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venerdì 14 ottobre 2016

Venerdì

E oggi si festeggia il settimavversario, gli otto giorni, faremo un piccolo party in cui ci scambieremo i peluche e i bigliettoni con sopra i cuoricini e i pensierini che finiscono coi tre puntini che odio e poi balleremo il tempo delle mele e poi, finalmente, diventeremo animali e finiremo a letto a consumare sino a domattina questa importantissima data che, volenti o nolenti, è il preambolo ad una vita fatta di bambini, cane e barbecue.

Scherzo, sono il solito cinicosarcasticobastardo, in realtà Mia è una ragazza molto in gamba, gioiosa, sorridente, pulita, pensate che con lei è una settimana che ficco come un montone e mi sono tenuto per me tutti i pensieri impuri che faccio su di lei, non parlo, non dico, non sbarello, non confesso, non dichiaro, ma non per questo non godo di piaceri oscuri e adulti, come l’averle annusato i piedi la settimana scorsa, dopo un trattamento-ballerine-senza-calze, godendo come un porco, ma senza una sillaba, senza rivelare, senza estremizzare, pazientando, meditando, con la convinzione marmorea che di lei potrei fare ciò che voglio e forse lo farò, ma solo dopo una sua sfumatura che segni una disponibilità a bagnarsi nelle acque dello Stige (chissà la Ade che fine ha fatto).

Spalanca ginnica le gambe a V, tenendosi le caviglie, i piedi arcuati che increspano di pieghe le piante ruvide e callose, passo oltre le gambe con le braccia, le cingo i fianchi e le entro dentro con garbo e cura, raggiungendo quel punto in cui un lamento mi consiglia di non spingere oltre e dimentico quell’ano che si foggia ad ovale, schiudendosi appena tra le pliche pulsanti, lo dimentico poiché non ho maturato nessun percorso, nessuna scuola, nessuna strada, se non quella di farla venire e venire e venire e venire sinché un ‘basta’, disperato e sorridente, mi chiede una tregua che in altre condizioni non concederei.

Sulla strada della palestra si ricava un’ora mattutina per portarmi le briochine calde e abbassarsi i pantaloni della tuta affinché il Colosso di Roditazio possa infiltrarsi subdolo nella prugna matura che rompe la buccia e gocciola zuccherosa e ghiotta melata e poi prende la bici e va ad insegnare alle bambine ad essere graziose come lei e questo pensiero, non so perché, è un raggio di sole nella mia turpe esistenza.

Questa notte dormirà qui e poi sabato rientrerà ad aiutare la mamma e poi alle quattro sarà nuovamente qui per passare il sabato notte con me e poi la domenica rientrerà e poi mi raggiungerà dopo pranzo e staremo assieme a letto, nella pioggia (si spera) che sferza le tegole e sento l’esigenza di prendere in mano i libri di greco e latino per respirare ad ancor più pieni polmoni quel profumo di liceo che ho seppellito nella notte dei tempi e dei templi.

Sono molto sereno.
Se solo riuscissi a mettere le mani su quel Cascella che ho promesso al Bergolettone.
Ma sono dettagli.

Tutti dettagli.

lunedì 26 settembre 2016

Tenera è Praga

Praha 1, piazzettina, facciata dell’albergo asburgico dal sapore dorato di Sissi e cavalli bianchi, manca solo Cecco Beppe, bevo il secondo Macallan, dei quattro previsti come prima colazione delle undiciezerozero dal dietologo, respiro a fondo l’aria fresca e considero che qui sono un sovrano e a casa una merda.
Mi voleva uno stacco regale, non vi è che dire.
Mi voleva un risveglio, nel letto presidenziale, con una giovane mora da infarto che dormiva adamitica accanto a me.
Poesia, magia, elevazione dei valori, erba di ottima coltivazione, liquori costosi, locali costosi, albergo costoso, mignotte costose.
Terapia dell'anima e del corpoporco.

Mi tratterrò alcuni giorni, devo.
Le due gemelline incestuose, biondo platino, mostratemi dalla mia mora concubina, non avranno posto per due prima di mercoledì e io ci voglio andare con chi mi ci ha indirizzato, la mora concubina, in un lesbo-orgy-quartet che nemmeno Buddy De Franco con Art Tatum ne hanno fatto di meglio.

Ma bisogna stare attenti.
Bisogna bere con giudizio e farsi con altrettanto giudizio.
Si deve mantenere quello stato ebbro-fatto sempre presente, ma mai preponderante.
Altrimenti si gode a metà.

E’ un sozzo mestiere, ma qualcuno deve pur farlo.

Ha!

sabato 20 agosto 2016

Emmenomale

Quanto lontana è l’Estonia? E la Pizzoscrofia? E la Ludronia? E mentre mi ripasso la geografia, che sai mai che un dì non mi venga chiesta, mi rendo cosciente che né l’ano della mia fidanzata, né il mio, sono oggetti e riferimenti graditi, anzi banditi, nel passato concessi, d’accordo, ma nel futuro vietati, poiché forieri di disagio emotivo, così come la continua (parliamone che ce ne sarebbe) ricerca di posizioni acrobatiche che mal si addicono ad un’indole schienaiola missonaria che, dal mio, schifo non fa, ma guai posare le gambe sulle mie spalle, poiché la postura affatica le di lei reni che dolgono e, sovente, rendono difficile la respirazione.

Questo l’argomento, che la poveretta ha dovuto piegare sotto la pressione della sua tendenziale vergogna d’esposizione. Poiché: “la delizia di approcciare al tuo meraviglioso cervello passa per le Forche Caudine della tua depravazione, che accetto sinché non pone in grave imbarazzo la mia natura diversa, Tazio” ma certo, Concetta, ci mancherebbe, figurati, anzi, sai che c’è? Mi spiace e non succederà più.

Non più. Perché io non fumo, non bevo, non mi drogo e ora pure chiavo poco e morigeratamente, perché è la salute il mio goal, non il piacere immediato, peccaminoso e insalubre. Io godo dei risultati, delle lunghe battute, che perseguo nell’estasi sublime di divenire un pupazzo asettico dalla bella pelle e dai sonni foderati di Rivotril e En, condito con Cymbalta e non più Serenase (che farmaco innovativo e di recente scoperta), ma talvolta farcito di Xanax e sicuramente spruzzato di Lyrica, non quella teatrale, ma quella teatrata.

E mi chiedo che fine avrà fatto il Guascone, che ho lasciato nella tetra Praga a destreggiarsi di arcano idioma e prevedibili idioti par suo. Mi chiedo dell’Umbe, del Zack, del Max e delle vacche scrofe mignotte a drappello di santità e nel losco sguazzare neuronale mi compaiono d’assalto i piedi dell’Anto, così umilmente offerti alla Furia Depravata della chiavagione cieca e dissennata del belluino Taziosauro, piedi così troiescamente agghindati da materiale casalinguo di risulta, ma efficiente ed efficace alla bisogna, al liquescente riattizzare il noto piacere parafilico che mi affliggeva e pasceva, ridondando i suoi echi isterici nei sommessi ghigni, sozzamente mormorati tra le luride labbra delle fiche cannibali che cotanto piacere non avevano, magari, forse, forse non avevano mai assaporato, ma non è di imprimatur che mi nutrivo, per cui penso, penso, penso, penso all’odore di femmina tra le sue dita sudate, mi faccio microbo per albergare nei suoi miasmi animali più intimi, nei suoi segreti più luridi che certo non può rivelare al Saaarti, puttaniere d’avanspettacolo a basso costo, cerebroprivo e insignificante semiotico, ma segreti che compaiono, in dissolvenza, talvolta d’improvviso, mentre cavalca il bidet seminuda alla sera, a gambe larghe, volgare cavallerizza da stalla, giumenta dai piedi scalzi e dalla fica bagnata d’acqua su cui scorrono le dita che si fanno foriere del messaggio ficale che implora un orgasmo sudicio, consumato nell’intimo pensiero di sozzure subite e inflitte ed il mio Ultracazzo si intosta, si erige, svetta, rampazzo di vene e cappella nuda e lucida, tesa, scura, che tira il frenulo sino al dolore, mentre penso di inforcare quel buco del culo rilassato della giumenta pornografica che dà ristoro alla segreta fica cannibale e mi vedo dietro lei a denudare le bianche natiche e ad inalare quel caldo soffio che l’ano spalancato dalla sodomia rilascia generoso nell’aria.

