ancora l’arredamento interno polveroso ed un cartello dà le indicazioni su chi chiamare in caso qualcuno fosse interessato a rilevare il mobilio. Per questo l’Osteria quella Nuova si è allargata, perché non ha più competitors di classe.
Quanto costerà rilevare il winebar? Boh.

Punto quattro
Da seicentosette metri di distanza ho visto la Giulia parcheggiare una Punto per andare dal fornaio. Una Punto, capite? Ingrassata non poco (la Giulia, non la Punto), sciatta e dimessa, povera Giulia. Non una cellula epiteliale del mio ano chiacchierato ha avvertito l’esigenza di alzarsi per raggiungerla e salutarla. Sé la vì.

Punto cinque
Sulla leggera ebbrezza dell’ennesimo Campari ho chiamato il bel Renè (coppia bestia ndr) per sentire come era e come non era ed egli, affannato ed eccitato come uno schiavetto voglioso di attenzioni sederiniche, mi ha fatto mille feste, aggiungendo che ora sa sì! dove abita la Milly, che abita a Piacenza, ma non ha ancora reperito il numero di cellulare e che ci sta lavorando.
Stasera ove nulla osti, pizzata con lui e Silvana. Speriamo in un dopocena laido dei nostri, che sbatterlo nel culo con vigore a tutti e due mi farebbe un gran piacerone.

Punto sei
Rimango appeso ad un uozzappico  “Intanto arriva, poi ci si sente, ciao” e medito.
Oscillo in onore di Foucault da un sonoro, spesso, solido e vibrante “vaffanculo, ma chi cazzo credi di essere” ad una liceale emozione speranzosa di ricevere un uozzappo meno glaciale.
Sintesi taziea: sospensione delle attività, nessun uozzappo, finestra, vediamo, vedremo, vedrò.  

Punto sette
La giornata è caldina, mi sembra che tenga il pallido solicello. Quasi quasi, a pomeriggio, in attesa di raggiungere gli amici carissimi a Domiziopoli, mi faccio una strusciata sull’argine porcone del fiume lontano lontano a far mostra del bel cazzone che c’ho in tutta la sua scultorea durezza scappellata a festa.
E perché no? Magari trovo degli amichetti con cui giocare al dottore, chissà.

Alzo gli occhi in alto a sinistra e sorrido sorseggiando l’ennesimo Campari.
Casa.
Bello.