Bonjour da Borgoverde.
C’è il sole e la Chiaretta dice che oggi andiamo in spiaggia. E mi pare
un bel progettino.
La bellezza di questo posto è che c’è tutto: la collina ad
un’altitudine di 200 metri, il bosco tutto attorno e subito sotto, alla fine
della falesia, uno strepitoso affaccio sul mare.
Ieri sera ci siamo fatti una meritatissima ed ottima cenetta di pesce,
in un ristorantino semplice e accogliente che conosce la Chiara. Non c’era
molta gente, siamo stati fortunati. Abbiamo cenato, bevuto bene, chiacchierato
e tentato di allentare i nodi della tensione.
La fuga serve, perché riporta ad una dimensione controllabile lo shock.
Però la mente rimane sempre con un collegamento là, non c’è niente da fare. Si
è qui in fuga, ma il mondo intero, il nostro mondo, è tutto là.
La fuga serve a coltivare con cura un micron di visione positiva.
Cauta, però. Per scaramanzia.
Ma che bella questa casa. E’ bella, bellissima, perché tutto è
approssimativo. E’ tutto di una provvisorietà talmente definitiva che commuove.
E’ tutto di una provvisorietà che, se dovessi avere la fortuna di possedere un
posto simile, mi scervellerei per ricrearla.
Alla fine della corte di pietra l’erba è altissima, ovviamente. Ma
questa sera quando torniamo la taglio, tanto c’è tutto in quel garage là in
fondo, ho già controllato. Basta solo un po’ di benzina per la falciatrice.
Perché l’odore dell’erba tagliata è la sola cosa che manca, ma sarà facile
crearlo.
Ieri sera, prima che partissimo per andare a cena, la Chiara ha
chiamato quel pozzo inesauribile di amore che è sua madre. Le ha spiegato con
precisione qual è la situazione: fuga, Borgoverde, Tazio. L’ho apprezzata per
la sincerità, è una brava ragazza. Inspiegabilmente, la troiamerdamadre ha
accolto con entusiasmo sollevato la decisione, si è manifestata felice che ci
fossi anche io lì con lei e l’ha esortata a rimanere un bel po’ qui che poi le
cose si sistemano. Ha poi fatto la mamma, rincuorandola, dicendole che tutto passerà,
di non avere paura. Va ben, parliamone.
“Deve essersi appena fatta una
canna” è stato il commento finale della Chiara, con sguardo perplesso.
Dopo cena siamo andati a sederci su una panchina in paese e siamo stati
lì. A goderci l’assenza della necessità di essere concitati, agitati, tesi e
pronti all’azione come se fossimo dei parà in zona di guerra.
Le ho guardato la caviglia che sporgeva dal bordo del gonnone e mi sono
sentito sedotto.
E ci siamo baciati, profondamente, a lungo, toccandoci.
E siamo tornati a casa e l’abbiamo fatto e rifatto e rifatto e rifatto.
Senza sensi di colpa, finalmente.
Si sta molto bene, qui a Borgoverde, sì.
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