Fortuna che non sono più quel Tazio e che certe cose non mi passano per la mente più.
Emmenomale.
 

 

martedì 16 agosto 2016

Sic transit ferragostum Tazii. O giù di lì.

Ferragosto da schianto, raga. C’era anche il gelato, ohè.
Poi c’erano tutti gli amiciparentiamicideiparenti che linguisticamente era un paradiso per le orecchie sentire il calabroemiliano, davvero figus.
Forse a tratti togo.
Sicuramente togo quando cercavo di spiegare, in seguito a precisa domanda, cosa faccio nella vita e circa a metà dello spieghino il mio interlocutore cominciava a parlare ad altri.
Togo no?
Al terzo ho detto che faccio il tipografo.
Mi ha detto “ah” e ha iniziato a parlare a un altro. Ma almeno ha detto “ah”.
Toghissimo.

Poi lei mi dice “ti fermi da me?” e io dico “”, ma forse dovevo dire “no”, non so.
Alle tre del mattino ero sulle lenzuola ignudo come tre bronzi di Riace e lei arriva in mutande e canottiera e si stende in un gemito, dandomi le spalle.
Le faccio sentire sullo spacco culeo la potenza del nerbotortòre, già mitico punitore di settentasette armenti di agnelle infoiate, e lei dice la frase.
Perché esiste LA frase.
Quella definitiva, terminale, metastasica.
Quella detta a boccuccia alla buco del culo di pollo, con tono con cui ci si rivolge agli infanti irrequieti.

Ma amore hai solo in testa quello tu, dai su. Sono esausta.
Le chiedo scusa e mi giro, dandole le spalle.

Sic transit gloria mundi.
Bah.

giovedì 4 giugno 2015

Rigare dritto

Che dormita da Gran Sovrano della Stramazza Bufalazza mi faccio qui nell’albergazzo di Riga fatto per quelli appassionati di biga, amisgi che numerossi non mi cagate di pezza dalle vostre casse.
C’ho una camerona che è una meraviglia delle meraviglie meravigliose, dalla quale vi scrivo poche note di saluti prima di scendere a mangiare qualcosa e poi tornare a ritirarmi per altro meritato, meritatissimo riposo. Ma magari prima mi faccio quattro passi che in giro c’è sempre qualcuno che suona, anche jazz.

La Lidia mi telefona, come va, come non va, come andrebbe, come andrà ed io negli effetti più che qualche blanda notizia lavorativa e la vivissima soddisfazione di aver capito parecchio di un film russo che andava in onda ieri sera, non so che dirle.
Qui il clima è così: bello frescazzo, anche se oggi c’era il sole. Il problema, per me, è la luce: il sole sorge alle quattro e mezzo e va a nanna alle dieci e mezzo circa e la cosa mi infastidisce fisicamente, non so il perché.

Domani altro lavoro sereno col più bergamasco dei lettoni che ci terrebbe tanto a presentarmi la sua famiglia e una di queste sere gli dico anche di sì.
Qui comunque si sta bene, almeno per periodi brevi, ma così bene che mi viene anche da pensare di viverci per un po’, anche in considerazione che le lettoni sono delle grandissime fighe e non paiono essere delle aliene disumane con le quali si rende impossibile l’approccio.

Ma la vita è anche dovere, per cui per me qui Riga al momento (lo sottolineo, al momento) fa rima solo con Riga e anche con Riga e sabato (purtroppo o per fortuna) farà rima con Praga che almeno ‘sta pigna dal culo me la vado a togliere.
Vi bacio con grande affetto amicale, amici cari, a prestissimo.

mercoledì 27 maggio 2015

L’ora che non si fece mai

L’antefatto
Mentre attendo la Sozza, il parlàfono vibra e recita Lidia a chiare lettere.
Come sei messo?, dormi?, disturbo?, è che non riesco a prendere sonno, ma Lidia stai tranquilla che capita anche a me, e tu cosa fai in quei casi?, cosa prendi?, ma io mi faccio un numero x di canne e poi mi masturbo e a volte serve, mi sono masturbata già anche io, Tazio, ma non serve e le canne sai che non sono il mio genere, sei nuda? (risata) ma che nuda, ho il pigiama, e tu sei nudo?, se non voglio che mi arrestino no, ma dove sei?, in macchina parcheggiato, ma aspetti qualcuno allora cazzo, dai che chiudo, ma che qualcuno Lidia!, vengo da te, ti va?, sì che mi va, ma non volevo scombinarti i piani, no, ma quali piani, anzi, sarei proprio felice di stare un po’ con te, allora dai, ti aspetto.
Barbara devi andare affanculo stasera, mi spiace.

Il fatto

“Era a Luchino che piaceva violento e, ok, anche a me piace sentire male, ma non ci vado pazza come ci andava lui che una volta mi ha trafitto un capezzolo con un ago da siringa e a momenti viene facendolo, ma a me piace anche farlo dolcemente, rilassatamente, lentamente…” – e mi bacia morbidissima sulle labbra mentre io siedo sul Busnelli rosso col cazzo di fuori e lei lo cavalca lentissima essendosi tolta solo i pantaloncini del pigiamino.
Si inarca dolcissima in avanti, poi all’indietro, poi ancheggia a destra e sinistra, ma ogni movimento è fatto quasi impercettibilmente e ci cerchiamo le mani e ci baciamo, morbidi, parlando sottovoce come se qualcuno ci potesse sentire, Bill Evans che suona (è il mio paradiso e lei lo sa), la luce bassa di un pallone di plexyglass e specchietti di Patrizia Volpato designer.

Poi la maglina del pigiama passa sopra la testa e resta nuda. E io, per un attimo intensissimo la amo con tutto me stesso, drogato di tanta acerba bellezza così rara in una donna della sua età. La abbraccio e le carezzo la schiena calda, liscia, solcata da quelle ossa tentatrici che ne compongono la spina dorsale e voglio togliermi la camicia e sentirla e lei mi aiuta e restiamo nudi sul Busnelli, abbracciati morbidamente e rispettosamente, muovendoci appena, con qualche stilema sessualstilistico di grande potenza, come il suo arretrare appoggiando le mani alle mie ginocchia, un po’ per mostrarsi, un po’ per sentire meglio di dentro, nella carne, la mia carne.

Poi si richiude in avanti come una conchiglia fatata, inarcandosi e sussurrandomi all’orecchio che le piace come non le era mai piaciuto con me, che le piace così tanto da dimenticare tutte le volte che le è piaciuto da pazzi con un uomo e io respiro forte, baciandola, accarezzandole le braccia, correndo sui glutei tesissimi per seguirne le forme affascinanti.

“Ti piace il mio sedere?” chiede con orgogliosa felicità osservandosi le terga da sopra la spalla e io rispondo di sì baciandola e lei aggiunge appena appena di labiale “diventa bellissimo quando faccio l’amore così” ed è vero, è proprio vero, è molto vero, è stupendo. Poi sale e fa sgusciare l’uccello e se lo punta nel culo, scendendo lentissima, guidandolo con la mano, impiegando moltissimo tempo a farlo entrare tutto, mugolando elegante, sino a dire “mi brucia, ma guarda che bello…tutto dentro…non è bellissimo da vedere?...” ed io resto senza fiato mentre quell’ancheggiare di classe riprende con pari dolcezza e da allora è un continuo cambiare da davanti a dietro, da dietro a davanti, mentre avverto che la carne si fa rovente e molle e la abbraccio, stringendola, mentre ci baciamo garbatamente, seppure profondamente. Poi sale, lo fa scivolare fuori dal culo, si inginocchia tra le mie gambe e lo prende in bocca, succhiandolo lentamente e mormorando “tu ci vai pazzo per queste cose, vero?.... tu ti butti via per queste cose…” e poi risale, riassestandoselo con maggior agio nell’ano.

