Oh Emy, Emy, Emy, Emy, mormoro mantrico mentre le tue manine zozze armeggiano con lo splendore zoologico della mia Minchia Bufalera che fa aria di bufera. Emy, Emy, Emy, Emy, vieni qui piccola stupenda perfetta troiona dalle silenti voglie che voglio allungarti nella fica, come ai tempi dorati, tutta la mazza marmorea che si intosta tornendosi di impressionanti vene gonfie mentre annuso la tua asettica pelle bianca di donna bianca sintetica bisognosa di cazzo venoso e cappella violacea e lascia che strusci, prema, strizzi e cerchi in quella improbabile posizione il buco della fica che d’improvviso infilzo, travolto dal bollore interno e la tua bocca fa “oh” come i bambini di quel deficiente di Povia, mentre chirurgico spingo lentamente la mia sonda maxi all’interno dei tuoi teneri genitali alla ricerca della pietra ficoscopàle.
Che bella cenetta imbastita in due e due quattro, che bei temi sozzi, che bel piedino sulla mia pelle sotto il tavolo e cristissimo, Emiliana Gran Puttana, ma che voglia di grancazzo mi c’hai? Pari forse alla voglia che la mia Minchia Bufalera ha della tua fica di cera bianca? Nel parcheggio ci arrotoliamo come bisce nella macchina aziendale, la tua, che pare essere più comoda anche se più comoda non è, ma a noi checciffrega, noi siam elastici e arrapati e lecchiamo ciò che va leccato, piantiamo ciò che va piantato e denudiamo ciò che va denudato, cioè tutto e chiaviamo.
O Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, che splendore sei, nuda, mentre galoppi selvaggia sulla Extramazza che ti fa male quando preme di dentro in fondo, ma ti piace eccome quel malino sporcaccino, però io vis-a-vis un po’ di conversazione pornografica la voglio, che fa parte del mio background, del mio tempo, della mia performàns e scopro incredulo che non prendi il cazzo da Natale, scopro che le orgette casalinghe non sono (ahitè) più pervenute, scopro (sbattendotelo dentro come l’onda quando il cielo è scuro) che hai tanta voglia di farlo con una donna mulatta, scopro che l’idea del fiume porcone con alcuni sconosciuti porci nudi che se lo menano guardandoci chiavare ti piace da impazzire, scopro che nel culo al massimo un ditino e neanche sempre e scopro che, come già diffusamente detto, sei un bluff alimentato dalla tua lucida ultracoscienza di essere strafiga e, per questo, non ti dai nemmeno la pena sbattona di uscire da un qualche cliché standard (l’orgetta, la donna, l’esibizionismo) che detto nel momento in cui sei ripiena di cazzo come una faraona farcita di cazzo, assumono una valenza noiosa mortale, sopportabile solo poiché un corpo così si fatica a trovarlo a Hollywood e allora o ben che così o ben che un cazzo e io, che agisco sotto i comandi tirannici della Minchia Bufalera dico che ben venga la ultrafiga non talentuosa, che tanto è solo per stasera e del doman non v’è certezza.
Sborro ringhiando sui capezzolini duri e increspati, mentre dita perfettamente curate spalmano il nettare del dio cazzo su tutta la superficie della semisfera perfetta.
“Siamo due pazzi! Ma ti rendi conto che l’abbiamo fatto in macchina nel parcheggio?” gorgogli soddisfatta della tua “prodezza” da “pazza” (yawn) ed io mi affretto a puntualizzare che saremmo stati più pazzi se l’avessimo fatto in macchina in mezzo alla strada e tu ridi e ci rivestiamo, per poi dedicare quell’insopportabile mezz’ora ai baci e agli abbracci romantici che a me, scusate, fanno sboccare.
***
Torno a casa e uozzappo. Ma non alla Squinzy, alla Betta.
“Dormi?”.
No, non dorme. E’ sul divano in pigiama che non riesce a prendere sonno, brutto periodo, ma è stata felicissima di vedermi di sfuggita e di sapere che esisto ancora. Lavorare lavora a singhiozzo, l’hanno messa in cassa integrazione, il bimbone sta bene, va a scuola, è bravo, il cornuto è insopportabile, fatti forza Bettina, per forza Tazio.
“Pensi che ci incontreremo?” chiedo io speranzoso come uno scolaretto, ma un sorriso emoticons di modello base precede un “perché no, un caffè ce lo possiamo prendere” che suona tanto come “vediamoci pure, ma non credere di ricominciare da dove hai lasciato”.
E a furia di dai e dai, ‘sto concetto che mi arriva da più parti comincia ad avermi convinto.
Io il mio regno l’ho perso per sempre.
Mi rimangono solo degli anonimi villaggi di cui poco me ne fotte e poco me n'è sempre fottuto.
Va così.
Meglio farsene una ragione.
E riflettere.
Ci sta.
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