Mi sono davvero impegnato ieri sera. Perché la Chiara è in preda al
terrore dell’imponderabile.
Mica si può biasimarla, intendiamoci. Solo che, a un certo momento,
bisogna riordinare gli elementi e mettere a punto una strategia, pena il
collasso cerebrale.
E questa considerazione l’ho fatta a lei, ma l’ho anche fatta a me,
perché c’è poco da fare, che balla ancora lo si sente.
E allora siamo andati all’Osteria Quellanuova, ci siamo fatti una
cenetta leggera, che tanto di fame ce n’è poca in giro, e abbiamo incominciato
a ragionare.
Questo terremoto è un disastro, ha ucciso sette persone, ha distrutto
pezzi di storia meravigliosa, ha modificato incisivamente la vita di circa
5.000 persone sfollate e improvvisamente senza lavoro. Sfollate e improvvisamente senza lavoro, ma vive. Dobbiamo convenirne anche se suona
cinico: terremoti di intensità paragonabile hanno fatto sparire più di 300
persone all’Aquila e quasi 1.000 in Friuli, per prenderne due, devastando in
maniera indescrivibile.
Possiamo dire che poteva andare molto, ma molto peggio? Sì, possiamo e
dobbiamo dirlo.
E allora stringiamoci chi i coglioni, chi la figa, e tiriamo avanti.
Balla? Ok, balla e ballerà parecchio per parecchio. Possiamo smettere di vivere
abbracciando Scientology e attendendo la morte seduti?
Ma sarebbe una ridicolaggine assurda ed un’offesa sia ai morti che ai
vivi in grande difficoltà.
Verrà una scossa micidiale che ci ingoierà tutti nelle viscere della
terra? Non lo sa nessuno. Ma intanto siamo vivi. E la probabilità che arrivi
non è certamente pari a zero (seppur bassa), ma c’è anche la probabilità che
domattina, mentre vado a lavorare, un ubriaco alla guida di un autotreno mi
travolga e mi uccida.
Per piccoli passi bisogna scordare il week-end e cominciare a
concentrarci sulla fortuna di essere in piedi e senza bua.
Le ho poi fatto il programma di oggi.
Le ho detto di prendere la macchinina (le ho comperato una Smart che è
arrivata sabato, ironia della sorte) e di andare a trovare quella squinternata
della Raffa, di vedere amici, perché la condivisione dà coraggio. Perché
condividendo capirà che la tensione dell’imponderabile è di tutti, nessuno
escluso, per gradienti emotivi diversi.
Poi la spesa, con la Raffa. Poi qui per pranzo che a pomeriggio andiamo
via assieme che devo andare da un cliente e ho delle cose da sistemare. Piccoli
passi. Mattina on her own, pomeriggio, sera e notte con me.
Bisogna reagire.
“Mi sento in colpa a fare una
vita normale mentre a pochi chilometri c’è il disastro”
Sbagliato, Skizza. Cazzata pura.
Perché allora è una questione di distanza chilometrica. E lo tsunami e
Fukujima, per dirne due? L’Aquila, per dirne una che è dietro l’angolo? Se sono
distanti non si soffre empaticamente? E’ un ragionamento del cazzo. E ne
conviene, stravolta, terrorizzata, gli occhi lucidi.
Reagire.
Dobbiamo.
Siamo vivi, senza danni, solo con un bel po’ di paura.
Reagire.
La capisco, eh.
La capisco bene.
Ma non c’è storia, bisogna reagire.
No way back.
amen.
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