“Tu sei convinto che le porcherie che ti piacciono le sappiano fare solo certe vuote donne relitto… e ti butti via con loro… senza niente in cambio…sciogliendoti nelle loro pozzanghere torbide” – e affonda i colpi più decisa, stringendo l’ano ritmicamente.

“E’ una dichiarazione?...” - chiedo sorridendo per stemperare l’aria e rallentare la voglia di venirle nel culo e lei mi risponde pericolosa – “se non c’è altro modo per farti capire le cose, bisogna dichiarartele o…op….pure mettertele per iscritto…” – e spinge fonda fino a schiacciarmi forte i coglioni e quel dolorino è un bacio vellutato.
Silenzio.
Sudore.
Respiro.

“Da quant’è che non suoni più il piano di notte nei locali, da solo?” – mi chiede facendomi sentire come uno dei Favolosi Baker – “da una vita, da quando non ho più una donna che si bagna ascoltandomi, appoggiata al pianoforte…” – “io voglio bagnarmi, voglio bagnarmi la fica, le cosce, fino alle dita dei piedi, voglio che suoni per me, voglio venire in mezzo a tutti senza toccarmi, mentre suoni" – e questo mi piace, molto, mi piace molto, mi piace, mi piace, mi fa salire l’eccitazione a mille.

“Non ti buttare via Tazio. Sei un animale troppo speciale e se ti e….e….sstingu…i…” – “se mi estinguo?” – “vengo…. spingi….vieni con me…vienimi dentro….” – e tutto diventa furia, chiusi in un abbraccio mortale, le anche che si disarticolano, velocissimi, il canto, il suo, il mio, strettissimi, fusi, venendo, mischiando i liquidi corporali in un gesto di infinito amore, di quell’amore che parte da quel malinconico buco nero che tutti conoscete, così fondo e così dolce e così struggente e così inesistente, ma essenziale per essere vivi almeno tre minuti.

***

“Dormi qui stanotte” – mi chiede stesa, scomposta, nuda sul Busnelli accanto a me, carezzandomi il viso.
Le carezze sul viso. Leggere, avvolgenti, calde lisce, con quelle piccole manine profumate di sesso e di amore e io come un coglione piango con gli occhi chiusi, facendo di sì con la testa.

Nessuno commenta le mie lacrime.
Nessuno.
Né Bill Evans, né la Volpato, né Busnelli.
Una bocca calda e sottile le bacia, asciugandole.

“Ricomincerò a suonare da solo il piano in giro per locali, di notte” – le dico pianissimo – “E io ti troverò” – “Nuda sotto l’abito da sera?” – chiedo sorridendo a occhi chiusi – “Compleamente… voglio che tu mi veda le dita dei piedi bagnate…” – e mi bacia sorridendo calda.

E poi si va a dormire nudi, abbracciati.
E poi il gallo canta.
Ma nessuno mi tradisce.
Non oggi, almeno.
No, oggi no.

venerdì 15 maggio 2015

Linguaggio

“Allora ti volevo dare un salutino che stasera sei fuori per la pizza sbroccona e non ci vediamo” – esordisco io al telefono che ormai è sera.
“Oh, ma guarda che se te non hai impegni mi sa che ci possiamo vedere benissimo lo stesso anche stasera veh?” – risponde d’un fiato.
E no che non ce li ho io gli impegni, no.
“Ma a che ora pensavi di liberarti tu?” – chiedo non perfettamente convinto.
“Ma io dico che per l’una son bella che a casa, considerando che sto andando in là adesso. E poi, porta pazienza, son poi libera di dire che vado via quando voglio eh”.
E porto pazienza e l’una va bene, sì.
“L’una è buona, mi metto in pigiama e ci vediamo da te allora”
Lei ride e dice ok.

Sono ore poco vocate all’intimità notturna segreta: stasera l’addio al nubilato, domani sera cena very relax passatempo per lo sposo teso come un osso (assenti la sposa e i testimoni) e sabato c’è il matrimonio. Poi da domenica tutto dovrebbe ritornare sul binario.

***

“Ma sì, ma ho capito” – mi dice quando, pigiamati entrambi, ci troviamo sulla gradineria notturna rurale intima e segreta e io faccio il ragionamento dei giorni difficili – “però con un minimo, voglio dire, per esempio, domani sera dopo la cena ci si può vedere, stasera ci siam visti, nel senso che volendo anche sabato di riffa o di raffa ‘na cannetta al matrimonio nascosti da qualche parte ce la faremo o niente?” e ride come una scema.
“Una tossica drogata sto diventando, sto” - aggiunge divertita, con quella scivolata modenese inevitabile per chi sta con un modenese.

“La cannetta al matrimonio ce la facciamo sì e anche più di una, ma solo se sarai senza mutande” – aggiungo io ridendo, rendendomi conto che è la prima battuta a sfondo sessuale che le faccio e lei replica rapida “Ahbeh, sai che problema, vorrà dire che o vengo via direttamente senza, o andrò in bagno a togliermele!” –  e si ride moltissimo, complice protagonista la cannabis che aspiriamo con applicazione. Che robe strane.

Son lì che penso, smontando il filtrino dal cannino morto, quando l’Anto mi viene addosso e mi spiaccica nell’angolo tra la porta e il muro che la tiene su.
E ha una lingua grossa e morbidissima, guizzante, dolcissima, piacevole e la slinguo abbracciandola, senza palparla, solo slinguandola e stringendola, accarezzandola più dolce che son capace, non prendendo iniziative, lasciando che sia lei a guidare come vuole, dove vuole e quanto vuole. E ci slinguiamo le gole per un bel po’.

Poi il distacco.
“Cosa c’hai messo dentro stasera?” – mi chiede ridendo, con gli angoli della bocca bagnati di saliva e arrossati dalla mia barba, come succedeva alle festine delle scuole medie.
“La lingua” rispondo riavvicinandomi e ricominciando senza cannibalismo.

Bello.
Questo coso strano è davvero molto bello.
Drammaticamente bello.
Torno a casa nella notte fondissima guidando in pigiama una poderosa FIAT Punto bianca, auto americana top class, dopo aver “limonato” e basta con la ragazza di un amico e, non solo non c’è stato alcun coinvolgimento/epilogo genitale di qualsivoglia natura, non solo non avverto il benché minimo senso di colpa per l’amico, ma mi sento contento, felice e (incomprensibilmente) sereno.

Notti emiliane magiche che neanche al Campo Volo, ragazùa.
Questa roba qua a Praga non ce l’hanno mica eh.
No, non ce l’hanno.

Però, al di là di tutto, una gran sega me la devo fisiologicamente fare.
Più d’una anche, forse, mi sa.
Ha!

martedì 12 maggio 2015

Azzurro notturno

Grilli e scalini, pigiami e infradito, cannette e sussurri, segreti rurali, notti rituali.
“Ma come non vai senza dir niente a nessuno?” [all’addio al celibato]
“Non vado perché non me ne fotte un cazzo di un festino come quello. Voi lo fate l’addio al nubilato alla Nadia?” – “Sì, ma si farà una pizza sbroccona, niente di trascendentale, lei non è il tipo” – “E quando lo fate?” – “Giovedì sera” – “E ma che brutta scelta, il giovedì è calcetto” e lei ride sgomitandomi lieve.

“Azzurro?” chiedo accarezzandole l’alluce così vicino e così lontano.
“Bah ce l’avevo in casa e ho pensato ti piacesse, ma se vuoi lo tolgo” – “Ci mancherebbe, mi piace, mi piace soprattutto il pensiero, grazie” e si sorride vicini vicini, accoccolati sugli scalini, ad ascoltare i grillini (non QUEI grillini, quelli veri, quelli seri).

