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mercoledì 14 novembre 2012

Il viaggio di ritorno di Taztozzi

Bonjour. Anzi, sperém che sia un bonjour.
Vi faccio breve sintesi della gioiosa giornata di ieri.
Un taxi nero mi preleva che stavo condensando nei miei pensieri e mi conduce alla Victoria, dove scopro immediatamente che il treno era appena partito e pazienza. Poi arriva subito quello dopo e sopra c'erano otto miliardi di persone, per cui mi incastono tra alcuni capi bovini e godo dell'unica vista possibile: capelli e la schiena di un armadio più alto di me che ho davanti. Ma tanto dura solo mezz'ora, che problemi ci sono. Poi aeroporto e una colonna al check in lunga sedicimila chilometri e mi vorrei evirare con uno schiaccianoci per non aver fatto il solito check in elettronico. Poi correre. Correre, correre, correre all'imbarco, check, scarpe, cintura, prepuzio, glande, ano, tutto. Passare. Aspettare, imbarcarsi e sedersi. Finalmente. Lato finestrino. Relax, mi dico, ci voleva, mi dico. E mi accoccolo osservando un armadio largo due metri che stazza come un cacciatorpedinerie coreano classe Yoko One e mi chiedo, adorabile scioccone, mi chiedo come cazzo fa quello a sedersi e la mia domanda è presto soddisfatta, perchè BigBoy è il mio compagnuccio di seduta e scopro subito come fa: inonda, straripa e avvolge, ma tanto dura solo due ore e venti, che problemi ci sono. E si arriva finalmente! Si atterra, ma qualcosa di misterioso accade: si staziona fermi in una pista di rullaggio. Così. Timidi. Motivo? Sarcazzo. Venti minuti di park e poi, finalmente, lo sbarco nel paese dei campanelli. Mi proietto al carousel con in testa un'idea meravigliosa: Rustichella e Cocazza, che fame.
Ma il carousel non parte mai e mai e mai e mai e come mai? E cazzomerda come mai? Un piccolo problema tecnico signori, ma in un attimo lo aggiustiamo. Certo, sì, certo. Mezz'ora abbondante. Finalmente il canchero parte, recupero la roba e mi dirigo solerte al park auto. Pago con un rene le tre settimane di parcheggio e mi addresso all'auto. Premo il telecomando in attesa del classico spalancamento di occhioni gioioso, ma invece niente. Mi avvicino di più. Nulla. Morte, desolazione, deserto e disperazione. La batteria, puttanissima di quella grandissima bagascia. Un bel giovine che stava recuperando una Golf accanto a me mi chiede "non parte?" - "batteria morta" rispondo "non c'è problema, ho i cavi!" mi dice raggiante come un boyscout in erezione e io dico dio grazie, almeno una sbagliala oggi. E invece no, lui non sbaglia. Il motorino d'avviamento non se la incula di striscio la batteria forestiera e il tizio mi spiega tecnicamente il perché e io vorrei vomitare merda, ma lo ringrazio civilmente e mi metto a cercare il cazzo di numero dell'Europassistance. Con la gloriosa Marzedes non sarebbe MAI e poi MAI successo, ma questa è una Mircidis nuova, c'ha la fichetta arrossata, è fffica capite? Che cazzo di macchine dimmerda. E in quaranta minuti arriva l'umano con un aggeggio che si chiama booster. E la Mircidis parte scorreggiando una nube tossica, grantroia, ma l'umano mi dice che se fosse in me non la spegnerebbe, per sicurezza. Sicchè progetto Rustichella vaffanculo e c'ho una fame che mi stanno per venire le mie cose a momenti. Ma tanto in un'ora e venti sono a casa, che problemi ci sono? Arrivo che è l'una e un quarto, faccio un passaggio davanti ai luoghi del gusto a me cari e ciascuno di essi è chiuso, troppo tardi, peccato. Ma tanto posso mangiare domani, che problemi ci sono? 

E una volta in casa, sorseggiando un abbondante JD, mi permetto di considerare che, nel mio caso, la famosa eventualità "Se mi cade l'uccello mi rimbalza nel culo" diverrebbe "Se mi cade l'uccello mi cade e basta". Sia mai.

1 commento:

  1. non te la prendere, anche a me è morta la batteria l'altro giorno...

    manco vivessimo a vladivostok :\

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