"E allora Tà, ghe mi raggonti? Te le sei sbudellate le bottane lacciù?”
Una di notte, viaggiamo comodi e silenziosi su un enorme coso americano nuovo di zecca che puzza di plastica e nylon e occhieggia dagli strumenti una luce azzurrina diffusa che rende la faccia del Costa simile a quella di Kirk nei momenti più impegnativi. Sono stanco morto, il viaggio è stato una merda. Mai più da Bologna, mai più.
“Mi sono sbudellato solo la tua ex morosa Susy, che le altre manco mi hanno cagato di striscio a parte un ‘oh ciao, che bello’ “
“Minghia Tà pure tu che cazz t’haspettav il tappet rozz? So tre secoli che non di fai biù vedere allà. E la bottanona come shta? C’ha sempr fame di minghia ah? Che maiala bottana troia porcoddio, ahahahahahahaha” e ride ride ride, ride sereno, proiettato a velocità da sedia elettrica sulla strada che dall’aeroporto porta a Praga.
“E qui? Novità?” chiedo interessato.
“Maaaaaaaaaah niend di ghe, due crucc che avevano rotto il cazz la settimana scoss che erano fatti come delle bbestie e allora il Vosco e i racazz li hanno spaccati, impacchettati e sbattut fuori, poi niend, la Galina va fortizzim, gettonatizzim, chiava come na macchin da cuerr santalamadonnasantissim, mai la camera vuota che faccio fatica a farmi fare un bombino alle tre del pomericc, mentre quella rumena, quella come minghia si ghiama, dai quella piccoletta mora coi capelli lunghi, pallidissima con le minnette piccole, vabbè non imbord vafangulo, quell proprio non funziona Tà. Ci devi parlare tè Tà che se no la dobbiamo mandare via che ci fa rimettere”
“Si chiama Gema”
“Ecco Gema vaffanculo porcoddio proprio lei, parlaci Tà”
“E ci parlo, ma mica sono uno psicoterapeuta mago, se non ci sa fare, non ci sa fare”
“Teh parlaci gumba, fammi questacottesia”
E te la farò ‘sta cortesia, cosa devo dire. Tanto parla in italiano.
E poi arriva Praga e le luci e noi ci fiondiamo dentro come dei rapinatori a velocità mostruosa, che il Costa guida come Driver l’Imprendibile, anche se nessuno ha intenzione di prenderci.
Come mi sento integrato in questo mondo di classe e in queste attività raffinate, come mi sento estasiato da questo lessico ricercato da queste figure retoriche, insomma, mi sento proprio in famiglia.
“Costa cosa fai a Pasqua?” chiedo mentre dribbliamo ogni cosa che si muove nelle vie più storiche della città.
“Maaaaaah io gi bensavo di farmi una discesa a casa per rilassarmi quacc ciorn ma non ho ancora decis e tu?”
“Io la solita minchia Costa.”
“E allora prendiamo e ce ne andiamo ammare assieme Tààààà e ci sbattiamo i goglioni eddai Tà”
Controllo sul telefonino: piove a cannone a Pasqua laggiù, minima 12 massima 16, ma che cazzo andiamo ammare? Andiamo ammare con Schettino se lo avvisiamo.
Poi, finalmente, arriviamo.
Porta sul retro, ci sediamo a tavola, vino rosso, salame calabrese “che questi cazz di cechi fanno di manciare merda schifos, mancia, mancia gumba che è robbabuon” (tutto vero) e facciamo una merendina così, mentre Costafrate rolla le mie pastiglie per dormire.
Ci poteva essere accoglienza più familiare e calorosa?
No, credetemi.
No.
Casa.
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