“Cannino?” – “Oh yes, ma così divento una punkabbestia sempre fatta, sai che mi è passata a pomeriggio quella di ieri sera?” – “E’ perché è buona e sana” – e lei - “Viva viva la Maria Luana” e la appiccia.
“E se lo viene a sapere?” – chiedo da bambina col pisello – “Cosa? Delle cannette o che ci vediamo?”

Ed entra liscio un concetto semplice alla cui distorta vestizione sdoganante lavoravo da oggi e che sollievo! è accettato con semplicità, senza false lenti filtro, con consapevolezza adulta e senza inutili blocchi in dogana. Noi ci vediamo e lo sappiamo, non è che ci vediamo a nostra insaputa. Eh sì. Ci vediamo, di notte, segretamente. Ci facciamo le canne proibite e ci confidiamo le cose anche intime e ne siamo consci. Noi ci vediamo, ci stiamo vedendo, segretamente, privatamente, personalmente, isolatamente, probabilmente anche propedeuticamente.

“Tutte e due, cannette e incontri” – dico soffiando e passando. Silenzio. “Non dici niente?” – chiedo alternandomi al mio turno – “Cosa vuoi che dica? Vuoi sentirmi dire ‘evitiamo di sputtanare i cazzi nostri’ ?”.
“No, per carità. Niente, non devi dire niente. Nient’altro che niente.”
I cazzi nostri.
Non m’è sfuggito, no.

“Sbloccherai mai il  numero alla Maggie?” – mi chiede soffiando sulla brace. “La Maggie è totalmente al di fuori dei miei interessi in questo momento, ergo non me ne sbatte un cazzo della Maggie né ora né mai più” e sento una testa che si gira e occhi che ridono.

“Dovrei venire anche io in pigiama qui, la notte” – aggiungo dopo un bel po’.
“Una specie di pigiama party?” – chiede sorridendo mentre ammazza il cannino salvando il filtrino.
“Una specie” – aggiungo appoggiandomi alla porta e passandole il braccio sulle spalle per tirarla accoccolata vicina a me.

“Freddo?” – “No.”

E i grilli grillano, le unghie azzurrano, le cannine muoiono e le persone tacciono.
E tutto ciò, oltre ad essere sereno è anche molto bello.
Molto.

lunedì 11 maggio 2015

E se io partissi tu me lo ‘offrissi’?

Domenica sera, dopocena

Una domenica campale, passata a smobilitare il mobilio approssimativamente giunto in casa, componendo angoli tv, collegando cavi, avvitando letti, pulendo libri, armadi, comodini, cazzi e, soprattutto, mazzi vari.
Ore 20:00 paninetto misto aria giù al Centrale, che la Raffa è frocia e me lo ha anche confermato qualcun altro, mentre altri ancora dicono che è mezza e mezza, cosa che mi metterebbe in overbooking volentieri, perché la tecno-cougar è assai appetitosa ed inquietante, anche se tutti concordano che è tempo perso.

Poi su a casa, preparare il letto fresco, doccia depolverizzante e, alla volta delle ventidue e zerotre mi scappa un uozzappo, ma non alla Skizza, ma alla Anto.
Uozzappo da amicommerda, ben cosciente che il Sa-aaarti (che fa l’autista di quei furgononi col tetto alto e le ruote doppie dietro) a quell’ora della domenica è in fase di riposo/preparazione perché parte alla volta delle ventitre e qualcosa.

“Dormi?” esordisco in punta di tasti della graziosa applicazione.
“No! Stavo guardando Report” e segue un faccino sorridente.

La Anto, dovete sapere, è una trentacinquenne che vive ancora con la mamma e il babbo, è tristemente disoccupata causa licenziamento dalla fabbricona dove lavorava come amministrativa e ora trascorre le sue giornate a far da badante ai suoi (simpaticissimi, peraltro) genitori, sperando che Gesù Bambino le porti anticipatamente un lavoro.

“Report. Da ammazzarsi dall’ottimismo” ricamo con garbo.
“Infatti!” risponde con faccina sorridente con bocca aperta.
“Te la butto lì” chioso con simpatia fratellonza “ma se io venissi lì tu me lo offrissi un caffè? O sei troppo stanca? Guarda che si può rimandare eh, ci mancherebbe.”
Pausa, pausa, scribble, scribble.
“Se non ti fa schifo che sono in pigiama volentierissimo!”

***

I grilli.
Non li ascoltavo da una vita, sono bellissimi. Seduti su tre scalini di pietra di una vecchia casa con cortile rurale, un uomo e una ragazza chiacchierano sottovoce, dopo aver bevuto un caffè di sopra ed aver reso onore ai simpatici vegliardi.
La ragazza indossa un pigiamino a fiori rosa su fondo azzurro, leggero, i cui pantaloni arrivano sino a metà polpaccio, calza delle infradito di gomma color azzurro cielo con suola color azzurro cielo e bianca e si copre le spalle con una felpa grigia col cappuccio.

La ragazza non è bella, non lungo i parametri della figheria riconosciuta a livello europeo. Lei rappresenta l’assoluta gradevole normalità, tinta di una somiglianza non vaga con Debora Villa prima che diventasse anoressica e marcatamente figa aggressive, up-to-date. megakewl.
I due siedono, chiacchierano, lei tenta di affrontare l’argomento “amica deficiente” ma lui non ha cazzi, lui invece si gira una cannina chiedendone il permesso e resta stupito di come lei ne richieda un tiro con totale naturalezza, “Ma tu non eri una non fumatrice?” – “Di sigarette sì, ma a una cannetta tranquilla non dico mai di no, è che il Sa-aaarti mi rompe i coglioni”.

Eccerto. Il puttaniere inverecondo rompe i coglioni alla santa donna per un cannino.
Mi sembra equo ed equilibrato. E’ moralmente giusto.
E i due chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano, anche un po’ lubrificati dall’erbetta pazzescapazzeschissima, ma anche perché ce n’avevano da dirsi, negli effetti, a livello generale.

E i grilli grillano che è un piacere autentico e la ragazza chiede all’uomo se ce n’ha ancora da girare che era buonissima e l’uomo, pacatamente, risponde incominciando a preparare, mentre la donna si abbraccia le ginocchia e lo guarda di traverso col capo appoggiato alle ginocchia stesse.

“Stai bene coi capelli raccolti” - egli dice rollando esperto lo spinuzzo – “sì, sto bene come mia nonna Abelarda, ma son troppo comodi” – replica l’insoddisfatta ragazza.
E i grilli grillano, gli spini spinano, le chiacchiere chiacchierano e l’uomo, ben sciolto dalle fumigazioni si spinge a dire ciò che pensava sin lì ma non aveva il coraggio di dire, ovvero “Che bei piedi che hai, non te li avevo mai visti”, affermazione che scivola molle e che porta come risultato una verticalizzazione con spread delle dita e nessun commento di ritorno.

Fumagione, passagione e poi l’uomo richiede un parere all’amica: “Secondo te” – egli inizia con aria impegnata – “è da considerarsi un gesto intimo se un uomo ti tocca le dita dei piedi?”
 “In che senso ‘intimo’?” – chiede lei accingendosi al tirino – “nel senso di valenza erotica e/o sessuale” – risponde lui riprendendo il cannino – “boh, non credo” – dice lei appena pensierosa – “sei un feticista?” – chiede intelligentemente – “Sì, molto” – risponde egli affogato di verità – “E allora me lo devi dire tu che valenza erotica ha per te toccare le dita dei piedi di una donna” – incalza lei ben lucida relativamente alla logica della discussione di spessore – “Per me ha un’alta valenza erotica” – risponde lui passando il cadaverino ormai morente – “Ecco” – dice lei aspirando con un occhio semichiuso, mentre lui approfondisce – “Quindi se io te le toccassi, sapendo tu che per me il gesto ha una valenza erotica, ti infastidirebbe?” – “Credo proprio di no” - e poi squilla in una risata – “D’altra parte, dopo aver visto il tuo pisello duro ieri, credo di non sapere di cosa stiamo parlando”

E l’uomo ride e poi si fa serio e poi tocca, sotto lo sguardo molle e sorridente di lei che continua a guardarlo di traverso con la testa sulle ginocchia abbracciate.

Null’altro.
Nient’altro.
Un rilievo sull’ora tarda dopo un silenzioso periodo di carezze fetish a quelle lisce dita calde, un bacio della buona notte ed un ritorno a casa voglioso e necessitante di abbondantissima masturbazione e di iperattività notturna che aiutasse a porre un filo conduttore a sensazioni imprecise ed agitanti, miste al terrore di essere a un passo dal baratro devastante, miste alla magia dei grilli e di un’intimità dolce, inattesa ed intensissima.

Ditemi che non mi sto ficcando nei guai.

lunedì 27 aprile 2015

Cazzo di qua, cazzo di là

Cazzo se piove. E fa anche freddo.
L’unica nota di rilievo positivo è che mi dicono che oramai da qualche mese la Solita tiene aperto sempre. Sempre. Per cui anche di lunedì, infrangendo l’antico assioma lunedì > Osteria quella Nuova e/o winebar. Il winebar poi è morto, per cui La Solita, asso pigliatutto, vince a cappotto ed il banco perde. Che si strafoghino di paella karaoke all’Osteria quella Nuova. Dozzinali.
Chissà quanto cazzo ci vuole a rimettere in piedi il winebar. Che poi bisogna pensare che se ha chiuso è fallito e se è fallito ci sono i debiti e che se è fallito per i debiti la gente non c’andava, boh, non so, ma mi viene salomonicamente da dire checcazzomenesbatte che c’ho altro per la testa.

Cazzo se piove.
Mi soffermo meditabondo ad osservare dalla finestra l’asfalto picchiettato di gocce di pioggia mentre comprimo il glande nudo tra pollice ed indice, chiedendomi con curiosità scientifica se la Maggie anche oggi avrà il sandalo porconudo oppure andrà calzando deprimenti scarpe antipioggia. Mah. Certo che se avessi il suo numero di cellulare glielo potrei anche chiedere, ma sull’onda anomala della grigliata convivialasessuataamicale non mi sono sentito di chiederglielo. Certo, basterebbe rivolgersi all’Antonella ed il giuoco sarebbe fatto, ma preferisco che la voglia sozza mi salga oltre il livello di guardia e i muretti di contenimento, in maniera da liberare il Taziosauro Bestiax in tutta la sua impetuosa ed irrinunciabile violenza eroticiselvatica.
Soffrire per poi godere come cinghialibestia, ecco l’assioma.

L’Antonella, santa donna. Sopportare quel gran puttaniere distratto del Sa-aaarti ci vuole proprio della gran pazienza, anche perché la distrazione nei truschini ficcaioli può risultare oltremodo offensiva per la parte lesa, che si ritrova sì cornacea, ma senza nemmeno l’onore delle armi, poiché il Sa-aarti agisce senza cura dei dettagli nascondenti.
E se la fica rumena stradale gli fa ‘sto effetto, che cosa ci si deve fare?

Cazzo se piove.
Mi son piallato di seghe oggi, nove per l’esattezza, tra il pensiero delle bombe ipertrofiche e sbarazzelle della Nadia, tra il pensiero fugace di un momento culaceo dell’Antonella piegata a novanta a prendere il pane e diverse angolazioni della mise fottimidurodibruttocazzomerdachenoncelafacciopiù della Maggie.
Ho ritrovato i piaceri della felpa black block con corallo sopra e nudo sotto, la mia condizione naturale di segaiolo in clima fresco. Che meraviglia.

Domattina banca, chissà che anticipiamo i tempi, cosa che mi aggraderebbe parecchio. Penso si possa fare, visto che è da un po’ che ci smanazziamo di sopra e oramai ho consegnato anche fotocopia del campione delle mie feci. Vedremo.

Nessun uozzappo allieta il mio display; forse è ora di farla finita coi film in cinemaschizzoscope e tirare innanz, facendo magari prua verso il bar della Sudiciona Siusy in orario di chiusuraoreventi, togliendomi le vogliette sozze e contro natura che l’aria di casa mi mette a mazzetti, oppure virando verso la palestra dell’ardimento nella quale inchiodare al muro la proprietariAle abusando del suo ano strettissimo fottendomene dai suoi dolori (chechiccazzosenesbatte), oppure  approdare ad un randevù al tennisclebb con la Gran Maestra del Grande Culante d’Italia Adele dolce Fiele, ammesso che il suo carnet sia provvisto di un posto minchia per il sottoscritto.

Cazzo se piove.
Cazzo che voglia.
Cazzo che bello.

venerdì 17 aprile 2015

Medicami il giramento di coglioni, piccola moldava deliziosa

Sul far delle ventitre e quarantadue minuti rientro all’albergone lussuosone nella cui suite lussuosona una sensuale moldava dalle bellissime forme siede su una poltrona, accappatoiata di bianco, sgranocchiando biscotti al cioccolato, guardando un film dal linguaggio arcano.

“Ciao!” ella mi dice sorridente senza chiedere dove sono andato, né con chi ci sono andato. Brava.
“Ciao!” le rispondo inginocchiandomi dinnanzi alla poltrona sulla quale ella siede con le gambe rannicchiate ed i bei piedi nudi, approcciando la mia bocca a quelle erotiche estremità per succhiarle e far godere la mia lingua. Calde dita mi pettinano i capelli e un sorriso sfocato in secondo piano mi rilassa.

“Sei contenta che andiamo a Riga?” chiedo mentre mi spoglio per entrare in doccia a lavare via completamente la Venka dalla mia vita.
“Uh sì belizimo, mi piace sì” risponde squillante con quell’accento che tutti noi, puttanieri e non, conosciamo perfettamente e che a me piace per la cadenza che si impunta e poi sdrucciola.

E mi doccio.
Mi bagno e mi insapono le mani, ma poi una bella moldava nuda entra nel giganterrimo box doccia dicendo “Faccio io” e comincia a far schiuma da una spugna morbidissima che sfrega con lentezza in ogni plica del corpo, mentre la Venka grida un fioco “Addiooooo” scivolando nello scarico.
“Appoggia le mani sul muro e apri bene le gambe” mi sussurra soave la mia geishtitutassistente ed io obbedisco, godendo di tanta amorevole cura.

E penso.
Penso che a poco meno di un migliaio di chilometri da casa ho trovato una dimensione veramente buona, assolutamente al di sopra delle mie più rosee previsioni, in un Paese così dispersivamente grande da non saper nemmeno della mia esistenza, in mezzo a un popolo dalla lingua così difficile che vengo capito appena quando tento di parlarla e che, generalmente, non capisco quando viene parlata, ma sono in un gigantesco box doccia rivestito di pietre scure, con una bella figa di venticinque anni che mi lava così lentamente e così amorevolmente che la minchia punta al cielo con fare astronomico e, osservandole i segni appena più chiari lasciati dai triangoli di un costume usato in rarissime occasioni l’anno scorso, mi eccito e mi dico che son contento.

Sì.
Le lingue guizzano in un abbraccio acquoso e penso alle stupide aspettative della Venka e carezzo le sferiche chiappe appena un po’ generose della Romi e sento la minchia che le spinge sulla pancia e penso al Costa che è così inzaccherato nella merda di fogna più bassa della città e ci sguazza come una pantegana autoctona e penso che andrò a Riga con lei  e saranno bei giorni e, commosso dall’entusiasmo, la sollevo da terra appoggiandole la schiena al muro, scivolandole dentro aiutato dalla sua mano, reggendola di peso da sotto le cosce per cominciare a chiavarla con affetto ed amore, senza mai smettere di slinguarla, perché mi piace da pazzi come limona e, mentre le chiavo il buco bollente della fica sotto l’enorme getto caldo della doccia, penso che fuori piove e io sono lì con la mia femmina, che esegue e non chiede, che non alza un sopracciglio di disappunto mai, che si accosta con curiosità al letame sessuale che riempie la mia testa e io la chiavo lentamente e accuratamente, per farla godere da crisi epilettica, mentre fuori piove.

E anche se mi sforzo, amici, non vedo difetti in questo stato di grazia.
No.
Son contento.

lunedì 13 aprile 2015

Meriggiali domenichiadi parchensi taziee, romildee e praghee, basi dell’intrapresa futurea

Stesi satolli e affumicati, Romi ti togli le scarpe e i calzini?, sorriso del tipo “lo so” e poi via, bella stesa e scalza sull’erba, dio che tiro di quattro avelignesi nelle mutande  he c’ho, poi le palpo le tette sul giubbotto della tuta adidàs e sento che manca qualcosa, ce l’hai?, no, sorride, sorrido, allora apriamo la zip?, se vuoi, ma sei poi arriva la polizia?, meglio di no, cazzomerda, ti palpo così lo stesso, e mi sbottono i jeans, steso su un fianco e mentre limono faccio prendere aria alla manichetta dell’idrante dell’amore e sento delle dita sorridenti che sfiorano e poi un giubotto che rende private le intime relazioni umidintime e lei, puttana in senso esclusivamente creativo, muove le ditina dei piedi, io mugolo e lei sussurra roca e sorridente, scapigliandomi lenta “ti piacciono tanto eh?”, “da morire, ma soprattutto mi piaci tu”, “anche tu” e lingua, lingua, lingua, lingua, giaccone che copre anche il suo bacino, zip et voilà, si accarezza la micia accarezzandomi il boa e quando tento di rendere collaborativa la manovra ricevo un “no ho voglia di farmi io, tu continua a baciare bene così”.

Canna, vodka, intimi palpeggi ed agresti masturbazioni, il cielo va e viene, ma che bello e che bene e sotto il giaccone coprente l’adidàs è aperto e le poppette chiodate accessibili e più veniamo e più ci ingolliamo, e più ci ingrifiamo e più fumiamo e beviamo, più lei diventa osè, gioca, si scopre, si ricopre, piccola esibizionista repressa, ma poi materializzo un’idea in un fulmine di razionalità e gliela propongo.

“Ascolta” le dico mettendomi a sedere, raffreddando l’irresistibile fornicazione tra noi.
E le prospetto il quadro fresco di stampa, semplice, pulito, intelligente, stimolante e sereno.
Le propongo di chiudere col bordello lunedì sera, liberandosi senza umiliazione, rendendola edotta del fatto che il Costa l’ha già infilata sulla rampa di lancio, ma tanto lei lo sospettava.
“E poi?” mi chiede, lontanamente lontana dal resto, ma io mi affretto a delucidarla.
“Poi ti assumo io come assistente” e lei, vuoi la canna, vuoi la vodka, vuoi la fica gonfia di voglia come i salsiccioni dianzi mangiati, ride come una matta.
E invece non ridere sciocchina: ti assumo come assistente, ti do mille euro al mese, più vitto e alloggio. Se vorrai rimanere dove stai ora ok, ma io fin da stasera prendo una suite all’Hotellone Lussuosone e da domani sera se vuoi puoi stare da me, mentre da martedì mattina ti metti in moto a trovarmi un ufficio e un appartamento in Praga 1. Quando avremo l’uno e l’altro terrai la casa come una mamma, pulirai, laverai, stirerai e cucinerai, verrai in ufficio dove ti farò fare delle telefonate, perché visto che parli ceco, russo, italiano, rumeno e inglese sarebbe un peccato sprecare tutta questa abilità con la lingua e lei mi guarda trasognata.

“Guarda che se prendi per il culo io non rido”
“Non prendo. Dimmi di sì adesso e andiamo dall’avvocato a fare il contratto di lavoro”
“Devo pensare”


“Ok pensaci. Pensa anche che puoi dire a me che te ne vai, perché io lì dentro valgo un terzo. Così mentre vai a recuperare le tue cose, io sbrigo la suittona dell’Hotellone Lussuosone e chiamo il Costa e tu da subito stai con me.”

Pensieri silenziosi per due ore, abbracciati, meno libertini, affettuosi e carini e poi lei si alza, decisa, si chiude, si sistema.
“Andiamo avvocato prima per favore, mia risposta è sì”.

Taziosuperstar.

Sabatiadi taziee e principi di domenichiadi soavi

Sabato sera, drin giù al Vosco, fratello mandami in camera la Romilda e segnami un overnight con lei, la Romi arriva dopo mezz’ora, scusa un cliente, vestaglia di raso dell’HBH, calze nere velate con reggicalze vintage molto ben lavorato, tacco dodici, niente mutande, reggiseno a balconcino spara tette in su, la accolgo totalmente nudo con canna accesa in bocca e canna scaèppellata sotto, lei sorride, si toglie il raso HBH, si toglie le scarpe e accetta di tirare una boccata e io osservo quelle ditina dei piedi ben fatte e destabilizzanti, sotto la calza nera velata e trovo che la scelta di un rouge-noir, seppur da supermercato, sia vincente. Mi siedo accanto a lei sul bordo del letto, mi ripassa la canna e così, a mani libere, comincia a giocare col mio Obelisco di Carne di Puro Porco, sortendo rapidi effetti, specie quando, con destrezza consumata, con uno snap si toglie quella ridicolaggine di reggiseno, che le sue poppette son già così belle che coprirle è sacrilegio.

Io non amo la lingerie, lo sapete benissimo, ma ieri sera mi ha messo uno sturbo particolare, vuoi la canna, vuoi il rompimento di coioni della giornata, vuoi le settecentosettantadue seghe che mi ero tirato per accoppare il tempo, vuoi che lei non sarà la regina del bordello, ma é comunque una gran gran gran figa dagli occhi neri magnetici e, spesso, sensualissimamente sinistri. L’ho succhiata e leccata come se non avessi mai leccato una figa e un buco del culo prima in vita mia, inginocchiato sul pavimento a bordo letto, mentre lei giaceva a gambe ultraspalancate ad offirmi quella liscissima papaya odorosa e quel litchi culeo che arrossato pulsava e si introfletteva ed estrofletteva e io ci andavo matto.

L’ho fatta venire di bocca quattro volte e poi, rifiutando il pompino di rito, l’ho montata come un operaio della FCA di Detroit: con perizia, decisione, efficacia ed efficienza, venendo con lei la seconda volta che, come mi accade quando sono veramente infoiato, è senza soluzione di continuità con la prima, cadendo poi stremati sul letto dopo ore due e diciassette minuti di catena di montaggio ininterrotta. E allora doccia assieme limonando lentamente lavandoci i sessi a vicenda, puoi fuori ad asciugare e altra canna, vodka, carezze, baci, flirt leggerissimo entrambi nudi, poi musica, balliamo, canna, vodka e poi a letto, altro ritmo, altro stile, altro afflato, altri orgasmi e poi, entrambi cotti siam caduti tra le braccia di Morfeo, avvinghiati, nudi sotto il piumone, pelle su pelle, ma cazzomerda, ‘sta moldavina moretta è gradevolissima assai, che bello e che bella.

Ore otto e lei scatta, ma dove vai?, è finito il turno, ma vuoi andartene?, credo che io deve, no tu deve se vuoi, ma quelli, ma checcazzo e io chi sono?, tu sei diverso da loro tu sei buono, ma allora siediti e ascolta, ti va di farti la domenica con me? Scendi e chiudi l’overnight, poi sali coi tuoi vestiti civili e ci rimettiamo a letto a dormire fino a mezzogiorno, poi usciamo e camminiamo verso parco Folimanka e per strada ci fermiamo a mangiare quelle salsiccione con la senape e poi comperiamo una bottiglia di vodka e andiamo al parco a svaccarci al sole e a farci due canne e a dissetarci di vodka e poi vediamo. Come ti sembra?

Sorride timida e luminosa e dice "belo, mi piace".
Ma che bella domenica alle porte.
Ha!

domenica 5 aprile 2015

Serate ceche, pistole e la calda bocca salivosa di Artemisia

Tra un’ora sarò seduto ad un ristorante ceco che fa carne d’elite con la carne con cui vorrei ristorarmi alla cieca.
Mi duole appena appena il buco del culo e per chi sa di cosa parlando, tale dolorino mi mette signorilmente nella condizione di sentirmi una femmina sensuale. Il che, secondo me, potrebbe essere anche un problema.
Ma mai chiudere i buoi a casa della moglie dei paesi tuoi quando ormai la stalla è scappata col carro.
Per cui, vestito Canali antracite con camicia rigorosamente bianca senza cravatta e sotto un perizoma a rete la cui porzione culare scivola sulla cremina lenitiva che ho amorevolmente cosparso sul muscoletto strapazzato, sono ultrapronto ad affrontare questa serata dai toni misteriosi immaginando, con un sorriso di autentico piacere e simpatia, l’abilità oratoria di Artemisia scatenarsi sul mio glande lucido dalla voglia della sua bocca calda e della sua lingua e... mio dio basta, o arriverò all’appuntamento con una grossa e visibile pistola in tasca.
A domani.


venerdì 3 aprile 2015

Progettazione uovale

Questa mattina mi sono spostato dall’albergone lussuosissimo verso l’Humble Brothel and Hotel, ma solo dopo aver completato le note cerimonie di tappìarrullanz, nuoto, sauna e colazione.
Come accennavo nel post precedente, mi sono colà recato per ritirare la mia busta gialla  contenente i danari guadagnati ieri con il sudore della fica delle cavalline erotiche, verificando anche nel contempo che nessuna delle troie fosse morta e che nessun cliente pure.
Superate queste cerimonie amministrative, che mi fanno sentire veramente un uomo di business arrivato, mi sono spostato all’Hotel, che ho temporaneamente abbandonato causa italica presenza, per andare a salutare la Venka e a ringraziarla personalmente della cortesia in merito alla ricerca dell’ipotetico locale dell’ipotetica galleria dell’ipotetica arte.

Ma vi dirò sino in fondo: mi correva anche la curiosità di sovrapporre quell’immagine onirica di lei porca, plasmata durante la mia piacevole sega, con quella reale. In altre parole: che margine di realtà può possedere l’ipotesi di una Venka maiala che cavalca il mio cazzo randazzo rampazzo mugolando in ceco mentre le sue capezzolute mammellone dondolano materne e vigliacche? Ci può stare che possa essere vero che la mia imperfetta sposotta coetanea sia amante della cappella introdotta nei suoi più intimi, carnosi e odorosi orifizi, oppure è semplicemente il sogno di un erotomanepornosessivo impenitente?

Difficile a dirsi, davvero difficile a dirsi. Con una nota di tristezza debbo anche ammettere che la Venka mi ricorda nel tipo (non nelle fattezze, seppur anch’ella munita di ragguardevole culone estasiante, specie se immaginato intarsiato di cellulite erotica) la Marghe Margherita Marghera, che frantumò, assassina spietata, tutti i miei pornoromanzionirici con quella gelida dichiarazione di chiusura totale verso il sesso.
Mah, argomento fumoso e spinoso, non so.

So solo che lavora domani e domenica, ma lunedì è a turno di riposo, cosa che le impedisce forzosamente di ricongiungersi con la figlia che, attualmente, vive a Katowice in Polonia con la sua famigliona, che non è propriamente dietro l’angolo.
Per cui, cara Artemisia, può anche essere che domani mi prenda lo sghiribizzo di invitarla a cena da qualche parte, indagando sulla percorribilità del sentiero selvaggio che conduce all’interno delle sue mutande a vita alta con cappette al bordo incluse.
Anche se, ripeto, la vedo gran difficile da sperarsi.

Tra poco scenderò nella sala ristorante dell’albergone dove mi sfamerò di cibi che non esistono, ovvero di quei cibi dal sapore strano, anche se gradevole, che inducono a pensare siano propri della cultura di un paese che non esiste, popolato da persone senza volto, oppure da Playmobil gialli dalle braccia senza gomito; l’avete capito: mi riferisco alla cucina internazionale.

E poi non so.
La hall pullula di puttane ultrastrafighe di altissimo bordo, magari ne invito una in camera a vedere la mia collezione di unghie dei piedi e di caccole, oppure mi abbandono ignudo sul letto a vedere senza nulla intendere la bulgara Planetatv o mi sforzerò di capire una puntata del Commissario Rex in ceco o di Friends in russo che rende un casino, specie nelle battute.

Vi aggiorno domani, buona serata.

 

giovedì 2 aprile 2015

Ma siete fieri?

Ma siete fieri di me?
Ieri mattina sveglia a un orario normale per la quasi totalità dell’umanità, discesa nella palestra dell’albergone, un’ora di tappìarrullantz, doccia, venti vasche in piscina, doccia, sauna finlandese, doccia, camera, vestito da signore con la giacca, colazione internazionale, uscita dall’albergone, taxi, incontro con amico della Bara (ma che brutto che fa ‘sto dire) per visita a ipotetica location non male, caruccia, da pensarci. Pranzo col tizio in bistrottino della città vecchia (vegano! vegano! che di maiale in tutte le salse non ne posso più) distinti saluti e partenza.
Ore quattordici e trenta, puntuale come uno scolaretto, due ore di ceco che il signoremisostenga, poi pausa un’ora, fettina di torta e caffè americano all’angolo, ore diciassette e trenta ritorno alla scuola delle torture e sotto con due ore di russo che la fede mi vacilla.

Ovvio che dopo cena casereccia all’Humble Brothel mi sono inculato la Romilda, così, un po’ per voglia di culo sporco, ma un po’ anche per farle fare del budget anche se non ha senso pagarla perché lei lavora per me, ma la ragazza va anche tutelata dalle ire del Costanzone.
C’è poco da fare: sfondata è sfondata, non è neanche malazzo, non si sottrae a nulla, ma non c’ha il quid, non c’ha.
Evabbè, resta sempre una ragazza dai modi garbati.

Anycase, siete fieri?

lunedì 30 marzo 2015

La Troja e la Bara

E allora arriva ‘sta orda di russi che invadono il mio bell’alberghetto perché son lì per affari e il Costa gli procura cena, dopocena, camera e copertine umane, indaffarato come un lacchè a correr dietro a questi esseri infami, chiudendo l’Humble Brothel solo per loro, catering italiano e leccate di culo e a me vien da sboccare, tant’è che faccio su due cose nello zaino e decido di dormire in un altro albergo a cazzo, possibilmente confortevole e silenzioso.

Schiodo approssimativamente alla volta delle diciassette e tredici, momento in cui anche Venka, la concierge del turno diurno lascia il lavoro e allora la accompagno per un pezzo di strada. Va detto subito che tra Venka e il concetto di figa c’è lo spazio che separa me da un chirurgo ortopedico, ma è una persona molto cordiale, sulla quarantina, che parla perfettamente inglese e due chiacchiere non mi guastavano affatto.

Al che io la butto lì, così, senza secondi fini, sciallo, isometrico e un po’ piezometrico e le chiedo se le va di mangiare un boccone e lei mi dice di sì senza sforzo (ah che belle le donne dell’est! No fa no e sì fa sì senza tante moine) e allo scopo di compiacermi mi porta in una pizzeria italiana che lei reputa il top, che italiana lo è come io sono ceco, ma apprezzo sperticandomi in lodi e ringraziamenti di farmi sentire a casa e mangiamo ‘sta strana cosa che chiamano pizza.

Si discorre, la Venka è divorziata, c’ha una figlia di ventidue anni sposata e bella che mamma, mi racconta, poi mi chiede, le racconto due frottole e poi una cosa vera: mi piacerebbe trovare un adeguato luogo in cui pensare di poter aprire una galleria d’arte, magari nella quale dipingere anche e ma che bello, ma sì, ma vero? ma ti giuro e allora lei mi fila la dritta: quando voglio, una mattina, devo raggiungere piazza Troja nella città vecchia (giuro, morissi qui, c’è una piazza Troja in cui devo ASSOLUTAMENTE trovare casa) e in una certa galleria d’arte contemporanea pubblica cercare una guida turistica sua amica, tale Bara (il nome non promette niente di allegro, ma amen) che pare potermi aiutare che è del settore.

Così domattina vado in Piazza Troja a incontrare la Bara, che stamattina c’ho avuto i miei cazzi da risolvere con noiose questioni di banca.
Bella serata, comunque, onesta e serena, terminata alle ventidue e trentuno, ora in cui ho fatto il check in in un albergone del centro dove riposare silenziosamente le mie stanche membra.

Nessun uozzappo mi ha chiesto se dormivo ed in cuor mio non me ne poteva sbattere di meno di sapere se qualcuno dormiva via uozzappo.
Ho solo pensato alla Venka e a come deve chiavare, me la sono immaginata che mi cavalcava tutta nuda ed eroticamente imperfetta e mi sono tirato una sega di non disprezzabile fattura.

Oh ma sapete che ‘sta Praga funziona?
Rimane il nodo Pasqua da sciogliere, ma ne parleremo diffusamente in un altro momento, che mica è roba che si liquida in due e due quattro.
Basgi, amisgi e amighe.

martedì 24 marzo 2015

Bentornato, Tazietto

"E allora Tà, ghe mi raggonti? Te le sei sbudellate le bottane lacciù?”
Una di notte, viaggiamo comodi e silenziosi su un enorme coso americano nuovo di zecca che puzza di plastica e nylon e occhieggia dagli strumenti una luce azzurrina diffusa che rende la faccia del Costa simile a quella di Kirk nei momenti più impegnativi. Sono stanco morto, il viaggio è stato una merda. Mai più da Bologna, mai più.

“Mi sono sbudellato solo la tua ex morosa Susy, che le altre manco mi hanno cagato di striscio a parte un ‘oh ciao, che bello’ “
“Minghia Tà pure tu che cazz t’haspettav il tappet rozz? So tre secoli che non di fai biù vedere allà. E la bottanona come shta? C’ha sempr fame di minghia ah? Che maiala bottana troia porcoddio, ahahahahahahaha” e ride ride ride, ride sereno, proiettato a velocità da sedia elettrica sulla strada che dall’aeroporto porta a Praga.

“E qui? Novità?” chiedo interessato.
“Maaaaaaaaaah niend di ghe, due crucc che avevano rotto il cazz la settimana scoss che erano fatti come delle bbestie e allora il Vosco e i racazz li hanno spaccati, impacchettati e sbattut fuori, poi niend, la Galina va fortizzim, gettonatizzim, chiava come na macchin da cuerr santalamadonnasantissim, mai la camera vuota che faccio fatica a farmi fare un bombino alle tre del pomericc, mentre quella rumena, quella come minghia si ghiama, dai quella piccoletta mora coi capelli lunghi, pallidissima con le minnette piccole, vabbè non imbord vafangulo, quell proprio non funziona Tà. Ci devi parlare tè Tà che se no la dobbiamo mandare via che ci fa rimettere”

“Si chiama Gema”
“Ecco Gema vaffanculo porcoddio proprio lei, parlaci Tà”
“E ci parlo, ma mica sono uno psicoterapeuta mago, se non ci sa fare, non ci sa fare”
“Teh parlaci gumba, fammi questacottesia”
E te la farò ‘sta cortesia, cosa devo dire. Tanto parla in italiano.

E poi arriva Praga e le luci e noi ci fiondiamo dentro come dei rapinatori a velocità mostruosa, che il Costa guida come Driver l’Imprendibile, anche se nessuno ha intenzione di prenderci.
Come mi sento integrato in questo mondo di classe e in queste attività raffinate, come mi sento estasiato da questo lessico ricercato da queste figure retoriche, insomma, mi sento proprio in famiglia.

“Costa cosa fai a Pasqua?” chiedo mentre dribbliamo ogni cosa che si muove nelle vie più storiche della città.
“Maaaaaah io gi bensavo di farmi una discesa a casa per rilassarmi quacc ciorn ma non ho ancora decis e tu?”
“Io la solita minchia Costa.”
“E allora prendiamo e ce ne andiamo ammare assieme Tààààà e ci sbattiamo i goglioni eddai Tà”
Controllo sul telefonino: piove a cannone a Pasqua laggiù, minima 12 massima 16, ma che cazzo andiamo ammare? Andiamo ammare con Schettino se lo avvisiamo.

Poi, finalmente, arriviamo.
Porta sul retro, ci sediamo a tavola, vino rosso, salame calabrese “che questi cazz di cechi fanno di manciare merda schifos, mancia, mancia gumba che è robbabuon” (tutto vero) e facciamo una merendina così, mentre Costafrate rolla le mie pastiglie per dormire.

Ci poteva essere accoglienza più familiare e calorosa?
No, credetemi.

No.
Casa.

venerdì 20 marzo 2015

Premiazioni

Ti premio.
Ci sei stata come se non fosse passato un giorno e io ti premio, mia Vacca.
Ti premio indossando i Paramenti Sacri della Premiazione, mentre ti tormenti allupata e sbavante la Gran Sorca Sozzissima, osservando e mormorando “oddio”: indosso l’anello sotto la cappella, poi indosso il triplo anello che mi strozza la base del cazzo e mi gonfia i coglioni, mi ungo d’olio il Bastone Imperiale mentre esso comincia a divenire scurissimo, viola e intarsiato di vene sublimi, perché il premio prevede che tu sia battezzata dalla mia bestia in veste devastatrice e disumanamente devastante.
Ti premio, quindi, ficcandoti quell’arma letale di carne da sesso nei tuoi buchi slabbrati.
Assegnandoti il premio a prescindere dalle tue urla di dolore, perché vai premiata ovunque.
E il premio ti va assegnato selvaggiamente, come se fossi sordo e cieco, esattamente come lo hai sognato tu, Regina della Stalla e io, Gran Fattore Imperiale delle Vacche Sozze.
Ti premio per ore, orgoglioso di glassarti la faccia di sborra urlando blasfemo, rimanendo comunque mostruosamente  duro e sensualmente deforme, pronto per rientrarti nel culo ferito e assegnarti premi minori, inzaccherandomi di liquide feci del piacere.
Ti premio sudando, godendo della tua fetida sporcizia animale.
Ti premio sino ad esalare l’ultimo rantolo di piacere, a quel punto, abbracciato al tuo untuoso corpo lurido, lasciando che lentamente il fenomeno ultratererreno riassuma fogge umane.
E a conclusione della premiazione brindiamo, dapprima urinandoti in bocca io, gioendo di come ingoi il Millesimato di Gran Vescica Imperiale che ho riservato per te, Vacca delle Vacche, Regina della Fiera della Bovina della Sborra, secondariamente bevendo avido i diversi schizzi di piscia rovente che mi spari in gola tenendo aperta la tua carnosa farfalla odorosa.

***
Torni dal cesso, mentre io giaccio sublime sulle tue coltri, fumando.
“Mi fa sangue il buco del culo” mormori assestandoti due pieghe di carta igienica tra le chiappe.
“Vieni qui” dico io, Padre e Padrone, Toro Loco e Montone, accogliendoti sotto il mio braccio, consentendoti di accoccolarti.
“Come mai niente smalto?” chiedo placido osservando quelle dita dei piedi sublimi da cui sorgono cresciute unghie giallastre, non per questo senza il loro fascino sensuale da favelas merdosa, anzi.
Fra poco Taz, fra poco che arriva la primavera. Ma se te resti anche domani!...” e ridi.

Resto?
Non lo so se resto Siusibestia, è complicato, ma sii certa che se resto tu lo saprai.
Sei la Regina, la Premiata, la Bovina Campionessa, per cui sì, mettiti lo smalto.
E mi rilasso inalando l’acre profumo di ascelle, sessi, piscia, sborra e merda, beato di beatitudine, commosso di accoglienza.
E un po’ in colpa di aver, nel passato, tanto bistrattato quella Donna che, alla fine, si è dimostrata l’unica persona che tiene a me.
E io non posso che ricambiarla con tanto, tanto, tanto amore.
La Susy.
Ha!